2021-04-24
E la «cabina» umilia il Parlamento
Mara Carfagna (Simona Granati - Corbis/Getty Images)
Con l'addio ai dpcm di Giuseppe Conte è cambiata solo l'apparenza. Le correzioni dell'Aula ai dl arrivano troppo tardi. E lo stesso Consiglio dei ministri ratifica solo le scelte dei tecnici.I più buoni d'animo potrebbero essere tentati di dire che se, evangelicamente parlando, il giusto pecca sette volte al giorno, anche chi scrive un decreto può commettere errori, incorrere in incongruenze, rimanere vittima di contraddizioni. E invece no, non è così. Intendiamoci: qualunque estensore di testi normativi - trattandosi di un essere umano in carne e ossa - può sbagliare, ci mancherebbe. Ma un conto è l'errore di contenuto (per sua natura sempre correggibile), altro conto è l'errore di fondo, di impostazione, di metodo. Questo secondo genere di sbaglio è la madre, la matrice, l'origine di una sequenza di svarioni. Parliamoci chiaro. Aveva iniziato Giuseppe Conte con i dpcm, cioè con atti amministrativi (nulla più che decreti ministeriali scritti a Palazzo Chigi, in quel caso) incredibilmente chiamati a incidere su libertà costituzionali: senza alcuna firma del capo dello Stato, e senza nessuna conversione parlamentare. In un secondo momento le Camere si erano fatte umiliare e prendere in giro supplicando il governo, prima di varare i dpcm, di sentire almeno il Parlamento attraverso risoluzioni. Acqua fresca.Con Mario Draghi, purtroppo, è cambiata solo l'apparenza, finora. Certo, si è passati all'adozione (costituzionalmente ortodossa) dei decreti legge, e quindi ad atti con forza di legge varati dal governo, immediatamente efficaci, e tuttavia sottoposti al vaglio parlamentare nella forma della conversione in legge (entro 60 giorni). Peccato che l'inghippo stia proprio qui: siccome stiamo parlando - in questo step dell'emergenza pandemica - di atti destinati a incidere per alcune settimane, l'ipotesi di una correzione parlamentare entro due mesi significa che gli interventi migliorativi sono destinati ad arrivare solo «a babbo morto».Non a caso, Claudio Borghi (Lega) aveva saggiamente cercato di proporre forme ulteriori di coinvolgimento parlamentare: ma gli si è detto di no, purtroppo anche con il contributo di Forza Italia. Di più: questo giornale aveva almeno suggerito un impegno alla conversione parlamentare in tempi superveloci (10-12 giorni), proprio per consentire alle correzioni eventualmente introdotte da Camera e Senato di entrare a loro volta in vigore in tempi davvero utili. Per il momento, però, nessuno ha raccolto l'appello. Peggio ancora. Appare chiaro che il Consiglio dei ministri sia stato ormai incredibilmente ridotto a luogo di ratifica di decisioni assunte altrove, nella mitologica «cabina di regia». Ci è perfino toccato di leggere (ieri sulla Stampa) una surreale intervista del ministro Mara Carfagna che ha evocato la cabina come «sede competente». Ma di che parliamo? Di un organo costituzionalmente inesistente. Di una sede del tutto informale, tecnico politica, che non ha alcuna funzione propria. In quale articolo della Costituzione ne sono disciplinate le funzioni? In quale articolo della Costituzione se ne indicano i membri? Elementare, Watson: da nessuna parte. E allora è qui che casca l'asino. Dal «metodo Casalino» siamo passati al «metodo cabina», ma siamo pur sempre rimasti dentro un inaccettabile e illiberale emergenzialismo giuridico, che scavalca quasi del tutto Consiglio dei ministri e Parlamento, li riduce a simulacri, e per sovrammercato produce guai sia sul piano della trasparenza del dibattito sia su quello della qualità del prodotto normativo finale. Aggiungete - se non vi basta - una spruzzata di moral suasion quirinalizia (che, secondo alcune cronache e ricostruzioni, suggerirebbe di modificare di qua e cancellare di là), e avrete un meccanismo di produzione normativa opaco e disfunzionale. E che ne siano responsabili quelli che per decenni ci hanno ammorbato con il mantra della «centralità del Parlamento» rende tutto ancora più grottesco.
Giancarlo Giorgetti (imagoeconomica)