2020-05-11
È ora di fave. Le alternative alla soia con ottime proteine vegetali
Si coltivano senza ricorrere a modificazioni genetiche. Contengono minerali preziosi per l'organismo. E sono tipiche del Mediterraneo.Si affermano molto spesso credenze collettive, basate su fake news o su presunte veridicità che poi però, passate al microscopio, non corrispondono affatto alla verità. Una di queste è l'idea alimentare che la soia sia la proteina vegetale per eccellenza, la somma alternativa verde alla carne anche in termini di minore impatto ambientale. Ebbene, è notizia recente che produrre polvere proteica con le fave anziché con la soia rappresenterebbe «un'alternativa molto più rispettosa del clima». L'avreste mai detto? Probabilmente no, ma sono le parole testuali dei ricercatori del Dipartimento di scienze alimentari della Københavns Universitet. In quel di Copenaghen, i nostri scienziati hanno considerato che i danesi e, in generale, gli europei scelgono spesso tofu, latte di soia e macinato vegetariano al posto di formaggi, latti e macinato animali per «integrare o sostituire completamente il loro consumo di proteine di origine animale con proteine di origine vegetale. Le considerazioni sul clima fanno parte del loro ragionamento», oltre, naturalmente, a quelle salutistiche. Sono in molti a credere, da almeno un ventennio, che non esista un'alternativa alla soia e lo testimoniano i prodotti a base di quest'ultima che hanno letteralmente invaso le nostre abitudini e le nostre rivendite alimentari. Ma lo studio del team scientifico, pubblicato su Foods, ribalta tutto: «Le fave sono molto promettenti come fonte non-soy di proteine vegetali. Inoltre, le fave sono un'alternativa migliore per l'ambiente. Uno dei vantaggi delle fave è che possono essere coltivate qui, localmente in Danimarca». chilometro zeroLe fave, dunque, risultano climaticamente più sostenibili anche perché in Europa sono a chilometro zero rispetto ai semi di soia, coltivati per lo più negli Stati Uniti e in Sud America e poi esportati con ulteriore inquinamento (dopo il boom occidentale della soia dell'ultimo ventennio, il Brasile e il Paraguay hanno abbattuto enormi aree forestali per coltivarla, così danneggiando la fauna selvatica, la biodiversità e aumentando le emissioni di Co2...). Di contro, le fave sono una coltura tipicamente europeo-mediterranea e, per la dottoressa Iben Lykke Petersen - da non confondere con la calciatrice Stina Lykke Petersen -, a capo del Dipartimento di cui sopra e impegnata nell'europrogetto Protein2food, «un altro fattore importante è che, a differenza delle fave, molta soia viene geneticamente modificata per poter tollerare il Roundup, un erbicida». Alla ricerca dell'alternativa alla soia ambientalmente più sostenibile, la squadra guidata dalla Petersen ha testato molte colture, valutando fattori come la resa in polvere proteica e la coltivabilità locale, per giungere alla conclusione che le fave battono lenticchie, amaranto, grano saraceno, quinoa e anche piselli, per via del loro sapore riconoscibile, mentre invece quello delle fave, ridotte in polvere, non è così connotante. Insomma, forse il futuro trasformerà i soia-maniaci in fava-maniaci, ma nel frattempo, anche senza essere scienziati ma semplici cultori della tradizione alimentare, si può energicamente difendere la grande validità delle fave come leguminosa proteica. crude con il pecorinoNon ci si penserebbe, perché al momento non sono granché diffuse: le vediamo fresche nei mercati e supermercati soltanto tra fine aprile e inizio maggio, complice l'usanza di mangiarle crude con formaggi stagionati, in primis pecorino, per il classico picnic della Festa dei lavoratori. Le troviamo anche congelate e, dai più forniti, conservate in barattolo, ma in percentuale assolutamente minoritaria rispetto, per esempio, ai piselli che per molti esauriscono il parco legumi freschi. Anche nel settore dei legumi secchi non può capitare di non trovare fagioli o lenticchie, ma la ricerca di fave secche è sempre un punto interrogativo: ci saranno oppure no? E non parliamo, poi, della farina di fave. Qualche rivendita ce l'ha, ma davvero poche, se la trovate fate conto di aver trovato un quadrifoglio. Ormai, infatti, abbiamo a disposizione la farina di qualunque cereale o legume, ma rintracciarla di fave è decisamente raro. Contro questa attuale subalternità delle fave rispetto ad altri legumi non ha potuto niente nemmeno la globalizzazione, che invece ci ha fatto apprezzare, talvolta acriticamente, cibi di ogni tipo, magari mai sentiti nominare, dalle bacche di goji all'amasake (lo zucchero di riso). Le fave, infatti, sono l'ingrediente principale delle polpettine mediorientali, probabilmente di origine egiziana, di nome falafel (si possono realizzare con le fave oppure con i ceci, a nostro avviso sono più buone di fave), eppure nessuno di noi va a cercare fave fresche per preparare falafel con la stessa solerzia con la quale ci si è gettati su tutta la paccottiglia esterofila degli ultimi tempi, a quanto pare non ci vanno nemmeno i mediorientali che vivono qui: se ci si va non si tratta di una richiesta così alta da modificare l'offerta, che mentre aumenta l'immigrazione africana resta sempre uguale.dall'africa all'italiaMa le fave andrebbero riscoperte innanzitutto in chiave italiana: pur non avendo nel menu tricolore le iconiche polpettine del Medio Oriente, possiamo vantare ricette tradizionali altrettanto gustose. In passato, infatti, le fave sono state un legume estremamente importante, diremmo fondamentale, ben diversamente da oggi, innanzitutto per le classi meno abbienti. Non lo sospetteremmo, ma ci troviamo di fronte a un legume veramente protagonista dell'Europa. Come spiega Cibo. La storia illustrata di tutto ciò che mangiamo: «Si ritiene che le fave siano uno dei più antichi prodotti alimentari coltivati, insieme a ceci, lenticchie e piselli. Le prime tracce note, rinvenute in Israele, risalgono al 6800-6500 avanti Cristo. Resti archeologici risalenti al 3000 avanti Cristo sono stati trovati nell'area del Mediterraneo e nell'Europa centrale. Probabilmente, le fave ebbero un ruolo importante nella dieta di molti popoli mediterranei e del Vicino oriente. Oggi sono diffuse in tutto il pianeta. Coltivarle è facile, e la robustezza ha permesso loro di spostarsi ben oltre il Medio Oriente e l'Asia di cui sono originarie, raggiungendo il Nord dell'Europa, le Americhe, l'Africa e gran parte dell'Asia, dove sono diventate un ingrediente chiave di molti piatti e contorni tradizionali». dieta anticaFava deriva dal latino vicia faba: viere o vincire vuol dire «legare» e fag è la radice di mangiare, con evoluzione della gutturale «G» in labiale «B» e poi, nel passaggio dal latino all'italiano, in fricativa labiodentale sonora «V». Letteralmente vicia faba significa «legaccio edibile» e, con questa denominazione, si faceva riferimento ai cirri: le foglioline terminali della pianta di fava sono appendici che, come nel caso della vite, aiutano la pianta ad attaccarsi a un sostegno. L'edibilità delle fave, caratteristica tanto evidente da diventarne nome, è indubbia: l'alto contenuto proteico e la facilità di attecchimento e diffusione spontanea, ancor prima che coltivata, ne hanno fatto nel tempo lo sfamapopolo per eccellenza. Non soltanto il popolo umano. Le varietà più diffuse di questa specie appartenente alla famiglia delle leguminose - che sono anche dette fabacee, dalla vicia faba, appunto, sottofamiglia faboidae che comprende anche la soia, il pisello, il cece, il fagiolo, la lenticchia e l'arachide - sono tre, distinguibili in base alla dimensione dei semi. Innanzitutto la vicia faba major, una fava grossa (1.000 semi pesano da 1.000 a 2.500 grammi) usata per l'alimentazione umana; poi la vicia faba minor, detta favino o fava piccola, i cui semi (1.000 semi pesano meno di 700 grammi) s'impiegano per seminare erbai e sovesci per risparmiare quantità rispetto ad altre varietà e come concentrati nell'alimentazione del bestiame da allevamento; infine la vicia faba equina detta favetta o fava cavallina con semi medi (1.000 semi pesano da 700 a 1000 grammi): le fave inscatolate e surgelate sono quasi tutte favette.anche fertilizzantiAbbiamo detto sovescio: è una coltivazione di colture che hanno l'effetto di fertilizzare il terreno e la fava è una di queste (la fava presenta sulle sue radici il batterio Rhizobium leguminosarum che fissa l'azoto atmosferico e coniugata questa caratteristica alla sua capacità di adattamento - cresce anche in Groenlandia! - si capisce come, oltre che coltura da pasto - umano e animale - essa sia un'ottima coltura da concimazione). Un'altra differenza fondamentale con altri legumi che ci spiega come mai, in passato, la fava non era la Cenerentola ma piuttosto la regina delle faboidae, è che le fave possono essere mangiate crude: lenticchie, ceci eccetera proprio no. In primavera le consumiamo proprio così, estraendo i semi dal baccello e poi rimuovendo (ma non tutti lo fanno e nel caso della cottura o dell'essiccazione non è necessario) la pellicola che le ricopre, detta «tegumento». Possiamo mangiarle tutte, dalle fresche alle secche, dalle congelate alle conservate, e in mille modi: crude, cotte al vapore, in zuppa, ridotte in purea, nei primi, come contorno. Quel modo di dire molto popolare, «dalla rava alla fava», con il quale si intende una descrizione esaustiva di tutti gli elementi, usato anche nella forma «la rava e la fava» intendendo questo e quello, deriverebbe dall'immagine della pianta descritta in ogni sua parte, dalla «rama», cioè il ramo, poi diventata «rava» per rimare, alla fava, cioè il seme interno: ebbene, può essere usato anche per riferirsi alle infinite soluzioni di consumo della fava. Ed è esaustiva anche la composizione nutrizionale di questo bel legume verde brillante: 100 grammi di fave fresche contengono 18 grammi di carboidrati, equamente suddivisi in 9 grammi di zuccheri, 9 di fibra e 8 grammi di proteine. Questa quota media dell'8,5% di carboidrati come di proteine cambia però nelle fave secche, dove troviamo 58% di carboidrati e 26% di proteine. È dunque saggio mangiarle fresche ora che è periodo e ricorrere alle secche quando non ci sono le fresche o non si trovano le conservate o congelate, considerando che, diminuendo l'acqua che nel fresco è circa l'84%, aumentano anche le calorie: sono 88 per 1 etto di fave fresche e 341 per 1 di secche. Le fave sono diuretiche e attivano gentilmente la motilità intestinale: ricordiamocelo se abbiamo qualche difficoltà in questo senso e, se non li abbiamo, sfruttiamo queste proprietà per il detox primaverile. Le fave sono poi consigliate agli anemici per il ferro, 1,9 milligrammi (si tratta di ferro vegetale, cioè non eme, diverso da quello delle carni che contengono anche il ferro eme), e la vitamina C - 33 milligrammi cioè il 55% della dose giornaliera raccomandata che dunque assumiamo al 100% mangiandoci 2 etti di fave fresche. Ricordiamoci che la vitamina C coadiuva l'assorbimento del ferro. ferro e vitamina cPer amplificare l'effetto siderorimineralizzante della fava la si può - anche cuocendola - giustapporre alla carne: anche un leggero soffritto di pancetta o prosciutto cotto a dadini, se si è a dieta, arricchirà quello classico di cipolle. Non a caso le ricette classiche prevedono di regola questo abbinamento: cipolle e cipolle e pancetta. Non male anche il contenuto di altri sali minerali: potassio in primis, 250 milligrammi, quindi energia; fosforo, 95 milligrammi, che aiuta l'utilizzo delle vitamine, la vista, l'olfatto e l'udito e mantiene l'equilibrio del PH del sangue; e poi magnesio, rame, selenio. Sono importanti anche le vitamine della fava, in particolar modo quelle del gruppo B, ma l'altra sorpresa di questi simpatici semi a forma di fagiolo ma del colore dei piselli riguarda la presenza di levodopa, precursore della dopamina utilizzato contro il morbo di Parkinson, la nota malattia neurodegenerativa, ma in forma farmacologica: mangiare fave fresche ce ne fornisce di naturale, certo meno quantificabile rispetto alla pastiglia perché il suo preciso contenuto nel seme dipende dalle caratteristiche del terreno di coltivazione, ma teniamolo presente anche semplicemente perché un difetto di dopamina può anche influire sull'umore. Sebbene le fave portino il sorriso a chi le mangia, c'è solo una grande controindicazione al loro consumo, una patologia chiamata favismo, con comparsa di anemia emolitica - dissoluzione dei globuli rossi - dopo l'assunzione o anche l'inalazione di vapori o odore di fave, piselli, verbena, henné o alcuni farmaci come gli antimalarici. Non tutti però manifestano questa reazione, che è legata al deficit dell'enzima G6PD, perché ci sono anche le forme lievi e i portatori sani. Quindi - impariamo anche questo - favismo è sinonimo di reazione innescata dall'assenza dell'enzima, ma siccome non tutti coloro che ne sono carenti manifestano quella reazione non si dovrebbe usare, come invece si fa, il termine favismo per indicare chi è carente dell'enzima.
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».