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2023-08-18
I golpisti del Niger non arretrano: Ecowas vicina all’intervento armato
I membri dell'Ecowas riuniti il 17 agosto 2023 (Ansa)
È iniziato ieri ad Accra (Ghana) l’atteso vertice dei capi militari dell’Africa occidentale che terminerà oggi in serata. Si tratta del primo incontro da quando la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) ha ordinato «il dispiegamento di una forza di riserva per ripristinare il governo costituzionale in Niger». Poco prima della riunione, il capo di Stato maggiore della difesa della Nigeria, il generale Christopher Gwabin Musa, ha dichiarato che «l’obiettivo del nostro incontro non è semplicemente quello di reagire agli eventi, ma di tracciare in modo proattivo un percorso che porti alla pace e promuova la stabilità. La democrazia è ciò che sosteniamo e incoraggiamo». Meno diplomatica la dichiarazione di Abdel-Fatau Musah, commissario per la sicurezza dell’Ecowas: «L’ordine costituzionale sarà ripristinato con ogni mezzo disponibile. Tutti gli Stati membri, ad eccezione dei Paesi sotto controllo delle giunte militari e di Capo Verde, sono pronti a partecipare ad un intervento militare». In attesa di sapere se e quando l’Ecowas interverrà militarmente, si stima che le truppe interessate dall’operazione sarebbero circa 25.000, provenienti da Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal e Benin, ma secondo alcuni esperti, per mobilitarli, specie in un’area come questa, potrebbero essere necessarie settimane o addirittura mesi. Per Giuseppe Manna, analista geopolitico con focus sui Paesi africani e mediorientali, le dichiarazioni dei leader della regione e le tempistiche sempre più serrate sembrano condurre dritti alla guerra: «Da un lato, i golpisti nigerini, appoggiati dalle giunte militari di Ciad, Burkina Faso e Mali, mostrano intransigenza e rifiutano di reinsediare il presidente deposto; dall’altro lato, i membri attivi dell’Ecowas, spinti da Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio, esigono il ripristino dell’ordine costituzionale. Le posizioni sono rigide e nessuno vuole rimetterci la faccia. A Niamey, i militari ribelli rischiano tutto e non possono né vogliono tornare indietro». L’Ecowas sembra quindi con le spalle al muro: «L’Ecowas non può soltanto limitarsi ad abbaiare all’infinito senza rischiare la sua credibilità e apparire con le spalle al muro, costretta ad accettare il fatto compiuto. Senza contare che molti regimi temono di essere travolti da forze locali ispirate proprio dalla situazione in Niger. Più tempo passa e minori diventano le possibilità di una soluzione diplomatica. Solo se il Niger precipitasse nella spirale della guerra civile e della violenza jihadista gli schieramenti attuali salterebbero, aprendo scenari nuovi e inediti nella regione. Ma, per il momento, la strada dello scontro militare sembra la più probabile». Di certo c’è che se non accade qualcosa che sparigli le carte -come l’inizio di un negoziato vero o l’intervento militare - la giunta golpista si rafforzerà ulteriormente, senza dimenticare che il presidente deposto, Mohamed Bazoum, potrebbe essere passato per le armi in qualsiasi momento. Da registrare il fatto che più passano le ore e più gli Usa sono attivi nella ricerca di una soluzione, e di questo ha parlato Sabrina Singh, vicesegretario stampa del Pentagono: «In questo momento, la nostra posizione non è cambiata in Niger. Siamo certamente fiduciosi che questo si risolva in modo diplomatico». Poi, alla domanda se l’Ecowas abbia richiesto assistenza militare al Pentagono, la Singh non ha confermato ma neppure smentito: «Non sono a conoscenza di alcuna richiesta di supporto militare da parte degli Stati Uniti, ma i Paesi che fanno parte dell’Ecowas hanno tutti affermato che l’intervento militare è l’ultima risorsa, non vogliono che ciò accada». Attenzione però a quanto afferma la Cnn: «Il riconoscimento da parte di Washington della situazione in Niger come un colpo di Stato priverà le forze armate americane di una serie di poteri in questo paese, nonché dei finanziamenti per la partecipazione alla cooperazione con le forze nigeriane». Come vi abbiamo raccontato ieri, c’è grande preoccupazione per le attività terroristiche delle filiali locali di al-Qaeda che è anche coinvolta nel traffico di migranti, mentre l’Isis cerca di cacciare dall’area i rivali. A proposito dei disperati che arrivano in Niger, e in particolare nella città di Agadez, per l’analista dell’International Team for the Study of Security Verona Rebecca Pedemonte, in caso di intervento armato la loro situazione non potrà che peggiorare: «L’area e la città di Agadez sono un punto nevralgico del flusso migratorio nell’area saheliana dove arrivano migliaia di persone dall’Africa occidentale in attesa di salire su un barcone in partenza dalla Libia. Qui possono restare mesi e anni a seconda di quando riescono a procurarsi il denaro da pagare ai trafficanti per il viaggio nel Mediterraneo. Evidente come un possibile intervento armato in Niger obbligherebbe queste persone che vivono già nell’assoluta precarietà a mettersi in movimento in un territorio come quello nigerino, che sprofonderebbe nel caos e dove a quel punto le organizzazioni terroristiche non troverebbero più ostacoli». Intanto, la popolazione della capitale nigerina Niamey chiede il reclutamento di massa di volontari per assistere l’esercito di fronte a una crescente minaccia da parte dell’Ecowas. «Non ci frega niente dell’Ecowas che è stato fatto su misura per i presidenti al potere. E non ne abbiamo bisogno», dicono ad Africa News alcuni nigerini che hanno aggiunto: «L’Ecowas intervenga o meno, il Niger è pronto per tutte le opzioni. Noi siamo pronti. Qualunque cosa decida l’Ecowas, noi siamo pronti».
Le milizie gettano Tripoli nel caos
Continua a salire la tensione in Libia. Gli ultimi scontri registratisi a Tripoli hanno portato a un bilancio drammatico: 55 morti e 146 feriti. A renderlo noto sono state mercoledì le autorità sanitarie locali. I combattimenti, svoltisi tra lunedì e martedì, hanno visto come protagonisti la quattrocentoquarantaquattresima brigata e le Forze speciali di deterrenza Rada: in particolare, gli scontri sono esplosi dopo l’arresto da parte delle forze Rada del capo della quattrocentoquarantaquattresima brigata, il colonnello Mahmoud Hamza, che - secondo Reuters - è stato successivamente consegnato a una terza fazione, lo Stabilisation Support Apparatus, e infine rilasciato l’altro ieri. Irritatissimo, il premier di Tripoli, Abdul Hamid Dbeibah, ha detto che i combattimenti tra milizie non saranno più tollerati. «Ogni giorno le persone sono terrorizzate. La vita delle persone non è un gioco. Ci saranno altre misure contro di loro, dobbiamo essere duri», ha dichiarato. «Tutti noi libici non siamo soddisfatti di quello che è successo. E non ne saremo soddisfatti. Non rimarremo in silenzio fino a quando non fermeremo questa faccenda», ha aggiunto.
«Il ritorno ai combattimenti è sempre preoccupante», ha detto l’inviato speciale statunitense per la Libia, Richard Norland. «Ma ora è importante contenere immediatamente la violenza. Ci sono rimostranze legittime da parte di diverse parti, ma possono essere risolte attraverso il dialogo», ha proseguito. «L’Unione Europea segue con grande attenzione e preoccupazione gli ultimi avvenimenti di violenza in Libia», ha affermato in una nota, dal canto suo, l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell. «L’Ue invita inoltre tutte le parti coinvolte in atti di violenza a rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e a garantire la protezione dei civili. I libici sono stanchi di essere coinvolti nel fuoco incrociato e meritano che le loro aspirazioni alla pace siano finalmente ascoltate e soddisfatte», ha continuato.
La situazione è complicata, anche perché entrambe le milizie che si sono combattute gravitano - almeno teoricamente - attorno al governo di Tripoli. Tuttavia, secondo Al Jazeera, è possibile che si sia innescata una dialettica tra chi è favorevole a un avvicinamento nei confronti del generale della Cirenaica Khalifa Haftar e chi - come Hamza - risulterebbe invece avverso a un tale scenario. Questo significa che il tortuoso rapporto tra Dbeibah e Haftar si sta ripercuotendo sulle difficili relazioni che intercorrono tra le varie milizie dell’Ovest libico. Si tratta di un ulteriore fattore di rischio da tenere in considerazione nel complicato tentativo di una stabilizzazione politica del Paese nordafricano. La complessa dimensione locale è un elemento di cui bisogna tenere conto al pari delle influenze internazionali. Ricordiamo che, se Tripoli gravita nell’orbita turca, l’Est resta per ora maggiormente vicino alla Russia. Tutto questo, senza dimenticare le turbolenze che attraversano Nord Africa e Sahel: dall’instabilità economica della Tunisia alla crisi del Niger. Non a caso, ad esprimere «grande preoccupazione» per gli ultimi scontri libici è stata anche l’Unione africana. È in questo clima che Dbeibah ha accusato Haftar di sostenere «una delle parti in conflitto in Sudan con armi pesanti ed equipaggiamento militare».
La situazione complessiva, insomma, si sta facendo sempre più rovente. È urgente che Italia e Stati Uniti rafforzino il loro gioco di sponda sulla Libia e che Bruxelles, dal canto suo, inizi ad adottare un approccio più attento e pragmatico.
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Si allontana la via diplomatica tra la giunta e gli Stati dell’Africa occidentale, riuniti in Ghana. L’operazione militare alimenterebbe però i flussi verso il Mediterraneo dei migranti di passaggio nel territorio nigerino.Almeno 55 morti a Tripoli dopo gli scontri tra Brigata 444 e forze Rada, entrambe filo governative. All’origine delle ostilità, l’ipotesi di avvicinamento ad Haftar.Lo speciale contiene due articoli.È iniziato ieri ad Accra (Ghana) l’atteso vertice dei capi militari dell’Africa occidentale che terminerà oggi in serata. Si tratta del primo incontro da quando la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) ha ordinato «il dispiegamento di una forza di riserva per ripristinare il governo costituzionale in Niger». Poco prima della riunione, il capo di Stato maggiore della difesa della Nigeria, il generale Christopher Gwabin Musa, ha dichiarato che «l’obiettivo del nostro incontro non è semplicemente quello di reagire agli eventi, ma di tracciare in modo proattivo un percorso che porti alla pace e promuova la stabilità. La democrazia è ciò che sosteniamo e incoraggiamo». Meno diplomatica la dichiarazione di Abdel-Fatau Musah, commissario per la sicurezza dell’Ecowas: «L’ordine costituzionale sarà ripristinato con ogni mezzo disponibile. Tutti gli Stati membri, ad eccezione dei Paesi sotto controllo delle giunte militari e di Capo Verde, sono pronti a partecipare ad un intervento militare». In attesa di sapere se e quando l’Ecowas interverrà militarmente, si stima che le truppe interessate dall’operazione sarebbero circa 25.000, provenienti da Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal e Benin, ma secondo alcuni esperti, per mobilitarli, specie in un’area come questa, potrebbero essere necessarie settimane o addirittura mesi. Per Giuseppe Manna, analista geopolitico con focus sui Paesi africani e mediorientali, le dichiarazioni dei leader della regione e le tempistiche sempre più serrate sembrano condurre dritti alla guerra: «Da un lato, i golpisti nigerini, appoggiati dalle giunte militari di Ciad, Burkina Faso e Mali, mostrano intransigenza e rifiutano di reinsediare il presidente deposto; dall’altro lato, i membri attivi dell’Ecowas, spinti da Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio, esigono il ripristino dell’ordine costituzionale. Le posizioni sono rigide e nessuno vuole rimetterci la faccia. A Niamey, i militari ribelli rischiano tutto e non possono né vogliono tornare indietro». L’Ecowas sembra quindi con le spalle al muro: «L’Ecowas non può soltanto limitarsi ad abbaiare all’infinito senza rischiare la sua credibilità e apparire con le spalle al muro, costretta ad accettare il fatto compiuto. Senza contare che molti regimi temono di essere travolti da forze locali ispirate proprio dalla situazione in Niger. Più tempo passa e minori diventano le possibilità di una soluzione diplomatica. Solo se il Niger precipitasse nella spirale della guerra civile e della violenza jihadista gli schieramenti attuali salterebbero, aprendo scenari nuovi e inediti nella regione. Ma, per il momento, la strada dello scontro militare sembra la più probabile». Di certo c’è che se non accade qualcosa che sparigli le carte -come l’inizio di un negoziato vero o l’intervento militare - la giunta golpista si rafforzerà ulteriormente, senza dimenticare che il presidente deposto, Mohamed Bazoum, potrebbe essere passato per le armi in qualsiasi momento. Da registrare il fatto che più passano le ore e più gli Usa sono attivi nella ricerca di una soluzione, e di questo ha parlato Sabrina Singh, vicesegretario stampa del Pentagono: «In questo momento, la nostra posizione non è cambiata in Niger. Siamo certamente fiduciosi che questo si risolva in modo diplomatico». Poi, alla domanda se l’Ecowas abbia richiesto assistenza militare al Pentagono, la Singh non ha confermato ma neppure smentito: «Non sono a conoscenza di alcuna richiesta di supporto militare da parte degli Stati Uniti, ma i Paesi che fanno parte dell’Ecowas hanno tutti affermato che l’intervento militare è l’ultima risorsa, non vogliono che ciò accada». Attenzione però a quanto afferma la Cnn: «Il riconoscimento da parte di Washington della situazione in Niger come un colpo di Stato priverà le forze armate americane di una serie di poteri in questo paese, nonché dei finanziamenti per la partecipazione alla cooperazione con le forze nigeriane». Come vi abbiamo raccontato ieri, c’è grande preoccupazione per le attività terroristiche delle filiali locali di al-Qaeda che è anche coinvolta nel traffico di migranti, mentre l’Isis cerca di cacciare dall’area i rivali. A proposito dei disperati che arrivano in Niger, e in particolare nella città di Agadez, per l’analista dell’International Team for the Study of Security Verona Rebecca Pedemonte, in caso di intervento armato la loro situazione non potrà che peggiorare: «L’area e la città di Agadez sono un punto nevralgico del flusso migratorio nell’area saheliana dove arrivano migliaia di persone dall’Africa occidentale in attesa di salire su un barcone in partenza dalla Libia. Qui possono restare mesi e anni a seconda di quando riescono a procurarsi il denaro da pagare ai trafficanti per il viaggio nel Mediterraneo. Evidente come un possibile intervento armato in Niger obbligherebbe queste persone che vivono già nell’assoluta precarietà a mettersi in movimento in un territorio come quello nigerino, che sprofonderebbe nel caos e dove a quel punto le organizzazioni terroristiche non troverebbero più ostacoli». Intanto, la popolazione della capitale nigerina Niamey chiede il reclutamento di massa di volontari per assistere l’esercito di fronte a una crescente minaccia da parte dell’Ecowas. «Non ci frega niente dell’Ecowas che è stato fatto su misura per i presidenti al potere. E non ne abbiamo bisogno», dicono ad Africa News alcuni nigerini che hanno aggiunto: «L’Ecowas intervenga o meno, il Niger è pronto per tutte le opzioni. Noi siamo pronti. Qualunque cosa decida l’Ecowas, noi siamo pronti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ecowas-niger-intervento-armato-2664015443.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-milizie-gettano-tripoli-nel-caos" data-post-id="2664015443" data-published-at="1692304332" data-use-pagination="False"> Le milizie gettano Tripoli nel caos Continua a salire la tensione in Libia. Gli ultimi scontri registratisi a Tripoli hanno portato a un bilancio drammatico: 55 morti e 146 feriti. A renderlo noto sono state mercoledì le autorità sanitarie locali. I combattimenti, svoltisi tra lunedì e martedì, hanno visto come protagonisti la quattrocentoquarantaquattresima brigata e le Forze speciali di deterrenza Rada: in particolare, gli scontri sono esplosi dopo l’arresto da parte delle forze Rada del capo della quattrocentoquarantaquattresima brigata, il colonnello Mahmoud Hamza, che - secondo Reuters - è stato successivamente consegnato a una terza fazione, lo Stabilisation Support Apparatus, e infine rilasciato l’altro ieri. Irritatissimo, il premier di Tripoli, Abdul Hamid Dbeibah, ha detto che i combattimenti tra milizie non saranno più tollerati. «Ogni giorno le persone sono terrorizzate. La vita delle persone non è un gioco. Ci saranno altre misure contro di loro, dobbiamo essere duri», ha dichiarato. «Tutti noi libici non siamo soddisfatti di quello che è successo. E non ne saremo soddisfatti. Non rimarremo in silenzio fino a quando non fermeremo questa faccenda», ha aggiunto. «Il ritorno ai combattimenti è sempre preoccupante», ha detto l’inviato speciale statunitense per la Libia, Richard Norland. «Ma ora è importante contenere immediatamente la violenza. Ci sono rimostranze legittime da parte di diverse parti, ma possono essere risolte attraverso il dialogo», ha proseguito. «L’Unione Europea segue con grande attenzione e preoccupazione gli ultimi avvenimenti di violenza in Libia», ha affermato in una nota, dal canto suo, l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell. «L’Ue invita inoltre tutte le parti coinvolte in atti di violenza a rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e a garantire la protezione dei civili. I libici sono stanchi di essere coinvolti nel fuoco incrociato e meritano che le loro aspirazioni alla pace siano finalmente ascoltate e soddisfatte», ha continuato. La situazione è complicata, anche perché entrambe le milizie che si sono combattute gravitano - almeno teoricamente - attorno al governo di Tripoli. Tuttavia, secondo Al Jazeera, è possibile che si sia innescata una dialettica tra chi è favorevole a un avvicinamento nei confronti del generale della Cirenaica Khalifa Haftar e chi - come Hamza - risulterebbe invece avverso a un tale scenario. Questo significa che il tortuoso rapporto tra Dbeibah e Haftar si sta ripercuotendo sulle difficili relazioni che intercorrono tra le varie milizie dell’Ovest libico. Si tratta di un ulteriore fattore di rischio da tenere in considerazione nel complicato tentativo di una stabilizzazione politica del Paese nordafricano. La complessa dimensione locale è un elemento di cui bisogna tenere conto al pari delle influenze internazionali. Ricordiamo che, se Tripoli gravita nell’orbita turca, l’Est resta per ora maggiormente vicino alla Russia. Tutto questo, senza dimenticare le turbolenze che attraversano Nord Africa e Sahel: dall’instabilità economica della Tunisia alla crisi del Niger. Non a caso, ad esprimere «grande preoccupazione» per gli ultimi scontri libici è stata anche l’Unione africana. È in questo clima che Dbeibah ha accusato Haftar di sostenere «una delle parti in conflitto in Sudan con armi pesanti ed equipaggiamento militare». La situazione complessiva, insomma, si sta facendo sempre più rovente. È urgente che Italia e Stati Uniti rafforzino il loro gioco di sponda sulla Libia e che Bruxelles, dal canto suo, inizi ad adottare un approccio più attento e pragmatico.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.