2021-10-15
Tessera verde inventata prima che ci fosse la pandemia
In un documento strategico della Commissione sull’identità digitale, risalente al 19 febbraio del 2020, erano già presenti tutti gli elementi che poi avrebbero caratterizzato l’attuale certificazione verdeLa carta verde prima della carta verde. E prima dello scoppio della pandemia. Abbiamo già avuto modo di spiegare come l’applicazione del green pass su larga scala stia consentendo per la prima volta nella storia italiana ed europea di formare una base dati utente (trasformare i cittadini in account digitali) lungo un’autostrada che si basa sugli algoritmi della blockchain. La stessa tecnologia che servirà a introdurre l’euro digitale o sviluppare funzioni di pagamento e tracciabilità online. Infatti, in quanto tale, il green pass è proprio il fattore decisivo per l’accelerazione della digitalizzazione intensiva decisa dalle politiche di Bruxelles già prima della dichiarazione della pandemia da parte dell’Oms nel marzo del 2020. Una strategia che emerge dalla pubblicazione del documento strategico, chiamato «Plasmare il futuro digitale dell’Europa» (COM(2020) 67 final, 19.2.2020). Un testo peraltro molto aderente allo studio «Shaping the digital transformation», condotto per conto della Commissione dal McKinsey Global Institute (pubblicato a settembre del 2020).In tale documento si possono trovare le radici stesse dell’attuale green pass. L’Ue già a febbraio 2020 prevedeva il ricorso a una vera «identità elettronica (eID) pubblica universalmente accettata», poggiata su un robusto sistema infrastrutturale, sviluppata secondo un chiaro principio di interoperabilità degli standard informatici dei dati e rafforzata dall’estensione, al di fuori dai servizi finanziari, di quei presidi tipici del mondo finanziario della cosiddetta Psd2 (o Direttiva sui Pagamenti), come i fattori di autenticazione. Essa rappresenta il pilastro di tutta una serie azioni ritenute necessarie per guidare la «transizione verso un pianeta in salute e un nuovo mondo digitale». Ad esempio, oltre al miglioramento delle competenze digitali dei cittadini, l’aumento della connettività e la garanzia della sovranità tecnologica europea attraverso un’espressa politica di controllo dei dati, in tale importante documento strategico si parla di azioni per: 1 «migliorare il processo decisionale pubblico e privato», 2evitare «tentativi di manipolazione dello spazio dell’informazione», 3 supportare il green deal «monitorando dove e quando c’è maggiore domanda di energia elettrica», 4 modernizzare la struttura economica e finanziaria, e 5 avere uno «spazio europeo dei dati sanitari». E al riguardo, viene individuata una serie di piani d’azione, quali quello «per la democrazia europea volto a migliorare la resilienza dei nostri sistemi democratici», sostenere il pluralismo dei media, affrontare le minacce di interventi esterni nelle elezioni europee applicando il voto elettronico.Da febbraio del 2020, la centralità dell’identità digitale pubblica, peraltro, si è rapidamente sviluppata con atti formali del tutto coevi a quelli che hanno portato all’elaborazione e implementazione dell’infrastruttura tecnologica del green pass e all’approvazione del relativo regolamento di giugno 2021. Tant’è che, come abbiamo già avuto modo di notare, dopo la consultazione pubblica aperta da luglio a novembre del 2020, nel marzo del 2021, la Commissione ha rilasciato il piano digitale del prossimo decennio («2030 digital compass»), che ha indicato espressamente l’urgenza della riforma dell’impianto normativo dell’identificazione elettronica, la cosiddetta eIDAS. Sarà il perno principale di azioni di massiccia informatizzazione che andranno fatte a tutti i livelli, specie nei servizi pubblici, tutti da digitalizzare.Il parallelo con il green pass si scopre anche nelle caratteristiche del nuovo sistema di identità elettronica e-IDAS, incentrato sulla creazione di portafogli europei di identità digitale, cioè certificazioni di credenziali personali da conservare su wallet dotati di firme crittografiche sotto forma di Qr Code - in grado di collegare le identità digitali nazionali degli utilizzatori con la prova di altri attributi personali (per esempio il conto bancario, titoli di studio), a consentirne la perfetta sovrapponibilità con la sostanza informatica e giuridica del green pass.Sfugge infatti - per la volontaria ostinazione a tenere basso il livello della discussione pubblica - che il nocciolo della questione sta nella potenzialità dirompente della trasformazione dell’identità personale in identità pubblica digitale. E anche la riduzione dei cittadini a meri utilizzatori di servizi pubblici o privati erogati, con i medesimi meccanismi del Web service, da piattaforme nazionali a stretto controllo pubblico su cui, con il modello del Governament as platform, per alcuni settori ritenuti strategici, vi potrà essere una condivisione di dati sanitari e relativa identificazione personale anche per altre «forme di impiego» (trasporto, servizi finanziari, istruzione).E visto che di ciò fondamentalmente si tratta, sarebbe utile tenere in maggior conto che è cruciale una governance democratica della digitalizzazione. Va poi mantenuta la barra del timone ferma verso la rotta della cosiddetta Western legal tradition, quella cioè che ha consentito fin dall’avvento della cyberproperty o smartproperty dei nomi a dominio di mantenere inalterato il legame proprietario diretto con la realtà concreta anche nel contesto di smaterializzazione prettamente digitale; e quella che ha consentito di affrontare la vastità delle tematiche economiche e giuridiche sottese all’avvento di Internet richiamandosi sempre, implicitamente, a teorie generali del diritto idonee a regolare la smaterializzazione per via telematica e tecnologica in un ordinato contesto giuridico, sociale, politico ed economico.La Western legal tradition, quella contro la quale il professor Lessig, con le sue licenze di Creative Commons, lanciò diversi anni fa la sfida del Code is Law, ha già da tempo dimostrato che il Code (inteso quale codice informatico) rimane tale, così come la legge e il suo ruolo fondamentale. E che il diritto può e deve - con gli strumenti e le sue concettualità tipiche - approcciare e agevolare la diffusione dei fenomeni tecnologici e gli effetti della digitalizzazione per renderli economicamente praticabili senza distruggere il tessuto democratico della società. Sarebbe interessante portare tutti i dubbi e le tematiche connesse dal piano dei paper Ue agli scranni del Parlamento.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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