2021-07-22
E se tutto fosse finto? L’illusione radicale in «Matrix» e «The Truman Show»
True
The Truman Show (Paramount Pictures)
Se fossimo cervelli in una vasca, sapremmo di essere cervelli in una vasca? Il quesito è del tipo che può venire in mente solo a un filosofo, nello specifico allo statunitense Hilary Putnam, che nel 1981 ipotizzò esattamente uno scenario di questo tipo. Putnam si trovò a immaginare che l'intera esperienza del mondo che sperimentiamo sia una simulazione.Tutto ciò che vediamo intorno a noi potrebbe essere falso, illusorio, frutto unicamente di impulsi elettrici inviati al nostro cervello, immerso in una vasca e collegato a qualche supercomputer in grado di creare una realtà fittizia da inviare sotto forma di input al nostro cervello e di farglielo elaborare come esperienza vera. Si tratta, lo si capisce bene, di una variazione sul tema del malin génie di Cartesio «che abbia impiegato tutta la sua industria ad ingannarmi. Io penserò che il cielo, l'aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni, di cui egli si serve per sorprendere la mia credulità». Si tratta di ipotesi operative, casi di scuola per mettere alla prova la nostra esperienza del mondo di fronte a dubbi estremi. Roba che, come detto, ossessiona i filosofi ma non toglie certo il sonno al resto dell'umanità. Almeno dal 1999, tuttavia, tale problematica gnoseologica ha conosciuto una popolarizzazione amplissima grazie a uno dei film più iconici della storia del cinema. Parliamo, ovviamente, di Matrix: la pellicola scritta e diretta dai fratelli Andy e Larry Wachowski (oggi Lilly e Lana Wachowski: hanno cambiato sesso entrambi). Il tema è noto: un hacker, Neo, interpretato da Keanu Reeves, viene contattato da una misteriosa organizzazione clandestina e, al contempo, braccato da agenti governativi senza scrupoli. I ribelli spiegano a Neo la più terribile delle verità: il mondo come lo conosciamo è una simulazione, un programma, Matrix, appunto. Tutti noi viviamo in realtà in gigantesche incubatrici per fungere da pile umane alle macchine che si sono ribellate e hanno preso il potere. Uno spinotto attaccato alla base del cranio ci illude tuttavia di essere liberi, di avere una vita, un lavoro, delle relazioni. Nulla di tutto questo è vero, siamo solo batterie viventi per i robot. Solo un piccolo nucleo di ribelli si è staccato lo spinotto e vive nel mondo reale, combattendo le macchine. La storia poi si svilupperà in due sequel, complicandosi e attorcigliandosi parecchio, perdendo molta della sua carica innovativa iniziale, dovuta anche alla creazione di un'estetica particolarissima e a degli effetti speciali allora mai visti. Il tema del mondo fittizio, tuttavia, doveva essere nell'aria, in quel periodo, se è vero che esattamente l'anno prima, nel 1998, era uscito nelle sale The Truman Show, di Peter Weir. In questo caso, la simulazione non era digitale, come nel caso di Matrix, ma analogica: attorno a Truman Burbank (il protagonista, interpretato da Jim Carrey) è stato costruito un gigantesco set, in cui egli inconsapevolmente vive sin dalla sua nascita. Un vero e proprio reality di durata decennale, seguito da miliardi di persone, il cui protagonista però è all'oscuro di tutto, manipolato dal cinico regista con manie di grandezza Christof (Ed Harris). The Truman Show è a sua volta ispirato a due episodi di The Twilight Zone, popolare serie tv conosciuta in Italia come Ai confini della realtà, in particolare all'episodio A World of Difference, del 1960, in cui un uomo d'affari sente un regista gridare «taglia!» e scopre di vivere dentro uno spettacolo televisivo, e a Special Service, del 1989, in cui un uomo nota una telecamera dietro uno specchio e, anche in questo caso, capisce di vivere dentro a uno show montato ad arte per gli spettatori. Sia in The Truman Show che in Matrix l'illusione viene spezzata dal brusco risveglio del protagonista: autonomo, nel caso di Truman, che mette in fila tutta una serie di incongruenze, stranezze e gaffe della produzione per prendere coscienza della sua condizione e scappare dalla sua bolla; guidato dai ribelli, nel caso di Neo, che viene convinto dal suo mentore, Morpheus (Laurence Fishburne) a ingoiare la famosa pillola rossa, viatico alla scoperta della realtà. Uscire dalla caverna platonica (forse il mito filosofico originario a cui si rifanno tutte queste narrazioni, prima di Putnam e di Cartesio) è un passaggio necessario per consolare lo spettatore, ma forse è anche il punto filosoficamente più deludente delle due pellicole. Lo notò, con grande acume, Jean Baudrillard, che rispedì al mittente l'esplicito omaggio dei fratelli Wachowski (nel film appare la copertina di Simulacra and simulations) e tuonò: «Matrix è un po' il film sulla Matrice che avrebbe potuto fabbricare la Matrice», disse. Nella pellicola, i personaggi o sono nel mondo vero o sono nel mondo finto. «In effetti», spiegò Baudrillard, «sarebbe interessante mostrare ciò che accade sul punto di giuntura dei due mondi».
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