2024-02-25
Draghi vuole una nuova Ue con i nostri soldi
Mario Draghi (Imagoeconomica)
Mr Bce critica il modello dell’Unione, ma la proposta di trasformarla in un maxi Stato non funziona. Poi chiede uno sforzo ai privati per il cambiamento: «Il denaro pubblico non sarà mai abbastanza, troviamo il modo di mobilitare anche i risparmi».Da un lato, è realistica la recente valutazione di Mario Draghi che il modello dell’Ue non funziona e che deve cambiare, con enfasi sul fatto che per renderlo competitivo servono mega-investimenti nel breve-medio termine. Dall’altro, appare irrealistica la soluzione di trasformare l’Ue in uno Stato sovrano per concentrare le risorse necessarie. Tanto più se questa caccia include, come ha detto ieri l’ex premier, una inquietante «mobilitazione di risparmi privati». Pertanto la ricerca realistica va indirizzata verso un modello di «Europa sufficiente» per collaborazioni utili allo sviluppo dei suoi Stati nazionali, restando tali.Chi scrive iniziò tale ricerca nel settembre 1996 quando Francia e Germania annunciarono la volontà di creare l’euro e gli diede il (sotto)titolo «Meno di un’Unione, ma più di un’alleanza». Tra il 1996 e 1998 scrisse editoriali che segnalavano un pericolo: l’euro costruito dal tetto senza muri sarebbe stato impoverente e fragile, nonché dannoso per l’Italia che ha poca influenza sulla diarchia franco-tedesca ed è vulnerabile per un eccesso di debito. In realtà il pericolo lo aveva avvertito nell’estate del 1993, quando operò come consigliere di Beniamino Andreatta ai tempi ministro degli Esteri e seppe da lui i dettagli di un incontro riservato con Helmut Kohl che avvertiva il collega democristiano italiano di quello che sarebbe successo nel 1996 e dopo. Il punto era un accordo con la Francia nato poco tempo prima della riunificazione tedesca. François Mitterrand era andato in visita nella Germania Est poche settimane prima del crollo del muro, nel 1989, per segnalare a Kohl che o la Germania abbandonava il marco per una moneta condivisa o la Francia, timorosa di essere depotenziata, si sarebbe opposta alla riunificazione. La Germania dei tempi accettò, ma volle che l’euro fosse come il marco. Nel negoziato di Amsterdam pre-euro, dove la Francia tentò di ammorbidire la volontà tedesca, la Germania non mollò di un millimetro il diktat: ormai Berlino era la potenza singola europea e la Francia un lontano numero due. Per inciso, proprio nel 1993 Parigi generò un piano di compensazione del potere economico tedesco, che dura ancora oggi, attraverso la conquista del sistema finanziario ed industriale italiano per pareggiare, appunto, il potere di Berlino: da allora una continua pressione sull’Italia, in parte contrastata, ma in parte no, a causa del reclutamento da parte francese di molto personale politico ed istituzionale italiano. Quando fu consigliere di Antonio Martino, ministro della Difesa dal 2001 ai primi del 2006, chi scrive ne derivò l’immagine di un’Ue segnata da un continuo conflitto tra nazioni per dominio o vantaggi differenziali che, pur attutito da una capacità diplomatica compositiva rimarchevole, rendeva molto lontana nel tempo la possibilità di creare una confederazione europea coesa come uno Stato. E considerò troppo rischiosa l’idea di spingere tale coesione forzando via unione monetaria la conseguenza politica di uno Stato europeo unitario. Pertanto il programma di ricerca «Meno di un’unione, ma più di un alleanza» continuò nonostante la solitudine di essere l’unico, o quasi, che si era pubblicamente opposto all’euro (non come idea per il futuro, ma come tempi disegno sbagliato delle istituzioni europee) e che aveva raccomandato all’Italia di rinviare l’adesione all’euro dopo aver ridotto il debito pubblico e tolto il trattato bilaterale tra Francia e Germania come motore della governance europea. Nel 1999 smise di raccomandare la non entrata immediata dell’Italia nell’euro perché era nato e sarebbe stato disastroso uscirne, ma continuò il programma per trovare un modello europeo meno impoverente e moltiplicativo per le ricchezze degli Stati. Alla soddisfazione per aver ricevuto le scuse di tanti critici – molte dopo l’olocausto economico italiano nel 2012/15 (ancora non del tutto riparato) - però non corrisponde quella di una guarigione realistica dell’Ue sul piano del modello.Quale sarebbe la guarigione? Certamente rendere pienamente fluido il mercato dei capitali. Ma è solo questione di architettura politica? Gli europei lasciano in banca molto più denaro «fermo» degli americani che lo mettono in massa maggiore su investimenti produttivi che attraggono la migrazione delle aziende europee in America. Soluzione? Non serve uno Stato europeo, ma un accordo tra nazioni sulla detassazione forte o perfino totale degli investimenti produttivi per rendere tutto l’ambiente europeo supercompetitivo a livello mondiale. Investimenti per la sicurezza ambientale? Ovviamente, ma non con regole ideologiche che deprimono l’economia e l’agricoltura forzandole a mutamenti distruttivi: si chiama ecoadattamento combinato con neutralità tecnologica. Debiti pubblici? Non serve un superstato, ma, oltre alla disciplina dei bilanci nazionali, un aiuto reciproco europeo alle dedebitazioni nazionali invece di regole limitative che deprimono la crescita. Altrimenti siamo al paradosso di aver inondato di liquidità a tassi zero, aver varato il Pnrr e restare a caccia di soldi. Ma il punto macro non è solo la difficoltà ed il pericolo di spaccature nel forzare un’integrazione europea senza consenso, ma anche quello di rendere l’Europa non interoperabile con un’alleanza più ampia, cioè il mercato integrato globale delle democrazie, espandendo il G7. La vera identità è la bandiera delle democrazie, globale, non il fatto di essere contigui, pur (geo)rilevante, nella piccola area dell’Eurasia occidentale: l’europeismo è un provincialismo che non ha forza morale e tecnica per essere base di uno Stato. Ecco perché non serve uno Stato europeo, ma è fondamentale la convergenza strutturabile tra le democrazie del pianeta, l’Ue un buon esempio fino a quando era Comunità e non Unione. Grazie Draghi per aver detto chiaramente che la piccola Ue non funziona, ma la soluzione non è statualizzarla, pur aumentando la sua capacità collaborativa. www.carlopelanda.com
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