
Ad Anversa, in Belgio, gli immigrati sono già più dei locali. Se non si interviene, presto avverrà anche da noi. La sinistra vuole farci accettare di scomparire con fatalismo, ma la politica può contenere il fenomeno.Per la prima volta in una importante città europea il numero degli immigrati supera quello degli abitanti locali. La notizia choc arriva da Anversa, in Belgio. A rilevarla, con una certa enfasi, il settimanale francese L'Express. Il quale sottolinea anche che, sempre ad Anversa, fra le persone al di sotto dei 25 anni, la percentuale di stranieri sale oltre il 70%. Nei prossimi anni, dunque, il cammino della città è segnato: sarà sempre di più una città nordafricana, forse in parte asiatica. Sempre meno europea. E la domanda inevitabile è: sarò questo il destino che toccherà a tutto il Vecchio Continente? Effetto invasione. Non è la prima volta che segnaliamo il pericolo.Da anni, per dire, il nome maschile più diffuso a Bruxelles è Mohammed. Nelle scuole di Vienna è dal 2014 che i bimbi islamici hanno superato i cattolici. E a Milano nelle zone di San Siro e Turro ci sono scuole in cui l'80% di bambini è straniero. Ci abbiamo fatto quasi l'abitudine. Sotto la Madonnina gli immigrati sono ormai il 19,2% della popolazione, e ovviamente in continua crescita. Nella zona di piazza Selinunte e della Bovisa si tocca addirittura il 35%, in via Padova il 33%. E c'è un Comune in Lombardia che batte tutti i record nazionali: a Rocca de Giorgi, gli stranieri sfiorano infatti il 40% del totale degli abitanti: fino agli anni Cinquanta ci abitavano 700 persone, oggi sono rimaste 89. Di queste 34 sono immigrati. Da tempo diciamo, con preoccupazione, che potrebbe essere un'anticipazione di quello che diventerà anche il nostro Paese. Una gigantesca Anversa. La notizia che arriva dal Belgio, in effetti, è impressionante. Se era è choccante vedere il 30% di stranieri in alcuni quartieri delle nostre metropoli o il 40% in piccoli paesi di montagna, figurarsi quanto può essere choccante vedere che in un'importante città europea si supera il 50%. Sembra il segno di un destino ineluttabile, un'estinzione programmata, roba da sentirsi come dei dinosauri prossimi venturi. E infatti Mattia Feltri, sulla Stampa, la mette giù così: «Uno studio dell'Onu fissa al 2050 il momento in cui sulla Terra saremo in dieci miliardi, sei miliardi di asiatici, due miliardi di africani… Hai voglia di chiudere i porti fino al 2050. Arriveranno a milioni, senza informarsi se ne hanno il diritto o no, e senza nemmeno chiedere permesso». Come a dire: rassegnatevi. La storia è questa: c'era una volta l'invasione. E gli italiani vissero tutti felici e scomparsi. In fondo, se ci pensate, è quello che cercano anche di farci capire esaltando a ogni piè sospinto il «modello Riace». Al di là delle note vicende giudiziarie del sindaco Mimmo Lucano, il quale sentendosi buono pensa di poter infischiarsene della legge, al di là di questo, dicevamo, in estrema sintesi il tanto decantato «modello Riace», che diavolo è? Semplice: i paesi si svuotano, gli italiani scappano, al posto loro arrivano gli immigrati. È questo il Paese che stiamo creando: costringiamo i nostri migliori giovani a espatriare (ogni cinque minuti un italiano va all'estero) ed importiamo stranieri, per lo più dequalificati. Tu chiamale se vuoi sostituzioni. Ma si può fermare questo processo? O, almeno, si deve tentare di farlo? Io penso di sì. E proprio per questo, cioè proprio perché nel 2050 gli africani saranno due miliardi e gli asiatici sei miliardi, il dibattito che si sta facendo in questi mesi sulla chiusura dei porti e sul Global compact diventa centrale. Siamo ad una svolta. Dobbiamo scegliere: o farci invadere o proteggere i nostri confini. O proseguire sulla strada di Anversa o scegliere un'altra direzione. Per fortuna in Italia stiamo scegliendo un'altra direzione. Proprio ieri, per dire, la relazione dei servizi segreti al Parlamento ha rilevato il calo degli sbarchi sulle nostre coste (-80%), attribuendolo fra l'altro anche «alla drastica riduzione delle navi delle Ong» che di fatto «ha privato i trafficanti della possibilità di sfruttare le attività umanitarie». Una buona notizia, senza dubbio. Così come è una buona notizia che, grazie a Giorgia Meloni, sia stato bloccato il Global compact, il patto Onu che vorrebbe riconoscere l'emigrazione come un diritto di tutti. Lo so che qualcuno, come il bravo Mattia Feltri, a questo punto mi contesterebbe: non si possono tirare su i muri. E invece io penso sia vero proprio il contrario: in questo momento, più che mai, si devono tirare su i muri. In fondo ogni civiltà nasce attorno ai muri, ogni comunità si riunisce con lo scopo di proteggersi e non farsi invadere. Da sempre. Ci vogliono i muri per sopravvivere, come ci insegna la storia, ci vogliono i valli, i bastioni, i castelli fortificati. Ovviamente in forme adeguate ai tempi. Ma ci vogliono. Prima i muri. Poi magari ci si può anche costruire un ponte levatoio, per carità: ma solo per fare entrare chi ha diritto. Chi vogliamo noi. I due miliardi di africani possono spingere fin che vogliono alle frontiere, ma l'Italia (o l'Europa, se solo esistesse) ha il dovere di tenerli fuori. Ha cioè il dovere di difendere i suoi confini. Per il semplice fatto che se uno Stato non difende i confini non ha più ragione di esistere. Rifletteteci: perché assolviamo il mesto rituale di pagare le tasse allo Stato? Perché abbiamo accettato di dare allo Stato anche il potere di arrestarci, cioè di toglierci il bene più caro che è la nostra libertà personale? Perché lo Stato in cambio di tutto ciò promette di difenderci. In primo luogo promette di difenderci proprio da chi vuole invaderci. Se lo Stato rinuncia a questo compito, in base al principio che le frontiere non esistono, e che chiunque può venire da noi, e che le nostre città sono aperte a due miliardi di africani e sei miliardi di asiatici, ebbene allora tanto vale smettere subito di farne parte. Chiaro, no? Se lo Stato è quello che chiude i porti e dice no al Global compact, cioè che ci difende o almeno ci prova, ha un senso essere suoi cittadini, con tutti gli oneri che ne derivano. Se lo Stato è quello che ci vuole trasformare in una gigantesca Anversa per farci scomparire, no grazie. Non ne abbiamo più bisogno.
Maria Chiara Monacelli
Maria Chiara Monacelli, fondatrice dell’azienda umbra Sensorial è riuscita a convertire un materiale tecnico in un veicolo emozionale per il design: «Il progetto intreccia neuroscienze, artigianato e luce. Vogliamo essere una nuova piattaforma creativa anche nell’arredamento».
In Umbria, terra di saperi antichi e materie autentiche, Maria Chiara Monacelli ha dato vita a una realtà capace di trasformare uno dei materiali più umili e tecnici - il cemento - in un linguaggio sensoriale e poetico. Con il suo progetto Sensorial, Monacelli ridefinisce i confini del design artigianale italiano, esplorando il cemento come materia viva, capace di catturare la luce, restituire emozioni tattili e raccontare nuove forme di bellezza. La sua azienda, nata da una visione che unisce ricerca materica, manualità e innovazione, eleva l’artigianato a esperienza, portando il cemento oltre la funzione strutturale e trasformandolo in superficie, texture e gioiello. Un percorso che testimonia quanto la creatività, quando radicata nel territorio e nel saper fare italiano, possa dare nuova vita anche alle materie più inattese.
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».






