2021-04-04
Draghi in Libia studia l’accordo tra Gheddafi e Berlusconi
Il rientro dei capitali congelati all'estero e l'aiuto delle aziende italiane nella ricostruzione freneranno il «racket dei barconi». Il nuovo governo italiano incontrerà il nuovo governo di Tripoli guidato da Abdul Hamid Dbeibah. Trascorsa Pasquetta, martedì Mario Draghi sbarcherà nella vecchia Giamahiria. Un segnale forte che i libici vorrebbero cogliere al volo portando le lancette dell'orologio indietro al 2008. Quando Muhammar Gheddafi e Silvio Berlusconi firmarono a Bengasi il trattato di amicizia e cooperazione. Quel pezzo di carta in realtà fu presentato al Parlamento a dicembre dello stesso anno e ratificato a luglio del 2009. L'accordo di Bengasi che prevedeva a fronte della riparazione dei «danni» di guerra scambi commerciali, nuove infrastrutture e partnership dirette sui temi dell'energia e della Difesa è di fatto una legge dello Stato italiano. Peccato che dopo un anno di rodaggio, il grande accordo sia abortito. O meglio sia stato ucciso dalle bombe della coalizione Nato, guidata dalla Francia.In 9 mesi sono state distrutte tutte le infrastrutture, ucciso Gheddafi, messo in ginocchio un Paese e devastato l'intero Maghreb. Il demerito porta a due nomi, quello di Nicolas Sarkozy e Barack Obama. L'Italia fu tra i carnefici seppur quello scempio fosse mirato principalmente a evitare che il trattato di amicizia con la Giamahiria socialista rendesse Roma leader del Mediterraneo. Nel 2008 gli scambi commerciali tra Italia e Libia valevano circa 35 miliardi. Con le partnership a regime il flusso sarebbe potuto crescere anche di un 50%. Adesso a 10 anni esatti dalla guerra lo scambio commerciale non supera gli 8 miliardi. Giusto l'import di gas e petrolio e poco altro. Adesso a meno di un quarto dai valori del giro d'affari del 2008, il governo benedetto dall'Onu e con il compito di portare la Libia a elezioni pensa di proporre a Draghi il ripristino del trattato. È in fondo la scelta più pratica e veloce. Non solo perché Berlusconi è tornato al governo (tra l'altro a firmare all'epoca c'era anche Maria Stella Gelmini ora di nuovo ministro), ma in fondo si tratterebbe di apporre qualche modifica a una legge già esistente. Così Draghi martedì dovrebbe trovarsi a studiare questa strada che in fondo collima molto con le dichiarazioni pubbliche che ha fatto due settimane fa quando Mr Bce ha tenuto a rendere pubblica la missione. Il quadro complessivo sarà quello di riportare nel deserto le nostre principali aziende (Claudio Descalzi ha già fatto un volo la scorsa settimana) inserendole nei piani di ricostruzione. Mancano strade e autostrade. Soprattutto non esiste più una filiera manifatturiera perché manca l'infrastruttura elettrica e i blackout sono all'ordine del giorno. Insomma, tutte attività che il vecchio trattato prevedeva di modernizzare. Adesso andranno rifatte da zero. L'Italia potrà in parte contribuire ricevendo materie prime, ma soprattutto con l'aiuto degli Stati Uniti potrà fare pressioni perché l'enorme massa di fondi libici congelati all'estero per via delle sanzioni Nato. In tutto si tratta di circa 60 miliardi. Circa 24 sono fermi negli usa e 14 in Inghilterra. L'Italia ne blocca ancora 4. È facile immaginare il circolo virtuoso della messa in moto di questi fondi. Tornano in patria e al tempo stesso vengono usati per la ricostruzione con aziende occidentali. L'obiettivo americano e italiano è quello di tornare a una economia di mercato e quindi ridurre il perimetro dell'economia di guerra che alimenta a sua volta il traffico di esseri umani. Non sappiamo se tutto ciò avverrà però ci sono le condizioni. Basti pensare anche solo il prestigio internazionale. Il 17 dicembre scorso Giuseppe Conte volava a Bengasi per riprendersi i pescatori rapiti dagli uomini del generale Khalifa Haftar. Una missione compiuta sotto il ricatto politico nel quale Conte si era infilato un anno prima. Adesso Draghi vola in Libia con una investitura americana, ma soprattutto si reca a sud del Mediterraneo per dare a sua volta investitura a un nuovo governo, mentre il premier libico uscente Fayez al-Serraj è ospite a Roma nonostante il suo passaporto inglese. Restano comunque tantissime difficoltà. Alle nostre aziende toccherà scontrarsi con la concorrenza francese e ai nostri uomini presenti in Libia subentrare alla sfera turca e controllare l'avanzata russa. Anzi fermarla. Non è un caso il clamore mediatico sollevato attorno all'arresto del capitano di fregata Walter Biot pizzicato a vendere segreti a militari russi sul nostro territorio. Serve probabilmente a spiegare che sebbene in Europa Italia e Russia resteranno amiche anche se su diversi schieramenti, in Africa non potrà essere la stessa cosa. Sarà più difficile avere a che fare con i francesi. A meno che si troverà un accordo nell'ambito della Difesa europea lasciando a Parigi di fatto il controllo su tutte le aziende spaziali. Insomma, questo viaggio di Draghi è qualcosa di più di una bandierina da piazzare. È l'avvio di un percorso che può durare 20 anni.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)