2018-06-06
È iniziata l’era del populista in cravatta
Il premier Giuseppe Conte ha fatto continui richiami ai bisogni dei cittadini, un gioco abile e furbo per mettersi dalla parte del popolo invece che da quella dell'establishment. Ha dimostrato di essere abbastanza politico da strizzare l'occhio non al Parlamento ma alla gente.Il signor Nessuno, il premierino come l'ha definito qualcuno prima ancora di conoscerlo, ieri ha dimostrato di essere più politico di tanti politici. Presentandosi al Senato per il voto di fiducia, Giuseppe Conte si è calato nella parte di presidente del Consiglio di un governo populista. «Se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente», ha scandito nell'aula di Palazzo Madama citando Dostoevskij, «se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene, queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni». Così, affrontando a viso aperto il nocciolo del problema, colui che fino a ieri era un semplice professore di diritto privato si è intestato fino in fondo la battaglia del Movimento 5 stelle e della Lega. Il suo è stato un continuo richiamo ai bisogni dei cittadini, un gioco abile e furbo per mettersi dalla parte del popolo invece che da quella dell'establishment. Nel suo primo discorso politico, Conte ha ripreso tutti i temi della campagna elettorale, presentandosi al Parlamento, ma prima ancora al Paese, come l'avvocato degli italiani, l'uomo che incarnerà e darà esecuzione alle promesse di Salvini e Di Maio. Come e con quali risorse? Proprio allo stesso modo con cui in campagna avevano fatto i due padroni del neonato governo, il premier ha glissato sugli aspetti finanziari, evitando come ogni premier del passato ogni dettaglio che chiarisse dove saranno presi i fondi per realizzare il programma. Questo però non gli ha impedito di dichiarare che la prima sua preoccupazione saranno i diritti sociali, richiamando il diritto al salario minimo orario, al reddito di cittadinanza, ad una pensione dignitosa e a tasse più eque. Neanche il tempo di interrogarsi su come saranno finanziati questi interventi, se in deficit o con l'introduzione di nuove imposte, che Conte ha subito specificato di voler ridurre il debito pubblico, ma di volerlo fare «con la crescita della nostra ricchezza, non con le misure di austerità, che negli ultimi anni hanno contribuito a farlo lievitare». Un messaggio all'Europa, che chiede il rispetto dei parametri, ma soprattutto agli elettori che hanno votato 5 stelle e Lega e che da oggi si aspettano un aiuto per chi non ha lavoro e un taglio delle tasse per chi ha un'impresa, due degli argomenti che hanno fatto la fortuna di Di Maio e Salvini.Il nuovo presidente del consiglio il meglio però lo ha dato quanto ha toccato il tema dell'immigrazione e della sicurezza, dichiarando di voler mettere fine al business dell'immigrazione. Sì, l'ha chiamato proprio così. Interrotto dagli applausi dell'aula, ha dovuto ribadire il concetto, aggiungendo che questo business «è cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà». A parlare era il docente universitario, elegante e curato, in camicia bianca e completo scuro d'ordinanza, ma le parole erano uguali a quelle che usa Salvini, perfino sul potenziamento della legittima difesa e sull'equo indennizzo per le vittime di reati violenti. Così come sembravano pronunciate da Di Maio le frasi per promettere una lotta risoluta ai privilegi della classe politica e metodi innovativi contro la corruzione, con l'introduzione di meccanismi simili a quelli usati contro i tifosi violenti e contro i trafficanti di droga.In politica interna e politica estera, il premier ha ribadito che l'Italia resterà nella Ue, perché «l'Europa è casa nostra», ma appena dopo aver tranquillizzato Bruxelles e il Quirinale ha aggiunto che «quale Paese fondatore, noi abbiamo pieno titolo di rivendicare un'Europa più forte e anche più equa, nella quale l'Unione economica e monetaria sia orientata a tutelare i bisogni dei cittadini per bilanciare più efficacemente i principi di responsabilità e solidarietà». Chiaro, no? Stiamo dentro la Ue, ma cambiandola un po'. Non usciamo dall'euro, ma dobbiamo entrare in una fase nuova. Non molto diversa la tecnica usata per parlare di Alleanza atlantica. Con gli Stati Uniti d'America, che rimarranno l'alleato privilegiato, ma anche amici della Russia. «Attenzione», ha dichiarato con la voce leggermente gracchiante dopo mezz'ora di discorso, «Saremo fautori di una apertura verso la Russia». Che significa, si sono chiesti tutti dopo che le parole erano cadute fra gli applausi dell'aula di Palazzo Madama? La risposta è arrivata un secondo dopo: «Ci faremo promotori di una revisione del sistema delle sanzioni, a partire da quelle che rischiano di mortificare la società civile russa». Traduzione: stiamo con gli Usa per quanto riguarda gli equilibri internazionali, tuttavia se c'è da fare affari con Mosca ci teniamo le mani libere. Nell'elenco dei propositi Conte non ha dimenticato nulla di quello che è stato pattuito da Salvini e Di Maio nel programma di governo. Dalla certezza della pena alle nuove carceri, dalla prescrizione al conflitto d'interessi, dalla semplificazione ai grandi appalti. Infilando nel discorso perfino le pensioni d'oro, il presidente del consiglio ha citato tutto con un certo puntiglio e con lo stesso puntiglio ha poi replicato alle opposizioni in serata. Il governo di cambiamento insomma è partito, con alla guida un professore cinquantenne che pur non essendo un politico almeno al suo esordio ha dimostrato di essere abbastanza politico da strizzare l'occhio non al Parlamento ma alla gente, proprio come un vero populista. Vedremo se questo populista elegante, che non è sgualcito neppure dopo sette ore in Senato, cambierà davvero il Paese. Soprattutto vedremo se lo cambierà in peggio o in meglio. Per ora la sensazione è che Conte abbia chiuso una storia e si avvii a cominciarne un'altra molto diversa dalla precedente.
Charlie Kirk (Getty Images)