2022-05-10
Draghi scommette su Washington però pesa il Trattato del Quirinale
Mario Draghi e Joe Biden (Ansa)
Inizia la visita del premier negli Usa: sul tavolo le misure finanziarie e la stabilizzazione del Mediterraneo. Tuttavia il patto firmato con l’Eliseo ci incatena a una Francia che guarda altrove: un’incognita pesante.Parte la tre giorni di Mario Draghi negli Usa. Stasera alle 20, orario italiano, incontra Joe Biden, domani nel primo pomeriggio incontrerà in ambasciata la stampa e poi la speaker della Camera, Nancy Pelosi. In notturna ci sarà invece la cerimonia di premiazione con il «Distinguished leadership award». Qui, all’Atlantic Council, il momento in cui il premier dovrebbe rivolgere alla comunità finanziaria americana una serie di messaggi. Magari proprio per dare un seguito al messaggio lanciato due settimane fa a mo’ di salvagente dalla Janet Yellen: stop al Patto di stabilità europeo. Potrebbe anche capire quali opportunità possono esserci per i grandi fondi Usa che vogliono investire nelle nostre infrastrutture o per quelli pronti a sostenere i nostri titoli di Stato nel momento in cui - e succederà - verrà meno il grande paracadute della Bce. D’altronde non è possibile immaginare che dalle parti di Palazzo Chigi non si stia pensando a un qualche salvagente in vista della tempesta perfetta di ottobre. Il prossimo autunno avremo la stretta sui rifornimenti energetici, un nuovo picco di inflazione dovuto alle ulteriori strette alla supply chain e un potenziale rialzo dello spread. Anche se Draghi in quel momento dovesse già aver abbandonato la plancia di comando sono questi i giorni per trattare i contrappesi geopolitici del nostro debito. Una volta che la Germania avrà risolto la propria impasse energetica e ridefinito i propri rapporti, gli Usa, c’è da scommettere, torneranno a essere i falchi di sempre. Berlino tornerà a insistere sul Patto di stabilità e sul pericolo dei conti italiani. Senza un bilanciamento ed esposti come saremo, il rischio della Troika sarebbe elevato. Prima di arrivare all’autunno ci sono però numerosi interrogativi a cui dare risposta. Qualcosa - ci auguriamo - potrebbe saltar fuori proprio dall’incontro di stasera con Biden. Al di là delle parole e delle dichiarazioni di un ministro come Roberto Cingolani , i timori potrebbero prendere consistenza. Siamo a un soffio dal 40% delle riserve, ma bisogna arrivare al 90% entro l’autunno per poter affrontare l’inverno in tranquillità. Non solo per i riscaldamenti ma anche, e soprattutto, per il regolare funzionamento delle industrie, visto che il 40% della nostra elettricità è prodotto da centrali che usano gas. «Siamo in un’economia di guerra», ha sintetizzato il ministro, aggiungendo che «in questa economia di guerra alcuni Paesi saranno molto più colpiti da queste scelte energetiche di altri». Il riferimento è a Roma. Peccato che, se sui pericoli il governo Draghi sta mostrando una certa coerenza, sulle soluzioni e sulle mosse per evitare il crac economico non si capisce ancora nulla. Vedremo se, dopo l’incontro alla Casa Bianca, Draghi illuminerà gli italiani e così in occasione della conferenza stampa speriamo che escano indicazioni un po’ più precise sulla direzione che sta prendendo il Paese all’interno dell’Unione europea. Ottima, la possibilità di trovare negli Usa sostegno in caso di crisi del debito, ma è altrettanto importante che arrivi un salvagente sulle mosse di politica estera. Non esiste infatti solo il problema guerra in Ucraina. Ma il riposizionamento di Israele all’interno dello scacchiere mediterraneo, il passo in avanti di Recep Erdogan che guadagna punti grazie alla mediazione con Mosca e infine il pericolo di un collasso economico dei Paesi del Sahel. Su tutti questi tavoli l’Italia avrà un convitato di pietra: la Francia.Non è un caso se mentre Draghi vola negli Usa, il presidente francese Emmanuel Macron incontri a Berlino Olaf Scholz. I due si vedono per la prima volta da che è iniziata la guerra in Ucraina, mentre il capo dell’Eliseo ha al suo attivo diverse ore trascorse al telefono con Vladimir Putin. Se Draghi decidesse di strappare ancor di più a favore della guerra e gli altri due leader a favore della pace, si aprirebbe una grave divaricazione. Tanto più grave quanto si cercherà poi di inserirla dentro il quadro del Trattato del Quirinale firmato a Roma lo scorso novembre. L’accordo prevede una serie di passaggi e tavoli condivisi sui trattati Ue, ma anche sulla politica internazionale. Là dove si potrà incrociare l’uso delle armi o dei nostri militari. In pratica, abbiamo firmato un trattato che resta un’incognita. Avremmo sempre desiderato di trovarci su piani separati rispetto alla Francia, ma con una premessa: quella di esserci liberati dal loro giogo economico e aver trovato un equilibrio di scambi commerciali e finanziari. Il rischio è invece di finire su piani separati proprio mentre le loro aziende e le loro banche affilano le armi contro il nostro sistema Paese. Allora il rischio sarebbe affrontare la tempesta perfetta a ottobre magari con il favore americano, ma nei fatti con i francesi in casa a danneggiarci e nel Sahel a impoverirci ulteriormente. Insomma, il viaggio di Draghi può essere una grande vittoria come un sommo pericolo. Di certo è una mega scommessa.
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