2020-06-17
È la Taverna l’anti Dibba in mano a Grillo
Nel M5s, diviso dalle faide interne e agitato dal caso Venezuela, la vicepresidente del Senato scalda i motori: sarebbe stata lei a suggerire all'ex comico la stoccata ad Alessandro Di Battista. Intanto è rivolta contro Vito Crimi e serpeggia il malumore tra senatori e deputati.Anche se sul presunto finanziamento al M5s manca chiarezza, non è affatto una novità che il regime chavista sia generoso con i gruppi di sinistra esteri. I cordoni della Borsa li tiene il potentissimo ministro del Petrolio.Lo speciale contiene due articoli.Altro che Venezuela: l'epicentro della crisi interna al M5s è a Roma, all'interno dei palazzi del potere, quelli che dovevano essere aperti come una scatoletta di tonno. I pentastellati sono alla ricerca di una guida, una guida vera, stabile e di polso, ovvero che non sia Don Vito Crimi. Avevamo scritto ieri della nostalgia canaglia che attanaglia i grillini: quella di Luigi Di Maio, ex capo politico, tanto criticato quando era al timone del movimento, quanto rimpianto oggi, anche da chi a suo tempo gli ha fatto la guerra. Di Maio, però, non ha alcuna intenzione di tornare alla guida del M5s, si dedica al suo ruolo di ministro degli Esteri e riceve complimenti per certi versi inaspettati: «Sulla politica estera», ha detto ieri Matteo Renzi alla Stampa, «di affermazioni strampalate i 5 stelle ne hanno fatte tante. Alessandro Di Battista è arrivato a dire che Obama è un golpista. Al tempo stesso», ha aggiunto Renzi, «occorre riconoscere che la gestione di Di Maio alla Farnesina, anche in rapporto alla vicenda del Venezuela, è stata sinora inappuntabile». Lo stesso Di Maio, a L'aria che tira, su La7, a proposito della frattura tra Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, ha commentato: «Mai come in questo momento di grande difficoltà per l'Italia e per il mondo intero serve essere uniti anziché divisi. Se potrò cercherò di far confluire tutte queste energie positive insieme. Se posso dare una mano a permettere che anche quelle che sono differenze di vedute possano andare nella stessa direzione», ha aggiunto Di Maio, «io ci sarò, ma sempre nella piena fiducia di chi si occupa del movimento, che oggi è Vito Crimi».Oggi è Vito Crimi: è domani? A quanto apprende la Verità, ad aspirare al ruolo di leader del M5s, oltre a Di Battista, c'è Paola Taverna. La vicepresidente del Senato, in una intervista al Fatto Quotidiano, ha pronunciato parole che, ai tempi della prima repubblica, sarebbero state un vero e proprio annuncio di candidatura: «La mia ambizione», ha argomentato la Taverna, «è coniugare Beppe con Di Battista e Di Maio e la nostra rinomata eterogeneità». Stando a indiscrezioni attendibili, sarebbe stata proprio la Taverna, che gode di un rapporto privilegiato con Beppe Grillo, a convincere il fondatore che fosse il caso di assestare un colpo duro al Dibba. Taverna che, lanciando il tour virtuale coordinato insieme a Danilo Toninelli, ha sottolineato che saranno gli iscritti su Rousseau a decidere se serve ancora un capo politico o è preferibile una segreteria collegiale. Di Battista aspira alla candidatura a sindaco di Roma, alla guida del M5s, in sostanza a qualunque cosa: come ammette anche chi nel M5s non tollera il suo modo di picconare tutto e tutti dall'esterno, può contare su un ampio sostegno da parte dei militanti delusi dal governo con il Pd, e quindi, in caso di votazioni on line, sarebbe un osso duro da battere. La Taverna dunque è in campo per sfidare Di Battista, ma ha un grosso problema: è senatrice, come Crimi, e in queste ultime settimane si è prodotta una profonda all'interno dei parlamentari del M5s tra il gruppo alla Camera e quello al Senato: «Vito», rivela un big del M5s alla Verità, «è senatore, e da quando è diventato capo politico il gruppo a Palazzo Madama è diventato sempre più importante rispetto a quello alla Camera. È anche un problema di comunicazione: ormai in tv vanno per lo più senatori e pochissimi deputati. Uno squilibrio evidente, considerato che i deputati del M5s sono il doppio dei senatori».È vero che i deputati (202) sono il doppio dei senatori (96) ma è vero pure che al Senato si giocano ogni volta le sorti del governo, visto che la maggioranza è assai più risicata rispetto a Montecitorio, e che quindi gli stessi senatori fanno pesare la loro importanza dal punto di vista numerico. In ogni caso, il M5s veleggia nel mare in tempesta, e l'affaire-Venezuela è una grana non da poco: «Siamo davanti», dice il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, fan del regime di Maduro, a Rai Radio 1, «alla più grande fake news della storia. I media hanno fatto 24 ore di fango. Ieri tutti i quotidiani, tg inclusi, sono andati avanti con una notizia che era una balla colossale. Noi abbiamo rinunciato nel 2013 a 50 milioni di rimborsi elettorali, quale sarebbe il senso di prendere 3,5 milioni dal Venezuela? A parte che è una tangente, una cosa che non ci appartiene. In quella carta», aggiunge Di Stefano, in relazione al documento pubblicato da Abc, «il simbolo del Venezuela è totalmente contraffatto, addirittura è girato al contrario, persino il nome ministero della Difesa è sbagliato perché non si chiama più così dal 2007». Dagli alleati di maggioranza arrivano commenti non esattamente affettuosi: «È giusto che si indaghi sul caso M5s-Venezuela», attacca Matteo Renzi a Rtl 102,5 «come si è indagato su Salvini per la vicenda russa. Spero che siano delle fake news come dicono loro». «Io sono e resto fieramente garantista», scrive su Facebook il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marucci, «anche in questo caso. Certo sul regime del Venezuela, le posizioni rispetto al M5s non potrebbero essere più distanti, noi rigorosamente con la democrazia, il partito di Grillo, Di Maio e Di Battista fino all'ultimo con il dittatore Maduro. Fino almeno a prova contraria, sono convinto che una posizione così lontana dalla nostra cultura politica, sia stata presa in buona fede». E alla fine si è espresso anche Giuseppe Conte: «I responsabili del M5s hanno già assicurato che si tratta di una fake news. Penso che non ci sia nulla da chiarire», ha detto il premier in un'intervista a France Presse.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/e-la-taverna-lanti-dibba-in-mano-a-grillo-2646186069.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quel-vizietto-del-venezuela-rosso-coprire-di-milioni-i-partiti-amici" data-post-id="2646186069" data-published-at="1592337650" data-use-pagination="False"> Quel vizietto del Venezuela rosso: coprire di milioni i partiti amici La presunta valigetta da 3 milioni e mezzo di euro in contanti arrivata da Caracas per finanziare Gianroberto Casaleggio e il Movimento 5 stelle non smuove, al momento, le procure italiane. Nei palazzi di Giustizia di Milano e di Roma tutto tace. In teoria sarebbe proprio la procura milanese diretta da Francesco Greco ad avere le competenze per indagare sul presunto finanziamento illecito al partito di Beppe Grillo. Questo perché la Casaleggio Associati ha sede nel capoluogo lombardo. Ma la vicenda è ancora troppo fumosa. Il testimone principale, Casaleggio senior, non c'è più. E soprattutto, come ricordano fonti investigative alla Verità, «il reato sarebbe già prescritto essendo passati 10 anni: per il finanziamento illecito ne bastano 7 e mezzo». L'unico modo per attivare un'indagine sarebbe un esposto oppure una prova su reati collegati, come per esempio il riciclaggio, o ancora una registrazione audio, come avvenuto nel caso del Russiagate che ha messo sotto indagine la Lega. Del resto, il documento pubblicato dal quotidiano spagnolo Abc, ha destato notevoli dubbi sia nell'intelligence italiana sia tra militari e investigatori che lo hanno visto e scansionato. Ci sono troppi errori marchiani e mancano dettagli essenziali rispetto ai documenti classificati tipici dei servizi segreti. Al momento quindi, «la bomba di Caracas» ha acceso solo il dibattito politico, sia interno ai 5 stelle sempre più divisi, sia nazionale, con le opposizioni che chiedono alla magistratura di indagare sul presunto finanziamento venezuelano. Per capire qualcosa di più della notizia di Abc che sta scuotendo la politica italiana, bisogna però partire da due personaggi chiave del regime venezuelano, prima governato da Hugo Chavez e poi da Nicolas Maduro. Sono Hugo Carvajal e Tarek El Aissami. Entrambi sono stati (e sono) due politici chiave per capire la politica estera del Venezuela e soprattutto il modo in cui il regime venezuelano si è mosso in questi anni per influenzare i partiti politici all'estero. Il primo, Carvajal, è l'ex capo dell'unità di intelligence militare, fedelissimo di Chavez e numero uno dei servizi segreti proprio nel 2010. Sarebbe stato lui quindi ad autorizzare il documento incriminato. E sempre lui avrebbe impartito l'ordine al console di Milano Gian Carlo di Martino, accusato dal quotidiano Abc di essere l'intermediario dei soldi, «di non continuare a riferire sulla questione, che potrebbe diventare un problema diplomatico». Ora si trova in Spagna, con l'accusa di traffico di droga e terrorismo. Gli Stati Uniti hanno chiesto l'estradizione. El Aissami è invece uno dei politici più importanti del Venezuela, dal momento che è stato appena nominato (il 27 aprile) ministro del Petrolio: è l'uomo di fiducia del presidente. In passato è stato anche ministro dell'Industria, mentre nel luglio del 2010 era ministro degli Interni. All'epoca aveva appena 35 anni, ma una rete di relazioni impressionante in Medio oriente, a partire dalla sua famiglia libanese con entrate nel partito Baath irakeno, negli Hezbollah in Libano e Siria fino all'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Secondo alcuni dissidenti regime, in quegli anni El Aissami sarebbe stato il vero protagonista di un programma clandestino per fornire passaporti venezuelani ai terroristi a Damasco. E questo accadeva perché era a capo di Onidex, l'agenzia che gestisce il programma di immigrazione. Ma i pezzi di carta non erano solo diplomatici, sarebbero stati soprattutto i soldi il vero punto forte di El Aissami. Il regime di Chavez ne avrebbe dati a gruppi terroristici come gli stessi Hezbollah o Hamas in Palestina. Non a caso, nel 2016 la Drug enforcement administration (Dea) sospettava che proprio i libanesi di Hezbollah avrebbero avuto legami con i cartelli sudamericani del traffico di droga per finanziare le loro attività terroristiche. El Aissami, in sostanza, è un punto di raccordo fondamentale tra Teheran, Cuba ma anche la Turchia, la punta di diamante del network chavista e antiamericano in tutto il mondo. Non solo. Negli anni il regime ha avuto anche rapporti con la Russia e la Cina. Proprio i cinesi sono impegnati in Venezuela nelle miniere di uranio, altro punto di forza dell'industria di Caracas. Del resto è vero che negli anni El Aissami ha gestito le casse dello stato, per la maggior parte dalla Pdvsa, l'industria petrolifera che con Chavez ha tenuto i rapporti con tutti i partiti di sinistra in Europa, in particolare con quelli francesi, italiani e spagnoli. Nei mesi scorsi era già esploso un altro scandalo su un presunto finanziamento a Podemos, con cui Chavez aveva avuto rapporti molto stretti. Anche qui, come nel caso del movimento 5 stelle, i finanziamenti sarebbero avvenuti prima dello sbarco in Parlamento. E questo sempre nell'ottica di finanziare un partito «rivoluzionario di sinistra e anticapitalista» in questo caso nella Repubblica italiana. Il documento che informa sui soldi a Casaleggio mette in relazione l'attuale ministro del petrolio con Carvajal. Perché, come recita la presunta nota dei servizi venezuelani, i fondi da cui sarebbero stati presi i 3,5 milioni di euro sarebbero appunto quelli segreti dell'intelligence «amministrati dal ministro dell'Interno, Tarek El Aissami, approvato e autorizzato dal cancelliere Nicolas Maduro». Le smentite e le accuse di fake news ormai non si contano più. «Per smentire qualcosa ed essere convincenti, conviene ripassare la propria storia», scrive in un'editoriale Abc. Ma intanto anche El Mundo proprio ieri scriveva che in questo traffico di corruzione sarebbe rimasto invischiato anche l'ex ambasciatore spagnolo Raul Morodo, uomo vicinissimo all'ex presidente José Luis Rodríguez Zapatero. Il Caracas gate, insomma, non è ancora finito.
Abdel Fattah Al-Sisi e Donald Trump (Ansa)