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2019-07-28
Due ragazzini americani hanno ucciso il carabiniere per un grammo di cocaina
Ansa
Il coltellaccio lordo di sangue nascosto dietro uno dei pannelli del soffitto. Gli abiti indossati durante l'omicidio nascosti in una sacca, nel bagno. E fuori dall'hotel Meridien Visconti, occultato in una fioriera, lo zainetto costato la vita al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Così si è chiuso il cerchio.
La Procura di Roma non ha dubbi che a uccidere il carabiniere di Somma Vesuviana - impegnato nel tentativo di sventare un'estorsione col trucco del «cavallo di ritorno» - siano stati due californiani in vacanza a Roma. Giovani sbandati, nonostante le fortune finanziarie familiari, che giovedì sera hanno lasciato la loro lussuosa camera da 250 euro a notte per andare in cerca di emozioni forti. I due si chiamano Elder Finnegan Lee di 19 anni e Gabriel Christian Natale Hjorth di 18 anni. Ad affondare per otto volte la lama nel corpo del militare sarebbe stato il primo, ma l'accusa di concorso in omicidio e concorso in estorsione riguarda anche l'amico. La presenza di Natale Hjorth e la sua contrapposizione al carabiniere Andrea Varriale, che insieme a Cerciello Rega avrebbe dovuto fare luce su uno strano furto accaduto poco prima, «ha fornito un decisivo contributo alla causazione dell'evento morte quantomeno perché ha bloccato l'intervento di Varriale in aiuto del suo compagno», scrivono i pm nel decreto di fermo. La dinamica, anche grazie alle testimonianze del portiere e del facchino del Meridien, ai tabulati telefonici e alle immagini dei sistemi di videosorveglianza, è stata ricostruita. È notte fonda quando i due amici, alterati dall'alcol, rubano un borsone a Sergio Brugiatelli per vendicarsi della compravendita di una dose di cocaina rivelatasi, invece, semplice aspirina in polvere. Non è ancora chiaro se Brugiatelli, che anziché trovarsi ai domiciliari era tranquillamente a spasso per Trastevere, si sia limitato a indicare uno spacciatore ai ragazzi o se abbia ceduto egli stesso la sostanza, ma è il prosieguo della storia a creare le condizioni per la tragedia. Brugiatelli si rivolge ai carabinieri e denuncia il furto. In quegli stessi attimi, si crea un contatto tra Natale Hjorth, che parla e capisce l'italiano, e il proprietario dello zainetto. S'intavola una trattativa, l'americano chiede a Brugiatelli il riscatto per la restituzione del borsone: 100 euro e un grammo di cocaina. A questo punto entrano in gioco i carabinieri: viene predisposto un servizio di appostamento. Cerciello Rega e il suo collega Andrea Varriale dovranno avvicinare i due criminali, in borghese, e arrestarli. Qualcosa va storto. Scrivono i magistrati: il diciottenne di San Francisco colpisce «più volte la vittima al tronco in zona vitale», desistendo «dall'azione solo quando ha percepito di aver sopraffatto il suo antagonista». Quando è stato raggiunto da «numerosi fendenti», Cerciello ha infatti urlato e «a quel punto, sentito questo urlo, si è fermato anche Natale Hjorth», che stava fronteggiando l'altro militare dell'Arma. I due americani scappano verso l'hotel in cui alloggiano senza che altri uomini dell'Arma, che pure si trovavano in zona, riescano a intervenire. Interrogati dal gip Chiara Gallo, che si è riservata sulla convalida del fermo, i due americani si sono avvalsi della facoltà di non rispondere dopo aver comunque già confessato, la notte precedente, ai pm di Piazzale Clodio. In quell'occasione, il killer ha tentato di giustificarsi affermando di non aver capito che si trattasse di carabinieri perché non parla italiano. E per questo ha impugnato la lama. Reazione che i pm hanno definito «del tutto spropositata» anche perché nessuno dei due carabinieri «neppure ha tentato di estrarre un'arma». I due avevano un coltello con loro perché avevano paura di essere nuovamente «ingannati e di ritrovarsi davanti a soggetti pericolosi», magari amici di Brugiatelli. Nonostante le foto che li mostrano con lo sguardo assente, i due hanno mantenuto il sangue freddo nella notte tant'è che - si legge nel decreto di fermo - avevano i bagagli pronti e stavano per lasciare l'hotel. Si è poi scoperto che Elder Lee fa uso di Xanax, uno psicofarmaco.
Ieri è stata eseguita l'autopsia sul cadavere del povero Cerciello Rega da parte del professor Antonio Grande, che ha stabilito che la causa della morte è stata una forte emorragia interna. Presenti anche degli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri e gli avvocati della famiglia della vittima. «Stiamo male, siamo distrutti. Adesso chiediamo solo rispetto», hanno dichiarato gli amici napoletani che si sono fermati all'esterno dell'istituto di medicina legale del Verano. «Con Mario ci conoscevamo da una vita, siamo vicini di casa», racconta Antonio, 37 anni, un impiegato arrivato a Roma da Somma Vesuviana insieme a quattro amici del militare, «siamo cresciuti insieme, adesso bisogna stare vicini alla famiglia, alla moglie, ai genitori: lui era un punto di riferimento per tutti. Chiediamo rispetto». Antonio ricorda il grande amore che «Mario aveva per la terra del padre: il tempo libero lo passava sul trattore nei campi per curare le noci, le nocciole, la frutta e la verdura che in parte coltivano per loro, in parte vendono per rientrare delle spese. Era un ragazzo speciale, voglio dire solo questo».
Oggi, dalle 16 alle 20.30, in piazza Monti di Pietá 33 sarà allestita la camera ardente del povero vicebrigadiere. Domani, invece, i funerali con lutto cittadino proclamato dal sindaco.
Simone Di Meo
Una notte folle, che va ricostruita per intero
Di certo c'è che per sgozzare il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega è stato usato un coltello, poi ritrovato nell'albergo di lusso in cui alloggiavano i due sospettati. Per il resto la versione degli investigatori, per quanto il pubblico ministero Maria Sabina Calabretta si sia sforzata di precisare che «i carabinieri hanno compiutamente ricostruito la vicenda», lasci aperto ancora qualche interrogativo.
Davanti a un'accusa meno che granitica, le autorità americane potrebbero decidere di intervenire in modo energico. E di questioni aperte nel delitto di via Pietro Cossa, rione Prati, ce ne sono diverse. La prima: non c'è una piena confessione dei due ragazzi americani: Christian Gabriel Natale Hjorth ed Elder Finnegan Lee. Il pm, infatti, scrive nel decreto di fermo per i due americani che «pur a fronte di parziali discordanze hanno sostanzialmente ammesso gli addebiti». Che, però, non sono stati confermati davanti al gip. Finnegan Lee, il ragazzo che avrebbe usato il coltello per assassinare il militare, si è avvalso della facoltà di non rispondere. E a rendere il tutto più complicato c'è che i due si sono accusati a vicenda, rimpallandosi responsabilità e descrivendo i fatti in modo contraddittorio. Sul loro coinvolgimento gli investigatori e anche il pm non hanno dubbi, perché a provarlo, oltre al ritrovamento del coltello nella loro suite, ci sono i tabulati telefonici, lo zainetto che avevano rubato al pusher e le dichiarazioni del collega della vittima, del portiere e del facchino dell'albergo. Ci sono dettagli, però, che rendono la questione ancora non totalmente delineata. A partire dalla chiamata al 112 di Sergio Brugiatelli, l'uomo al quale sono stati rubati lo zainetto e il telefono cellulare. Cosa aveva nello smartphone di così importante da spingerlo a rischiare un'accusa di spaccio chiamando il 112? L'uomo ha raccontato ai carabinieri di essere stato contattato dai due americani che, per restituirgli tutto, gli hanno chiesto dei soldi. Della chiamata alla centrale viene dato atto nel decreto di fermo. Ma il pm non specifica se la registrazione della chiamata è stata acquisita. In più, non viene indicato se i militari della stazione Farnese, alla quale appartenevano i due carabinieri, conoscessero Brugiatelli. Né se sapessero cosa facesse, se spacciasse nel loro territorio di competenza o se fosse un loro informatore. L'informativa numero 331/1-2 del 27 luglio 2019, alla base del provvedimento di fermo, questi particolari per nulla secondari li contiene? E poi: chi ha deciso la missione? E perché i due carabinieri sono stati mandati all'appuntamento con due cittadini stranieri in borghese e disarmati? E, soprattutto, perché dopo l'accoltellamento nessuno ha inseguito i due in fuga dalla scena del crimine all'hotel che dista neanche 200 metri in linea d'aria? Si sa che al seguito dei due militari erano state inviate due pattuglie che, però, stando alle notizie di stampa, sarebbero arrivate in ritardo.
Ma anche il movente alla base dell'aggressione, se non dovesse essere suffragato da riscontri, potrebbe risultare un po' leggero. I due statunitensi all'appuntamento con il pusher si sono trovati davanti due carabinieri che si sono qualificati. Cosa ha scatenato la colluttazione?
L'ultima versione, riportata negli atti, è questa: i due americani hanno rubato lo zaino del pusher a Trastevere. Una ritorsione perché al posto della coca che volevano acquistare si erano ritrovati della semplice aspirina. E nello zaino c'era il cellulare dello spacciatore. Ma per concordare l'incontro come sono entrati davvero in contatto i due americani con il pusher, se il telefono dell'uomo era nello zainetto sottratto? È stato il pusher a richiamarli?
E perché il carabiniere di pattuglia con la vittima, Andrea Varriale, a caldo, ha riferito che gli aggressori erano nordafricani, fornendo anche un dettaglio preciso, ossia che uno dei due aveva i capelli con le meches? Anche la descrizione dell'abbigliamento non è esattamente quello ripreso dalle telecamere che hanno incastrato i due ragazzi: il militare presente pare avesse riferito che uno dei due indossasse una camicia a scacchi e che l'altro indossasse una felpa nera.
E ancora: si sa che i due americani avevano l'aereo di ritorno in partenza per ieri sera. Perché allora se ne sono tornati a dormire in camera? È a queste domande che la Procura cercherà di rispondere nelle prossime ore.
Fabio Amendolara
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I giovani, 18 e 19 anni, erano stati raggirati con droga falsa e avevano scippato il pusher per averne di vera, poi si sono imbattuti in Mario Cerciello Rega. Sono accusati di omicidio.Restano punti da chiarire: le azioni dello spacciatore, l'operazione e la mancanza di colleghi sul posto.Lo speciale contiene due articoli Il coltellaccio lordo di sangue nascosto dietro uno dei pannelli del soffitto. Gli abiti indossati durante l'omicidio nascosti in una sacca, nel bagno. E fuori dall'hotel Meridien Visconti, occultato in una fioriera, lo zainetto costato la vita al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Così si è chiuso il cerchio.La Procura di Roma non ha dubbi che a uccidere il carabiniere di Somma Vesuviana - impegnato nel tentativo di sventare un'estorsione col trucco del «cavallo di ritorno» - siano stati due californiani in vacanza a Roma. Giovani sbandati, nonostante le fortune finanziarie familiari, che giovedì sera hanno lasciato la loro lussuosa camera da 250 euro a notte per andare in cerca di emozioni forti. I due si chiamano Elder Finnegan Lee di 19 anni e Gabriel Christian Natale Hjorth di 18 anni. Ad affondare per otto volte la lama nel corpo del militare sarebbe stato il primo, ma l'accusa di concorso in omicidio e concorso in estorsione riguarda anche l'amico. La presenza di Natale Hjorth e la sua contrapposizione al carabiniere Andrea Varriale, che insieme a Cerciello Rega avrebbe dovuto fare luce su uno strano furto accaduto poco prima, «ha fornito un decisivo contributo alla causazione dell'evento morte quantomeno perché ha bloccato l'intervento di Varriale in aiuto del suo compagno», scrivono i pm nel decreto di fermo. La dinamica, anche grazie alle testimonianze del portiere e del facchino del Meridien, ai tabulati telefonici e alle immagini dei sistemi di videosorveglianza, è stata ricostruita. È notte fonda quando i due amici, alterati dall'alcol, rubano un borsone a Sergio Brugiatelli per vendicarsi della compravendita di una dose di cocaina rivelatasi, invece, semplice aspirina in polvere. Non è ancora chiaro se Brugiatelli, che anziché trovarsi ai domiciliari era tranquillamente a spasso per Trastevere, si sia limitato a indicare uno spacciatore ai ragazzi o se abbia ceduto egli stesso la sostanza, ma è il prosieguo della storia a creare le condizioni per la tragedia. Brugiatelli si rivolge ai carabinieri e denuncia il furto. In quegli stessi attimi, si crea un contatto tra Natale Hjorth, che parla e capisce l'italiano, e il proprietario dello zainetto. S'intavola una trattativa, l'americano chiede a Brugiatelli il riscatto per la restituzione del borsone: 100 euro e un grammo di cocaina. A questo punto entrano in gioco i carabinieri: viene predisposto un servizio di appostamento. Cerciello Rega e il suo collega Andrea Varriale dovranno avvicinare i due criminali, in borghese, e arrestarli. Qualcosa va storto. Scrivono i magistrati: il diciottenne di San Francisco colpisce «più volte la vittima al tronco in zona vitale», desistendo «dall'azione solo quando ha percepito di aver sopraffatto il suo antagonista». Quando è stato raggiunto da «numerosi fendenti», Cerciello ha infatti urlato e «a quel punto, sentito questo urlo, si è fermato anche Natale Hjorth», che stava fronteggiando l'altro militare dell'Arma. I due americani scappano verso l'hotel in cui alloggiano senza che altri uomini dell'Arma, che pure si trovavano in zona, riescano a intervenire. Interrogati dal gip Chiara Gallo, che si è riservata sulla convalida del fermo, i due americani si sono avvalsi della facoltà di non rispondere dopo aver comunque già confessato, la notte precedente, ai pm di Piazzale Clodio. In quell'occasione, il killer ha tentato di giustificarsi affermando di non aver capito che si trattasse di carabinieri perché non parla italiano. E per questo ha impugnato la lama. Reazione che i pm hanno definito «del tutto spropositata» anche perché nessuno dei due carabinieri «neppure ha tentato di estrarre un'arma». I due avevano un coltello con loro perché avevano paura di essere nuovamente «ingannati e di ritrovarsi davanti a soggetti pericolosi», magari amici di Brugiatelli. Nonostante le foto che li mostrano con lo sguardo assente, i due hanno mantenuto il sangue freddo nella notte tant'è che - si legge nel decreto di fermo - avevano i bagagli pronti e stavano per lasciare l'hotel. Si è poi scoperto che Elder Lee fa uso di Xanax, uno psicofarmaco.Ieri è stata eseguita l'autopsia sul cadavere del povero Cerciello Rega da parte del professor Antonio Grande, che ha stabilito che la causa della morte è stata una forte emorragia interna. Presenti anche degli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri e gli avvocati della famiglia della vittima. «Stiamo male, siamo distrutti. Adesso chiediamo solo rispetto», hanno dichiarato gli amici napoletani che si sono fermati all'esterno dell'istituto di medicina legale del Verano. «Con Mario ci conoscevamo da una vita, siamo vicini di casa», racconta Antonio, 37 anni, un impiegato arrivato a Roma da Somma Vesuviana insieme a quattro amici del militare, «siamo cresciuti insieme, adesso bisogna stare vicini alla famiglia, alla moglie, ai genitori: lui era un punto di riferimento per tutti. Chiediamo rispetto». Antonio ricorda il grande amore che «Mario aveva per la terra del padre: il tempo libero lo passava sul trattore nei campi per curare le noci, le nocciole, la frutta e la verdura che in parte coltivano per loro, in parte vendono per rientrare delle spese. Era un ragazzo speciale, voglio dire solo questo».Oggi, dalle 16 alle 20.30, in piazza Monti di Pietá 33 sarà allestita la camera ardente del povero vicebrigadiere. Domani, invece, i funerali con lutto cittadino proclamato dal sindaco.Simone Di Meo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/due-ragazzini-americani-hanno-ucciso-il-carabiniere-per-un-grammo-di-cocaina-2639400199.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="una-notte-folle-che-va-ricostruita-per-intero" data-post-id="2639400199" data-published-at="1766374313" data-use-pagination="False"> Una notte folle, che va ricostruita per intero Di certo c'è che per sgozzare il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega è stato usato un coltello, poi ritrovato nell'albergo di lusso in cui alloggiavano i due sospettati. Per il resto la versione degli investigatori, per quanto il pubblico ministero Maria Sabina Calabretta si sia sforzata di precisare che «i carabinieri hanno compiutamente ricostruito la vicenda», lasci aperto ancora qualche interrogativo. Davanti a un'accusa meno che granitica, le autorità americane potrebbero decidere di intervenire in modo energico. E di questioni aperte nel delitto di via Pietro Cossa, rione Prati, ce ne sono diverse. La prima: non c'è una piena confessione dei due ragazzi americani: Christian Gabriel Natale Hjorth ed Elder Finnegan Lee. Il pm, infatti, scrive nel decreto di fermo per i due americani che «pur a fronte di parziali discordanze hanno sostanzialmente ammesso gli addebiti». Che, però, non sono stati confermati davanti al gip. Finnegan Lee, il ragazzo che avrebbe usato il coltello per assassinare il militare, si è avvalso della facoltà di non rispondere. E a rendere il tutto più complicato c'è che i due si sono accusati a vicenda, rimpallandosi responsabilità e descrivendo i fatti in modo contraddittorio. Sul loro coinvolgimento gli investigatori e anche il pm non hanno dubbi, perché a provarlo, oltre al ritrovamento del coltello nella loro suite, ci sono i tabulati telefonici, lo zainetto che avevano rubato al pusher e le dichiarazioni del collega della vittima, del portiere e del facchino dell'albergo. Ci sono dettagli, però, che rendono la questione ancora non totalmente delineata. A partire dalla chiamata al 112 di Sergio Brugiatelli, l'uomo al quale sono stati rubati lo zainetto e il telefono cellulare. Cosa aveva nello smartphone di così importante da spingerlo a rischiare un'accusa di spaccio chiamando il 112? L'uomo ha raccontato ai carabinieri di essere stato contattato dai due americani che, per restituirgli tutto, gli hanno chiesto dei soldi. Della chiamata alla centrale viene dato atto nel decreto di fermo. Ma il pm non specifica se la registrazione della chiamata è stata acquisita. In più, non viene indicato se i militari della stazione Farnese, alla quale appartenevano i due carabinieri, conoscessero Brugiatelli. Né se sapessero cosa facesse, se spacciasse nel loro territorio di competenza o se fosse un loro informatore. L'informativa numero 331/1-2 del 27 luglio 2019, alla base del provvedimento di fermo, questi particolari per nulla secondari li contiene? E poi: chi ha deciso la missione? E perché i due carabinieri sono stati mandati all'appuntamento con due cittadini stranieri in borghese e disarmati? E, soprattutto, perché dopo l'accoltellamento nessuno ha inseguito i due in fuga dalla scena del crimine all'hotel che dista neanche 200 metri in linea d'aria? Si sa che al seguito dei due militari erano state inviate due pattuglie che, però, stando alle notizie di stampa, sarebbero arrivate in ritardo. Ma anche il movente alla base dell'aggressione, se non dovesse essere suffragato da riscontri, potrebbe risultare un po' leggero. I due statunitensi all'appuntamento con il pusher si sono trovati davanti due carabinieri che si sono qualificati. Cosa ha scatenato la colluttazione? L'ultima versione, riportata negli atti, è questa: i due americani hanno rubato lo zaino del pusher a Trastevere. Una ritorsione perché al posto della coca che volevano acquistare si erano ritrovati della semplice aspirina. E nello zaino c'era il cellulare dello spacciatore. Ma per concordare l'incontro come sono entrati davvero in contatto i due americani con il pusher, se il telefono dell'uomo era nello zainetto sottratto? È stato il pusher a richiamarli? E perché il carabiniere di pattuglia con la vittima, Andrea Varriale, a caldo, ha riferito che gli aggressori erano nordafricani, fornendo anche un dettaglio preciso, ossia che uno dei due aveva i capelli con le meches? Anche la descrizione dell'abbigliamento non è esattamente quello ripreso dalle telecamere che hanno incastrato i due ragazzi: il militare presente pare avesse riferito che uno dei due indossasse una camicia a scacchi e che l'altro indossasse una felpa nera. E ancora: si sa che i due americani avevano l'aereo di ritorno in partenza per ieri sera. Perché allora se ne sono tornati a dormire in camera? È a queste domande che la Procura cercherà di rispondere nelle prossime ore. Fabio Amendolara
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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