2020-08-07
Ecco la riforma bluff di Bonafede: il Csm resta delle correnti
Scompare dalla proposta del Guardasigilli l'idea del sorteggio dei componenti del Consiglio. Torna pure l'anzianità di servizio.Servirà a qualcosa la proposta presentata ieri dal Guardasigilli grillino, Alfonso Bonafede, con il «Disegno di legge recante deleghe al governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario»? Basterà a superare il disastro della nostra giustizia, emerso dalle intercettazioni del pubblico ministero romano Luca Palamara, il leader della corrente di Unicost che con due annetti di messaggini via WhatsApp ha svelato involontariamente la cruda realtà del mercimonio di nomine e promozioni all'interno del Consiglio superiore della magistratura? E nei due anni di legislatura che restano, riuscirà il Parlamento a trasformare in legge la proposta?Ieri sera il progetto firmato da Bonafede è arrivato in Consiglio dei ministri, avvolto da questi interrogativi cruciali. Ha portato con sé una sola certezza, e cioè la triste conferma che il ministro non è riuscito a tenere duro sull'unica buona strada che due anni fa aveva imboccato per tagliare le unghie alle quattro correnti, i piccoli «partiti» in cui si divide la magistratura: dalla riforma è scomparso il sorteggio dei membri togati del Csm tra i circa 9.000 magistrati italiani. Contestato dalle correnti, criticato allo spasimo dall'Associazione nazionale magistrati, malvisto dal Partito democratico, il sorteggio era stato ipotizzato almeno una decina d'anni fa come «via d'uscita dal mercato delle nomine» da due pm di diversa estrazione culturale come Bruno Tinti e Carlo Nordio, e all'inizio di questa legislatura era stato coraggiosamente sposato da Bonafede come «idea forte» proprio per togliere la magistratura dalle grinfie delle correnti. «Io sono aperto al dialogo con l'Anm», aveva giurato il ministro, «ma su questo punto non torno indietro». Alla fine, invece, Bonafede ha ceduto su tutta la linea. Il suo testo propone un sistema elettorale complesso, maggioritario e a doppio turno. I magistrati dovranno eleggere 20 membri, invece degli attuali 16, dividendosi in 19 collegi. Ogni collegio dovrà esprimere almeno 10 candidati. Al primo turno passerà il candidato che avrà almeno il 65% dei voti validi. In caso contrario, si andrà al secondo turno con un ballottaggio tra quattro candidati. È un sistema che presenta falle evidenti, criticate con dura ironia da Pierantonio Zanettin, deputato di Forza Italia e grande esperto della materia in quanto membro del Csm nella consiliatura chiusa nel 2018: «È una riforma cervellotica», dice, «che in realtà legittima le correnti che pretende di limitare. L'elezione al primo turno con il 65% dei voti è di fatto impossibile, vista la frammentazione delle candidature. E il ballottaggio avviene non fra i due migliori candidati, come in tutti i sistemi a due turni, ma tra i migliori quattro. E le correnti della magistratura, guarda caso, sono proprio quattro: è chiaro che Bonafede vuole rendere inevitabili gli accordi tra loro».Il disegno accresce il numero dei membri laici del Csm, di nomina parlamentare, che passano da 8 a 10. Non potranno essere eletti ministri, sottosegretari o assessori che facciano parte di governi nazionali e regionali in carica, né attivi nei due anni precedenti. A questa regola fa in qualche misura da contraltare la norma che impedirà ai magistrati di tornare a indossare la toga se eletti deputati, senatori, europarlamentari o consiglieri regionali, oppure se destinatari d'incarichi di governo o in giunte locali. Alla fine del mandato politico, i magistrati saranno ricollocati al ministero della Giustizia o in altri ministeri, e andranno quindi a ingrossare le fila dei già troppi «fuori ruolo» distaccati nei dicasteri, al momento tra 100 e 200.Per evitare le nomine a «pacchetto», che favoriscono accordi sottobanco tra le correnti, Bonafede vuole diventi obbligatorio attenersi «all'ordine temporale con cui i posti si sono resi vacanti», e stabilisce l'obbligo dell'audizione dei candidati: sono due idee giuste, anche se insufficienti. Per la nomina del successore di Giuseppe Pignatone a capo della procura di Roma, in effetti, la commissione nomine del Csm nel 2019 aveva saltato a pie' pari le audizioni dei 13 candidati, molti dei quali non iscritti a correnti, garantendo la corsa solo ai due «papabili» sostenuti da un gruppo organizzato: ma sarebbe cambiato qualcosa, se gli altri 11 candidati senza speranza avessero avuto la possibilità di essere ascoltati dal Csm? Francamente, c'è da dubitarne. A sorpresa, tra i criteri di valutazione che Bonafede stabilisce dovranno concorrere alla scelta tra i candidati a dirigere un ufficio, torna l'anzianità di servizio: un metro che in passato è stato contestato, e che in certi casi ha dato risultati pessimi. È noto che nel 1988 il Csm preferì Antonino Meli a Giovanni Falcone come capo dell'ufficio istruzione di Palermo: il motivo «tecnico» fu che Meli aveva 20 anni di anzianità in più rispetto a Falcone, anche se la sua competenza nelle indagini di mafia era di certo inferiore. L'anzianità, nel progetto Bonafede, varrà però «come criterio residuale a parità di valutazione risultante dagli indicatori del merito e delle attitudini». Sempre per arginare le correnti, infine, il ministro stabilisce con discreto tasso d'ingenuità che al Csm non possano «essere costituiti gruppi tra i suoi componenti» e avverte (in questo caso con una vena di moralismo) che ogni membro «esercita le proprie funzioni in piena indipendenza e imparzialità». Bene. Bravo. Ora Bonafede vada a dirlo agli amici e colleghi di Palamara…