A fine giugno le commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato avevano prodotto un documento sulla riforma del fisco escludendo patrimoniale e riforma immobiliare. Una scelta disattesa dagli stessi partiti nel Consiglio dei ministri di martedì.
A fine giugno le commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato avevano prodotto un documento sulla riforma del fisco escludendo patrimoniale e riforma immobiliare. Una scelta disattesa dagli stessi partiti nel Consiglio dei ministri di martedì.Era mercoledì 30 giugno quando le commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato si riunivano per produrre un documento di sintesi sulla riforma del fisco. Diciannove pagine frutto di mesi di lavoro e soprattutto di complessa mediazione sono uno dei risultati più interessanti prodotti dalla attuale maggioranza di governo con l'obiettivo di dettare le linea guida per una riforma basata sul modello duale e impostata su un reddito individuale come entità d'imposta dell'Irpef con spunti agevolativi all'interno del nucleo familiare. Regime forfettario e riduzione delle aliquote per i ceti medi. Nelle settimane precedenti a fare incagliare il lavoro erano state due tematiche precise. La patrimoniale e la riforma del catasto. Leu già nel 2020, ripescando emendamenti vecchi e mai andati in porto, aveva chiesto l'introduzione di un'imposta aggiuntiva sui patrimoni da collegare anche alle tasse di successione. Il centrodestra e Italia viva al momento del redde rationem si sono opposti e il Pd non ha voluto intestarsi la stangata. Così l'accenno è stato cancellato. La stessa cosa è avvenuta per il catasto. Poche ore prima del voto, Luigi Marattin (Iv) e Luciano D'Alfonso (Pd), rispettivamente presidenti alla Camera e al Senato, hanno pensato bene di aggiungere un emendamento per valutare «l'opportunità di inserire nella prossima legge delega un riordino complessivo dei valori catastali, valorizzando il più possibile ruolo e funzioni dei Comuni e con l'obiettivo di riequilibrare il peso dell'Imu in favore degli immobili nei piccoli Comuni delle aree interne e degli immobili dichiarati inagibili». La frase sparisce invece dal testo definitivo perché i capigruppo decidono che la riforma del catasto non va fatta per evitare strumenti atti ad alzare i valori e gli estimi e di conseguenza la pressione fiscale sul mattone. Nemmeno la clausola «in Italia non vi è bisogno né di introdurre nuove imposte né aumentare il gettito aggregato di quelle esistenti» è stata considerata sufficiente per mettere al sicuro i contribuenti. Così alle 21.15 del 30 giugno si passa al voto. Si astiene il rappresentante di Leu, Luca Pastorino, mentre votano contro i capigruppo di Fratelli d'Italia e chi li sostituisce (a votare c'è anche Lucia Albano in sostituzione di Marco Osnato. Tutti gli altri capigruppo presenti e relativi senatori e deputati votano a favore. Dice sì Marattin, Giulio Centemero della Lega, ma anche D'Alfonso, Antonio Martino di Forza Italia. Stessa posizione da parte dei rappresentanti dei 5 stelle e del gruppo Misto. Tutti, in pratica, decidono che il Parlamento non vuole una riforma del catasto che sia anche solo potenzialmente utile ad alzare le tasse. Su 69 membri della VI commissione permanente, solo 5 si sfilano. Eppure la scelta compatta non ha portato a nulla. Le indicazioni del Parlamento sono state tradite dagli stessi partiti che con i loro ministri hanno partecipato al Consiglio di martedì. A comprendere il tradimento politico bastano le parole di ieri di Daniele Franco. In audizione per spiegare la Nadef, il ministro ha tenuto a precisare che una volta terminata la riforma del catasto, «nel 2026 deciderà chi vorrà usarlo». Come dire, una volta raggiunto l'obiettivo tecnico poi sarà una scelta politica alzare le tasse. Non ci voleva un genio per capirlo. E - ribadiamo - non è un caso che le commissioni si siano scannate tanto su questo tema. Per questo le parole di Mara Carfagna e Renato Brunetta ieri sono sembrate in totale dissonanza con quelle dei colleghi di Forza Italia presenti al voto in commissione lo scorso 30 giugno. A sentire i due ministri azzurri la riforma del catasto è un grande successo politico. Due mondi e due vocabolari. Che cozzano anche su altri temi affrontati dal Parlamento. Uno degli 8 obiettivi che si pone il paper è quello di «elevare al rango costituzionale di alcune parti dello Stato lo statuto del contribuente». Una missione sacrosanta. Quando il Parlamento inserì il pareggio di bilancio in Costituzione avrebbe dovuto aggiungere anche lo statuto del contribuente per evitare che diventasse (come è ora) carta straccia che può essere derogata a ogni pie' sospinto. La legge delega uscita dal Cdm di martedì al contrario non fa un minimo cenno alla riforma della giustizia tributaria. Niente che tuteli il cittadino e contribuente dagli algoritmi futuri e dagli errori o dalle interpretazioni dell'amministrazione finanziaria. Se possibile, questa china è molto più grave del rischio di nuove tasse. La strada da qui al 2026 è quella di costruire una macchina di riscossione basata su automatismi e sulla spinta dei canali digitali, modelli 730 precompilati con aggiornamenti annuali dei valori catastali e previsioni di redditi in base alle spese. Agli italiani non resterà che contestare a cose fatte. E quando ci sarà l'euro digitale, a prelievo avvenuto.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






