2025-08-31
Eliot, il perfetto americano in Europa che sognava la rivoluzione spirituale
Thomas Stearns Eliot (Getty)
Il poeta, scelto per il titolo dell’ultimo Meeting e citato da Giorgia Meloni a Rimini, fu un conservatore che, attraverso la forza del mito e della tradizione, cercò la luce nella «terra desolata» del XX secolo.Al Meeting di Rimini il viatico che accompagnava la manifestazione di Comunione e Liberazione era una citazione di Thomas Stearns Eliot: «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi». A Eliot si è riferita Giorgia Meloni nel suo intervento a Rimini; un autore che non compare di solito negli album dei maestri della cultura politica della destra italiana e che la premier ha voluto indicare come uno dei suoi preferiti.Ma chi era Eliot? Fu un americano che come Pound amò l’Europa, scrivemmo in un ritratto a lui dedicato. Eliot fu un grande poeta e drammaturgo ma anche un conservatore che cercò tramite la forza del mito, i principi saldi della tradizione, l’amore dei classici e la conversione cristiana di trovare la luce nella «terra desolata» del secolo. Le sue opere grandeggiano nell’epoca contemporanea e se l’Unione europea fosse all’altezza della sua civiltà si ricorderebbe di lui come di uno dei suoi più grandi profeti che ha pensato attraverso la letteratura la civiltà europea, da Virgilio a Dante, da Shakespeare a Goethe. Ma dovrebbe riscoprirlo anche l’America di Trump.Eliot nacque nel Missouri e dopo un soggiorno a Parigi andò nell’anticamera dell’Europa o dell’anti Europa, l’Inghilterra, e lì vi si stabilì per sempre. Ma per lui «l’ultima perfezione per un americano non è diventare inglese ma europeo». Incrociò il suo destino con quello di Ezra Pound, che fu per lui «il miglior fabbro» e il suo prezioso angelo custode, in vita e in morte: pagò di nascosto la sua prima raccolta di poesie, presentò i suoi primi versi, gli trovò un posto nella rivista The Egoist, liberandolo dal lavoro di bancario, lo sostenne nelle traversie coniugali e nella malattia, lo aiutò a scremare e rendere scintillante il suo poema La terra desolata. Anche Eliot fu definito modernista, come Pound e Joyce, ma la sua opera nasce da un ripensamento creativo della tradizione e dall’amore dei classici; si convertì nel 1927 alla Chiesa Anglicana (la prima Brexit degli inglesi fu lo scisma religioso). Eliot cercò di evadere dall’angusto orizzonte del presente, dalla prigione del Novecento e dei suoi deliri totalitari e materialistici, per recuperare da un verso la maestosa bellezza del passato e dall’altro la proiezione nel destino futuro. Per lui il provincialismo non è segno di grettezza e incapacità di vivere fuori dal proprio luogo: per Eliot c’è un «provincialismo del tempo» che chiude i contemporanei nel presente, da cui non sanno uscire. Questo provincialismo del proprio tempo è assai diffuso oggi nell’età globale: l’incapacità di confrontarsi, conoscere e capire il passato e pensare al futuro, l’incomprensione radicale di ogni altro piano e della trascendenza; è il provincialismo di chi scambia il momentaneo come il permanente, l’attualità come il non plus ultra, l’effimero con l’essenziale... Eliot annoda anche la persona alla comunità, la famiglia alla nazione e alla Chiesa. In una vecchia casa, scrive in Riunione di famiglia, «c’è sempre qualcuno in ascolto / si odono più cose di quante non vengano dette... / Il dolore nella camera da letto con le tende chiuse, / per una nascita o per una morte/ raccoglie in sé tutte le voci del passato / e le proietta nel futuro». Oggi noi sappiamo come far funzionare la macchina ma non abbiamo una visione, non sappiamo andare oltre, viviamo in un orizzonte ristretto: «Strettamente pratici noi non sappiamo cosa facciamo; e anche quando ci pensiamo non ne sappiamo molto del pensiero. Che cosa accade fuori da quel cerchio? E cosa significa accadere?». Per Eliot l’Europa avrebbe bisogno di un’organizzazione spirituale prima che tecnica ed economica; occorre varietà nell’unità, riconoscimento delle diversità locali e nazionali, perché «l’europeo che non appartenesse a nessun paese sarebbe un uomo astratto e avrebbe un volto inespressivo». Ma è altresì necessario che l’Europa ritrovi una sua unità nel segno della sua religione comune, la cristianità. L’Europa, a suo dire, non può sopravvivere alla scomparsa della fede cristiana. Come la fede anche la poesia travalica le appartenenze: un poeta, a qualsiasi nazione appartenga, è un compatriota, pur rappresentando «il proprio popolo nel suo più alto grado» giacché «la poesia ha un carattere nazionale più accentuato della prosa». Elias Canetti provò «ribrezzo» per Eliot; ma questa sua avversione depone contro Canetti più che contro Eliot.Monarchico, il suo pensiero conservatore si ispirò a Edmund Burke, ma il suo fu un pensiero prepolitico e metapolitico, fondato sull’importanza delle radici e dei principi permanenti, sulla prevalenza dell’organico rispetto al meccanico, sul rapporto attivo col passato e con ciò che è vivo del passato, la tradizione. Eliot denunciò prima dei filosofi politici l’avvento di una democrazia totalitaria, in cui sopravvive il fantoccio della libertà ma l’ispirazione anticristiana e il primato assoluto del profitto spengono gradualmente ogni altro orizzonte, riducono le libertà, il pensiero e la fede. Nell’anno in cui vinse il Nobel (1948), ne L’idea di una società cristiana (che fu presentato in Italia da Sergio Quinzio) Eliot sostenne che «distruggendo le tradizioni sociali di un popolo, dissolvendo in fattori individuali la naturale coscienza collettiva, concedendo libertà alle opinioni più sciocche, sostituendo l’istruzione con l’educazione, incoraggiando l’abilità piuttosto che la saggezza, gli “arrivisti” piuttosto che i qualificati, introducendo il principio del “farsi strada” come unica alternativa ad una apatia senza speranza, il liberalismo può aprire le porte a ciò che è la sua stessa negazione: il controllo artificiale, meccanico e brutale che è il disperato rimedio al suo caos». Da qui l’idea di una società cristiana dove il diritto a conseguire il fine naturale dell’uomo - la virtù e il benessere condiviso col prossimo - verrebbe riconosciuto a tutti, e il diritto a un fine ultraterreno - la beatitudine - a coloro che hanno occhi per vederlo. Visione comunitaria della società, ispirata ma non obbligata dai principi cristiani e dalle tradizioni patrie. Poi rende onore ai vinti: «Qualunque retaggio ci lascino i vincitori / Noi abbiamo preso dai vinti / Quello che avevano da lasciarci: un simbolo» (Quattro Quartetti). Ma Eliot non seguì Pound nel sogno di un fascismo epico e dantesco, approdò a una visione cristiana, ispirata da principi conservatori in difesa delle libertà civili e individuali. Non si fece illusioni, non inseguì utopie e guardò il suo tempo come una terra desolata, percorsa da un senso tragico della fine. «Al finire di questa ispirazione / e le torce e le facce e le grida / il mondo sembrò futile come una gita domenicale». Da quella gita non siamo ancora rientrati. Ma i versi di Eliot ci aiutano se non a trovare almeno a cercare nuovi mattoni per costruire case e sacrari nel deserto gremito e disperato del mondo attuale.
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In Pluribus, da venerdì 7 novembre su Apple Tv+, Vince Gilligan racconta un mondo contagiato da un virus che cancella le emozioni e il conflitto. Un’apocalisse lucida e inquieta, dove l’unica immune difende il diritto alla complessità umana.