2022-04-07
Draghi umilia partiti e Parlamento. Di questo passo il voto diventerà inutile
Il premier presenta gli aiuti (4,5 miliardi) a famiglie e imprese: niente scostamento malgrado le richieste. Non esclude la fiducia sulla delega: «La gente preferisce l’unità nazionale alle rivendicazioni dei singoli».Il governo muove su fronti paralleli. Def e delega fiscale. Su entrambi fa muro per bloccare le richieste dei partiti. La cabina di regia preparatoria al cdm, che a sua volta ha partorito il Documento di economia e finanza, ha visto Daniele Franco rigidissimo. L’unico deficit concesso è quello che si ferma al 5,6% lasciando un margine di spesa di 9 miliardi di cui la metà è già stata in realtà usata nell’ultimo decreto energia. Con i 4,5 miliardi restantisi vedrà che fare. Optando per un decreto energia ter ci saranno risorse per un altro mese e mezzo. Poi si vedrà. Eppure Draghi in conferenza stampa si è detto convinto che i cittadini tra le richieste e le propensioni dei partiti e l’unità di governo sceglieranno sicuramente la seconda strada. Perché la guerra è il nuovo Covid.Peccato che una frase del genere sia fredda come una lama tagliente. Draghi così umilia i partiti che si sono da soli messi in una situazione di inutilità. Se vige sempre l’unità nazionale, che senso avrà andare a votare? E se nessun partito può esprimere un programma vero e proprio, che differenza ci sarà dentro le urne? È chiaro che decenni di campagna sulla casta hanno svilito qualunque esponente politico e che i partiti divenuti perenni comitati elettorali hanno abdicato a gestire la cosa pubblica, ma l’osservazione di Draghi necessita attente analisi. Non è buttata lì a caso, è chiaramente un’idea profonda, che infatti spinge il governo a comprimere, assieme ai partiti, anche il Parlamento. Lo si comprende dalla seconda frase clou della conferenza stampa di ieri sera. Sollecitato da un giornalista sul Vietnam in corso alla Camera sulla legge delega fiscale, il premier non ha escluso che per tagliare la testa al toro potrà imporre la fiducia. Il documento di sintesi sul ddl, il secondo prodotto dal governo dopo l’imposizione del capitolo catasto, è stato rigettato dal centrodestra lunedì sera. Motivo del contendere la riformulazione delle aliquote sui Btp e sulle cedolari immobiliari. Inutile dire che il valore minimo del 10% sarà portato al 15. Anche su ciò il governo si è imposto, non ha accettato modifiche. Risultato: astensioni e «no» in sede di commissione. Draghi sa bene che essendo un disegno di legge e non un decreto la sovranità del Parlamento è primaria. Tradotto, anche dopo il voto in commissione l’Aula potrebbe inserire modifiche. Da qui la minaccia sulla fiducia. Scelta estrema, praticata l’ultima volta per far ingurgitare a mezza sinistra il Jobs act. Peccato che il Parlamento serva proprio a legiferare. Usarlo come passacarte è sbagliato due volte in questo caso. Primo, perché c’è una Costituzione abbastanza chiara sul tema. Secondo, perché sulla riforma del catasto e sulla delega fiscale il Parlamento si è espresso chiaramente a giugno del 2021. Ha rifiutato l’idea proposta dall’Ue e dal Fmi di portare avanti una modifica che sulla casa permetta di passare dal calcolo reddituale a quello patrimoniale. Non solo per evitare che salgano le tasse. Ma anche perché ritiene sbagliato spostare da un piano all’altro il prelievo. La ridistribuzione di ricchezza finirebbe solo con l’impoverire il tessuto italiano. Quindi è chiaro che ben prima che Draghi prendesse il suo personale impegno di infilare la riforma delega del fisco nello schema di approvazione del Pnrr, l’Aula aveva detto no. A questo punto il paragone fra Covid e guerra in Ucraina è inaccettabile. I partiti stavolta hanno il dovere di tenere la posizione. Basta tasse. Basta idee di esproprio come quelle sostenute dal segretario della Cgil. Basta decrescita infelice mascherata da falso ecologismo e sostenuta da ulteriore prelievo fiscale. Se il premier metterà la fiducia sulla delega fiscale dopo aver scritto in solitaria il Def, significa che qualcuno dovrà prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di togliere la spina. In caso contrario, i partiti avranno abdicato per l’ultima volta alle proprie funzioni e promesse. A meno che vogliano immaginare un’Italia di soli pensionati, dipendenti pubblici e sussidiati.