2022-04-19
Draghi pare in attesa di un altro incarico e nasconde i problemi anziché affrontarli
Nella sua prima intervista in 14 mesi il presidente del Consiglio applica la stessa logica con cui aveva sperato di andare sul Colle.La sensazione è che l’ipotesi avanzata nei giorni scorsi dal direttore Maurizio Belpietro sia sempre più fondata: quella di un Mario Draghi che pensa ad altro (in primo luogo, al traguardo altissimo della segreteria generale della Nato), e che dunque sembra avere l’approccio tipico - per quest’ultimo anno di legislatura - di chi tende a galleggiare, a gestire i problemi anziché affrontarli di petto, a evitare che le acque si increspino più di tanto. Peccato che questo atteggiamento, di per sé discutibile, sia forse adatto ai periodi «normali», quelli di navigazione tranquilla, e appaia invece di difficilissima praticabilità in momenti eccezionali come quelli che - sia per evidenti ragioni internazionali sia per ragioni interne - l’Italia è chiamata ad affrontare. Sta di fatto che era grande l’attesa per la prima intervista a tutto campo del premier, rilasciata a Pasqua al Corriere della Sera: anche perché si trattava della prima intervista dopo ben quattordici mesi dal suo insediamento a Palazzo Chigi. E invece? La prima metà dell’intervista è stata dedicata alla guerra in Ucraina. E qui Draghi ha ribadito le sue posizioni ben note, oltre a ripetere parola per parola ciò che già aveva raccontato in una conferenza davanti alla stampa estera a proposito della sua ultima conversazione telefonica con Vladimir Putin, e cioè la doppia risposta del presidente russo sui «tempi non maturi» né per un cessate il fuoco né per un incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. È parsa invece sorprendente la seconda metà della conversazione del primo ministro con il direttore del Corsera Luciano Fontana. Qui il metodo delle attenuazioni appare addirittura sistematico, davanti a tutte le (pur morbidissime) sollecitazioni dell’intervistatore. Preoccupazioni energetiche per l’inverno? «Siamo ben posizionati […]. Se anche dovessero essere prese misure di contenimento, queste sarebbero miti». E a seguire riferimenti minimalisti ai condizionatori e alla temperatura del riscaldamento nelle case, come se non ci fosse un gigantesco problema legato al possibile collasso del nostro sistema produttivo. Tanto per fare un esempio, in Germania imprese e sindacati paventano deindustrializzazione, blocco della produzione, posti di lavoro in fumo. Qui invece si minimizza. Interventi ulteriori sul costo delle bollette? «E’ nostra intenzione fare di più», risposta non impegnativa e genericissima. Lo scontro politico sulla delega fiscale? «L’atmosfera con il centrodestra mi è sembrata positiva […]. C’è qualche margine di trattativa, anche se gli elementi caratterizzanti della riforma restano». E la realizzazione del Pnrr? «Nel 2021 abbiamo realizzato tutti gli obiettivi previsti». E poi, a seguire, altre parole non conflittuali ma deliberatamente vaghe verso tutti: verso il centrodestra, il centrosinistra, verso Giorgia Meloni. Fino alla battuta finale in cui Draghi esclude di candidarsi alle prossime elezioni, ribadendo ciò che in realtà ben sappiamo: essere eletto «è estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza». E questo gli italiani l’avevano già capito. Parlare di una strategia della negazione sistematica, quella che gli anglosassoni chiamano denial strategy, sarebbe forse irrispettoso. Eppure, l’impressione resta quella di un Draghi che cerca di ridimensionare i problemi, di circoscrivere le difficoltà. Altro che le grandi riforme promesse, altro che lo spirito innovativo sbandierato a febbraio 2021, al momento del suo insediamento. Qui siamo invece a un mota quietare, quieta non movere, se non addirittura a un andreottiano «meglio tirare a campare che tirare le cuoia». In attesa di altro incarico. Esattamente la logica con cui Draghi aveva varato a fine anno una finanziaria di galleggiamento, sperando di trasferirsi al Quirinale. Quanto ai cittadini, Draghi riserva loro parole quasi da training motivazionale: «Abbiamo fatto molto e lo abbiamo fatto insieme. Dovremmo tutti avere la forza di dire agli italiani: guardate cosa avete realizzato in questi quattordici mesi. Penso alle vaccinazioni, alla crescita economica che abbiamo raggiunto nel 2021, al conseguimento degli obiettivi del Pnrr». E qui c’è davvero da rimanere stupefatti, come se Draghi fosse effettivamente lontanissimo dalle preoccupazioni di milioni di concittadini. Nel quadro disegnato dal premier, infatti, spariscono - o per lo meno rimangono pallide e indistinte - tutte le incognite di questi mesi e dei prossimi: la pesante battuta d’arresto della crescita; il rincaro verticale di energia e materie prime; la silenziosa ma ininterrotta sequenza di fallimenti e chiusure nel commercio, nell’artigianato, nei servizi; la drammatica contrazione dei consumi e della domanda interna; le crescenti difficoltà di molte famiglie italiane perfino nel fronteggiare le rate periodiche dei loro mutui. La mezza Italia sofferente del privato, degli autonomi, delle partite Iva, delle imprese (e dei loro dipendenti) semplicemente non c’è. E si tratta di una scelta rischiosa. Quando si entra in una fase di radicale incertezza, servirebbe il coraggio di dire parole di verità ai cittadini. Altrimenti l’impatto con la realtà sarà ancora più duro. E porterà con sé l’inevitabile salita della rabbia e del risentimento di chi nel frattempo si sarà sentito abbandonato. Negare i problemi è il modo migliore di scavare un fossato con segmenti molto significativi di opinione pubblica. E bollarli a posteriori come «populisti» non risolverà affatto la questione.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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