Gli accertamenti illegali partivano su richiesta dei «segugi» di CdB: riscontrate 800 ricerche non autorizzate. Nel mirino soprattutto i big di Lega e Fratelli d’Italia.
Gli accertamenti illegali partivano su richiesta dei «segugi» di CdB: riscontrate 800 ricerche non autorizzate. Nel mirino soprattutto i big di Lega e Fratelli d’Italia.In via Giulia a Roma, nel suo ufficio, un tenente della Guardia di finanza, aveva deciso di fare le pulci a decine di politici soprattutto di centro-destra. Un profiler seriale di presunti mariuoli. Chi conosce Pasquale Striano lo descrive come dedito al lavoro in modo quasi ossessivo, un cacciatore di mafiosi come non ce ne sono quasi più. Tanto che i direttori dell’Antimafia si affidavano a lui come a un rabdomante di cosche. Ma poi deve essere successo qualcosa. Forse la frequentazione dei cronisti antimafia dal ciglio perennemente imbronciato potrebbe averlo convinto a trasformarsi in una sorta di vendicatore dell’Italia migliore, quella che schifa tutto ciò che non è di sinistra. I perenni allarmi mediatici sui rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’area conservatrice, devono averlo reso sensibile alle lusinghe dei «segugi» del giornalismo progressista. In particolare di quelli del Domani, giornale fondato da Carlo De Benedetti, i quali hanno trasformato in inchieste giornalistiche le ricerche dell’investigatore nelle banche dati dell’Antimafia, da quelle delle segnalazioni di operazioni sospette a quelle di Serpico, legate all’Agenzia delle entrate. Una simbiosi che è stata fotografata dall’inchiesta di Perugia secondo cui non ci troveremmo di fronte a giornalisti che chiedevano carte d’indagine a un investigatore, ma a un investigatore che si sarebbe messo a lavorare per i cronisti, pur senza chiedere mai denaro o altre utilità in cambio dei suoi servigi. Al punto da consegnare ai superiori atti di impulso o dossier preinvestigativi compilati su file creati dai giornalisti del Domani, come risulta dalle investigazioni. Nell’autunno del 2022 Striano ha indagato sulla supposta impresentabilità di alcuni soci del ministro della Difesa Guido Crosetto e sulle dichiarazioni dei redditi dello stesso. Dopo poco il quotidiano di Cdb ha pubblicato alcuni puntuti articoli e il fondatore di Fratelli d’Italia ha sporto denuncia. Il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, chiamato in causa per il coinvolgimento di un magistrato negli accessi abusivi, ha iniziato le indagini e in pochi mesi ha scardinato il sistema. Arrivando a iscrivere sul registro degli indagati 16 persone, tra cui cinque giornalisti, una toga dell’Antimafia e alcuni personaggi minori. I reati contestati a vario titolo sono quattro: accesso abusivo a sistema informatico, rivelazione di segreto, falso e abuso d’ufficio. Alla fine gli accessi effettuati non per ragioni d’ufficio sarebbero ben più di 800 e i capi di imputazione contestati sono in tutto una quarantina. Striano ha dovuto lasciare il suo ufficio e il sostituto procuratore Antonio Laudati ha perso la guida del servizio Sos della Dna. Sono stati iscritti sul registro degli indagati per accesso abusivo e rivelazione di segreto anche tre giornalisti del Domani, Giovanni Tizian, Stefano Vergine e Nello Trocchia, i primi due cacciatori di leghisti in servizio permanente effettivo, dalla storia della presunta truffa sui rimborsi elettorali da 49 milioni alla vicenda del Metropol. Nelle carte emerge come soprattutto Tizian abbia ricevuto centinaia di file riservati da Striano, a partire, addirittura dal 2014. La Procura di Perugia ha contestato a entrambi il reato più grave (l’ingresso abusivo nei database, pene da 3 a 8 anni) per una settantina di accessi «on demand» (ma i file visionati sono molti di più), la rivelazione di segreto (da sei mesi a tre anni) per i 337 file trasferiti al cronista, sempre su richiesta di quest’ultimo, di cui è rimasta traccia. Il direttore del Domani Emiliano Fittipaldi, già processato e assolto per Vatileaks e beneficiario in passato di altre rivelazioni, in questo caso ha lasciato fare il «lavoro sporco» allo stakanovista Tizian, il collettore delle presunte informazioni top secret, per poi firmare gli articoli a quattro mani. Ieri Fittipaldi ha scritto: «Mai era accaduto che fosse indagato l’intero pool d’inchiesta di uno dei pochi giornali d’opposizione del paese». Ma a mettere sotto indagine il suo team è stato un magistrato progressista, di cui per anni ha cantato le gesta. Adesso che quel magistrato fa il proprio dovere anche con i suoi giornalisti, diventa improvvisamente un nemico della libera informazione. Tanto da far strillare al direttore: «Dare notizie di rilievo su politici, aziende di Stato e criminali è diventato un lavoro a rischio. Ma promettiamo ai nostri lettori, unici nostri padroni, di continuare a farlo». Ma questo «giornalismo investigativo», difeso dalla maggior parte dei colleghi e dalle associazioni di categoria solo quando pende a sinistra, sembra piuttosto strabico. Sfogliando le imputazioni della Procura scopriamo che questi campioni della libertà di stampa hanno investigato praticamente a senso unico. È vero che molte ricerche sui politici sono contestate solo a Striano, ma è difficile credere che l’ufficiale le facesse per il proprio uzzolo. A volte, è la difesa dell’ufficiale, la richiesta sarebbe arrivata dai suoi superiori, come in occasione di un appunto su Matteo Renzi o su alcuni soggetti considerati vicini a Silvio Berlusconi, ma negli altri casi si tratterebbe di ricerche apparentemente non giustificate da ragioni d’ufficio. Alla fine negli accessi considerati illeciti dalla Procura sono entrati in pompa magna, per l’area leghista, la più colpita, ministri come Giuseppe Valditara, viceministri come Federico Freni, senatori come Claudio Borghi, Claudio Durigon, Massimo Garavaglia, deputati come Giulio Centemero, europarlamentari come Susanna Ceccardi ed Erika Stefani. Nel mirino pure l’inner circle di Matteo Salvini, da Gianluca Savoini all’intera famiglia Verdini. In Fratelli d’Italia, oltre a Crosetto, sono finiti sotto osservazione il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, quello dello Sviluppo ecomico Adolfo Urso (su di lui due accessi alla banca dati delle sos, il primo risale al 15 ottobre 2019, il secondo al 7 luglio 2022, quando Urso era già diventato presidente del Copasir), il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, la presidente dell’Antimafia Chiara Colosimo, il capo gruppo alla Camera Tommaso Foti e il vicepresidente di Montecitorio Fabio Rampelli. Sono state fatte ricerche anche sui social media manager di Salvini, Luca Morisi, e di Meloni, Tommaso Longobardi. Sotto la lente pure diversi ministri ed ex ministri o presidenti dei due rami del Parlamento, da Gilberto Pichetto Fratin a Marina Elvira Calderone, da Letizia Moratti a Vittorio Colao a Roberto Cingolani, da Irene Pivetti a Maria Elisabetta Casellati. Sono state fatte ricerche anche su politici di centro, berlusconiani o ex berlusconiani, da Lorenzo Cesa all’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, da Marta Fascina a Giovanni Toti, dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro a quello di Palermo Roberto Lagalla. Passati ai raggi x anche i famigliari di Giuseppe Conte, dalla compagna Olivia Paladino al suocero Cesare, e gli ex colleghi di studio dell’ex premier Guido Alpa e Luca Di Donna. In questa pesca a strascico il Pd e la sinistra sono praticamente non pervenuti. Presenti in lista, invece, diversi editori (Francesco Gaetano Caltagirone, Danilo Iervolino, Andrea Ceccherini, Antonio Angelucci, attenzionato insieme con il vecchio pigmalione Giulio Santarelli), armatori (Vincenzo Onorato, Ignazio Messina, Gianluigi Aponte), manager dello spettacolo (Lucio e Nicolò Presta, in affari con Renzi), imprenditori come il presidente di Confindustria Carlo Bonomi e Andrea Agnelli, ma persino uomini di sport e dello spettacolo come Massimiliano Allegri, Cristiano Ronaldo e Fedez.Non sono stati trascurati i figli del fondatore della P2 Licio Gelli e il faccendiere Piero Amara con i suoi sodali. Attenzione anche per i broker imputati nell’inchiesta sulle finanze allegre del Vaticano e per la collaboratrice del cardinale Angelo Becciu, Cecilia Marogna. Sono stati effettuati approfondimenti pure su un politico lepenista francese e su Anthony Scaramucci, uomo comunicazione alla Casa Bianca con Donald Trump, oltre che su Alessandro Chiocchetti, segretario generale del Parlamento europeo ed ex capo di gabinetto della ex presidente Roberta Metsola, un’altra «cliente» del Domani.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 14 novembre con Carlo Cambi
La Germania lancia il piano per reclutare mezzo milione di ragazzini, tra combattenti e riservisti: dal 2026, questionari obbligatori e visite militari ai diciottenni. Se scarseggeranno volontari, i coscritti verranno estratti. Per adesso, esentati donne e «non binari».
Dal divano alla trincea. Dai giovani che salvano il Paese restando sul divano durante il lockdown, ai diciottenni che devono mobilitarsi per la futura guerra contro la Russia. Nell’Europa di oggi, la storia si ribalta con disinvoltura. E così, archiviato lo spot del 2020, in cui lodava gli eroi della pandemia per essere stati «pigri come procioni», la Germania ha cambiato parola d’ordine. Prima era: «Restate a casa». Adesso è diventata: «Arruolatevi».
Il piano teutonico per rimpinguare le file dell’esercito con la coscrizione, concordato dai partiti di maggioranza e presentato ieri in conferenza stampa a Berlino, non è privo di aspetti grotteschi. A cominciare dal regime di esenzioni: il questionario che, dal 2026, il governo spedirà a chi compie la maggiore età, per determinarne l’abilità alla leva, dovrà essere obbligatoriamente compilato dai maschi, ma potrà essere ignorato dalle femmine e dai «non binari». Il confine tra l’inclusività e la gaffe è labile: il guanto di velluto arcobaleno l’avrà preteso la sinistra? Oppure la Bundeswehr non intende ingaggiare trans e individui dall’identità di genere ambigua?
Ll’ex ministro dell’Energia Svitlana Grynchuk (Ansa)
Scoperta una maxi rete di corruzione. L’entourage presidenziale: «Colpa di Mosca». Da Bruxelles arrivano ancora 6 miliardi, ma crescono i dubbi sull’uso degli asset russi.
Quando gli investigatori dell’Ufficio nazionale anticorruzione (Nabu) hanno aperto il fascicolo dell’operazione «Mida» di sicuro non si immaginavano di imbattersi in una struttura capace di gestire come un feudo privato uno dei settori più sensibili dell’Ucraina: il sistema elettrico nazionale. Quindici mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali, sopralluoghi e documentazione sequestrata hanno rivelato un apparato clandestino che drenava denaro dagli appalti di Energoatom, la società pubblica che controlla tutte le centrali nucleari del Paese. Una rete che, secondo gli inquirenti, sottraeva percentuali fisse dagli appalti (tra il 10 e il 15%) trasformando ogni contratto in una fonte di arricchimento illecito mentre la popolazione affrontava - e lo fa anche oggi- blackout continui e missili russi diretti sulle infrastrutture.
Manfredi Catella (Ansa)
La Cassazione conferma la revoca degli arresti e «grazia» l’ex assessore Tancredi.
La decisione della Corte di Cassazione che ha confermato la revoca degli arresti domiciliari per Manfredi Catella, Salvatore Scandurra e gli altri indagati (e annullato le misure interdittive verso l’ex assessore Giancarlo Tancredi, l’ex presidente della commissione Paesaggio Giuseppe Marinoni e l’architetto Federico Pella) rappresenta un passaggio favorevole alle difese nell’inchiesta urbanistica milanese. Secondo i giudici, che hanno respinto il ricorso dei pm, il quadro indiziario relativo al presunto sistema di pressioni e corruzione non era sufficiente per applicare misure cautelari.





