2019-07-11
È ripartito il processo a Gianni Zonin
Due settimane fa il presidente del collegio giudicante aveva lasciato per timore di conflitti di interessi. Il dibattimento si sposta da Mestre a Vicenza, però va avanti.Azzimato e imperturbabile come sempre, ha schivato curiosi e giornalisti, grazie a un'entrata secondaria del tribunale di Borgo Berga. Poi Gianni Zonin ha raggiunto l'aula, s'è seduto al centro della prima fila e ha tirato un lungo sospiro. Il processo per il crac della sua Popolare di Vicenza, che ha travolto decine di migliaia di risparmiatori, è tornato in carreggiata. Nonostante tutto. Eppure, solo due settimane fa, sembrava essersi impantanato nelle solite secche procedurali. Scatenate dalla defezione dell'ormai ex presidente del collegio, Lorenzo Miazzi. Che decide di lasciare per il rischio d'incompatibilità: la sorella, avvocato, è socia di studio del difensore di un imputato. Segue pandemonio. Con le associazioni dei correntisti beffati che denunciano l'ennesimo impasse e l'incombente prescrizione. Invece, sorpresa. Il processo riparte senza colpo ferire. Dopo mesi di udienze nell'aula bunker di Mestre, ieri è riapprodato nel tribunale di Vicenza. Del resto, la nuova presidente, il giudice Deborah De Stefano, una settimana aveva già diradato le nubi più fosche. Le udienze proseguono. E i testimoni sentiti saranno riconvocati in due ulteriori dibattimenti, fissati a luglio e settembre. Supplemento istruttorio simbolico. Che però allontana il pantano. E rasserena i combattivi comitati. «La strada è ancora lunga» commenta Barbara Puschiasis, presidente di Consumatori attivi. «I fatti che abbiamo sempre denunciato stanno però cominciando a emergere, anche dalle parole dei testimoni». Come l'ex sindaco di Lugo di Vicenza, il commercialista Robertino Cappozzo, ascoltato ieri dal nuovo collegio. In aula racconta che, nel 2014, gli viene chiesto di «fare un favore alla banca». Ovvero: intestarsi 500.000 euro di azioni. «Mi avevano detto» aggiunge «che per me sarebbe stata un'operazione a costo zero». Ma quei titoli non vengono riacquistati. Mentre Cappozzo è pure segnalato alla centrale rischi della Banca d'Italia. Adesso è parte civile nel processo: «Iniziative di questa vastità non potevano essere compiute senza che i vertici sapessero». E Zonin? «Il presidente mi aveva risposto che non ne era a conoscenza». L'interessato, intanto, ascolta impassibile. È poi la volta di un suo vecchio amico: il cavaliere Renè Caovilla, 81 anni, imprenditore di scarpe di lusso per donne ed ex editore del Gazzettino. Grazie alle traversie della Popolare di Vicenza c'ha rimesso 30 milioni: euro più, euro meno. «Nel 2012, dopo aver sentito voci discordanti sulla solidità dell'istituto, ho messo in vendita le mie azioni» riferisce in aula. «Ma, durante alcune cene con Zonin, lui stesso mi ha confermato che non erano pericolose». Dopo il crollo del titolo della popolare, le cose però cambiano: «Non ci siamo più frequentati» ammette Caovilla davanti ai giudici. Una settimana fa è stato sentito invece il conte Christian Malinverni, imprenditore della ristorazione e proprietario dell'omonima villa Godi Malinverni. Dove, nel 2014, si era svolto l'annuale e prestigiosa cena della banca, quella dello spiedo di uccellini. Al conte, gli allora manager avevano chiesto la ferale cortesia: tenere per qualche mese 24.000 azioni. Comprate dall'interessato con un prestito da 1,5 milioni, generosamente concesso. E proprio durante il rendez-vous, rivela Malinverni, uno dei membri del cda si sarebbe rivolto a Zonin, «invitandolo a farmi i complimenti per l'acquisto delle azioni». Il presidente avrebbe risposto con un laconico «grazie». Il conte aggiunge: «Non ho mai visto i documenti delle mie operazioni. E quando ho chiesto spiegazioni capii che s'era rotto qualcosa». Già. Uno di quei cigolii che annunciavano lo sconquasso finale.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)