2019-08-22
È guerra tra i democratici per la conquista del South Carolina. E intanto Trump gongola
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Non solo Iowa e New Hampshire. Un altro Stato tradizionalmente fondamentale nel processo elettorale delle primarie (sia repubblicane che democratiche) risulta il South Carolina. E questo per una serie di ragioni. Innanzitutto perché si tratta generalmente del primo territorio meridionale in cui si tengono votazioni. In seconda istanza, perché è il primo Stato realmente popoloso in cui hanno luogo delle primarie.Si pensi solo che le primarie democratiche che vi si terranno il prossimo 29 febbraio mettano in palio la ragguardevole cifra di sessantatré delegati. Questi elementi rendono dunque il cosiddetto Palmetto State molto significativo sia in casa repubblicana che democratica. Altre ragioni di importanza risultano invece collegate specificamente a ciascun partito.Fatta eccezione per il 2012 (che vide trionfare l'ex speaker della Camera, Newt Gingrich), è dal 1980 che chi vince le primarie repubblicane del South Carolina riesce poi ad ottenere la nomination. Inoltre, non bisogna trascurare che per l'Elefantino si tratti di un test importante anche per comprendere la fibra elettorale dei candidati in corsa. Lo Stato ospita infatti tradizionalmente primarie aperte: primarie, cioè, cui possono partecipare anche gli elettori indipendenti. Un fattore che tende generalmente a favorire i candidati meno ortodossi e maggiormente trasversali, sebbene il South Carolina conti - tra i repubblicani - un elevato numero di elettori fortemente conservatori. Un duplice fattore che permette, per così dire, di "temprare" i concorrenti più forti in campo. Passando ai democratici, è invece dal 1992 che chi vince in questo Stato riesce poi a conquistare la nomination del partito (fatta eccezione per il caso di John Edwards nel 2004). Per l'Asinello, il territorio risulta molto importante a causa dell'elevato numero di elettori afroamericani che solitamente partecipano a queste primarie: vincere in South Carolina permette quindi di individuare quei candidati che risultano maggiormente attrattivi nei confronti delle minoranze etniche (un discorso che vale, sotto molti aspetti, anche per la Florida). Senza poi dimenticare che, fatta eccezione per Barack Obama nel 2008, tendenzialmente le locali primarie democratiche favoriscano i candidati più centristi (si pensi a Hillary Clinton nel 2016, ad Al Gore nel 2000 e a Bill Clinton nel 1992).Alla luce di questi precedenti, è quindi facile comprendere per quale ragione i sondaggi in questo Stato stiano dando attualmente Joe Biden in grande spolvero. Secondo Real Clear Politics, l'ex vicepresidente risulterebbe infatti in testa con il 38% dei consensi, seguito dal senatore del Vermont, Bernie Sanders, al 14%. Segno di come i sentimenti centristi dell'elettorato democratico del Palmetto State tendano a rimanere, almeno per ora, intatti. Un elemento significativo, soprattutto alla luce del fatto che i vari candidati dem interessati a intestarsi la rappresentanza delle minoranze etniche stiano riscontrando una certa fatica in questo territorio. La senatrice californiana, Kamala Harris, staziona per ora al 12%, mentre il senatore del New Jersey, Cory Booker, è fermo al 3%. Si tratta evidentemente di profili, giudicati troppo a sinistra dall'elettorato locale che - proprio per questo - tende a convergere sul nome di Biden. L'ex vicepresidente, dal canto suo, parte quindi enormemente avvantaggiato in questo territorio, sebbene sia ovviamente troppo presto per fare previsioni. La sfida tra i candidati democratici per contendersi il Palmetto State è appena all'inizio. E, già da alcuni giorni, svariati dei competitor in lizza stanno cercando di accattivarsi le simpatie dei leader religiosi neri locali, sperando in questo modo di risultare attrattivi per l'elettorato afroamericano. Una strategia, quest'ultima, che stanno portando, per esempio, avanti Bernie Sanders, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren e il sindaco di South Bend, Pete Buttigieg. Biden dovrà quindi fare molta attenzione ed evitare di dare la vittoria per scontata, se vuole garantirsi l'appoggio del South Carolina nella corsa verso la nomination democratica.In casa repubblicana, la situazione appare per ora più tranquilla. Al momento, l'unico sfidante interno di Donald Trump è il libertario Bill Weld, per quanto - nelle prossime ore - dovrebbe scendere in campo anche l'ex deputato dell'Illinois, Joe Walsh: un profilo da sempre molto critico dell'attuale presidente, soprattutto in riferimento all'inchiesta Russiagate. Come che sia, né Weld né Walsh appaiono - almeno sulla carta - sfidanti in grado di impensierire troppo Trump. Senza poi dimenticare che - tornando specificamente al South Carolina - il magnate newyorchese vi vinse le primarie repubblicane del 2016 con il 32,5% dei consensi, sopravanzando di ben dieci punti percentuali il secondo classificato, il senatore della Florida Marco Rubio. Tra l'altro, quelle primarie comportarono il clamoroso abbandono della corsa da parte dell'ex governatore della Florida, Jeb Bush, che considerava il Palmetto State una sorta di proprio feudo elettorale (suo fratello, George Walker, lo aveva conquistato alle primarie del 2000 con il 62% dei voti).Infine, anche a livello di General Election, Trump non dovrebbe riscontrare troppi problemi in questo Stato. È dal 1980 che il South Carolina vota a favore dei repubblicani in occasione delle presidenziali. Trump ha espugnato il territorio tre anni fa con il 55% dei consensi, registrando una performance migliore dei due precedenti candidati repubblicani alla Casa Bianca, Mitt Romney (nel 2012) e John McCain (nel 2008). Salvo imprevisti, dovrebbe farcela anche l'anno prossimo.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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