2019-11-21
Dopo il mutuo, la ristrutturazione: i misteri della casa di Lady Inps
La dg Gabriella Di Michele, che si era assegnata un prestito senza poterlo fare, affidò il progetto a un tecnico suo sottoposto. Alla ditta costruttrice sono poi stati affidati dall'ente tre appalti per lo stesso importo dei lavori (250.000 euro).Sulla casa inciampano molti potenti. E così dopo il recente caso dell'ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta, nei corridoi dell'Inps si è ripreso a parlare delle questioni legate all'abitazione della loro direttrice generale, Gabriella Di Michele. Abruzzese, classe 1959, la signora è stata capace di attraversare indenne tre governi rimanendo sempre salda sulla tolda dell'istituto previdenziale più grande d'Europa. Eppure, da tempo, sul suo bell'attico (soggiorno, tre camere, cucina e due bagni, più terrazza e due balconi), acquistato nell'elegante quartiere romano di Monteverde, girano diverse voci. Le più recenti riguardano la certosina ristrutturazione.A presentare la Cila numero 41953, ovvero la Comunicazione di inizio lavori asseverata, è stato, il 22 maggio 2012, l'architetto Achille Elia. Non un professionista qualsiasi. Infatti all'epoca la Di Michele era il direttore regionale dell'Inps del Lazio e Elia era il coordinatore tecnico regionale edilizio della stessa regione. Cioè dipendeva proprio dalla Di Michele. E quando la signora è assurta al soglio di dg, nel gennaio 2017, con Tito Boeri presidente, Elia, l'architetto che ha firmato l'inizio lavori della casa della sua «capa», ha avuto l'onore di essere nominato coordinatore generale tecnico edilizio presso la stessa Inps. La promozione è arrivata con la determinazione presidenziale numero 142 del 22 novembre 2018 e la Di Michele si è astenuta adducendo motivi d'amicizia, senza specificare che il professionista aveva avuto parte attiva nella ristrutturazione della sua casa. Nelle carte visionate dal nostro giornale si legge che Lady Inps ha affidato a Elia la progettazione e la direzione dei lavori. L'architetto, tra l'altro, ha firmato la relazione tecnica allegata alla Cila in cui venivano elencate le radicali opere di rifacimento di bagni, parquet, controsoffitti, di ridistribuzione degli ambienti e di sostituzione di porte, infissi, impianti elettrici, condizionatori ecc... Il documento ci informa che tutte le stanze sono poi state tinteggiate con vernici naturali «a affetto damascato con patinatura» e «a effetto antichizzato». I lavori vennero affidati all'impresa Mizar appalti srl, una ditta di Roma di proprietà di Edoardo (62,5 per cento delle quote) e Ubaldo Vitale (22,5): il primo è l'amministratore, il secondo, originario come la Di Michele della provincia dell'Aquila, il presidente. Negli anni la società ha ottenuto appalti dalla sede regionale del Lazio, di cui la Di Michele era direttrice, tutti assegnati attraverso la procedura del cottimo fiduciario, in pratica un affidamento diretto senza gara per importi sotto i 200.000 euro. Per esempio ad aprile e a dicembre 2013 la Mizar ha preso due lavori rispettivamente da 91.504,08 euro e da 125.337,52 euro, nella sede di Rieti. La ditta ha operato anche negli uffici di via Regina Margherita a Roma, presso la direzione regionale del Lazio: qui nel settembre 2013 ha aperto un piccolo cantiere per cui ha incassato 30.981,49 euro. In totale la Mizar nel 2013 ha ottenuto lavori dall'Inps per circa 250.000 euro. Interpelliamo la Di Michele su quegli affidamenti: «Un lavoro da 250.000 euro alla Mizar con cottimo fiduciario? Impossibile noi non abbiamo fatto cottimi fiduciari e comunque non glieli ho dati io…». I lavori erano tre… «Non mi risulta. Io comunque ho tutte le ricevute della ditta e posso esibirle. Ho pagato i lavori di ristrutturazione più di 250.000 euro, un prezzo molto superiore a quelli stracciati che avrei potuto ottenere in altro modo…». Un suo dipendente risultava progettista e direttore dei lavori. «Non era il progettista, ha semplicemente firmato la Dia (la vecchia Dichiarazione di inizio attività, ndr) perché la ditta non l'aveva fatto e siccome io avevo collegato il mutuo ai lavori l'architetto Elia, che era il coordinatore regionale dell'Inps, ha sanato questa cosa, perfezionando l'iter del mio mutuo». Ecco, il mutuo. Prima di chiedere aiuto al suo sottoposto, la Di Michele aveva combinato un altro pasticcetto con il finanziamento per la casa. Una storia che, per la prima volta, può essere raccontata carte alla mano. L'attico a Monteverde è costato 863.000 euro, di cui 430.000 pagati dalla mamma Maria Antonietta. Ma per ristrutturare l'immobile mancava una fetta dell'importo. Per questo il ricorso anche a mamma Inps. La determina numero 563/59 del 26 marzo 2012 autorizzava l'erogazione di un mutuo fondiario da 150.000 euro con il tasso del 2,50 per cento all'allora cinquantatreenne Di Michele, da pagare in sette comodi lustri. In calce al documento c'era la firma della stessa beneficiaria. Ad accorgersi dell'anomalia è stato il direttore del personale Sergio Saltalamacchia durante un controllo sui mutui edilizi concessi agli alti dirigenti. Il 9 marzo 2016 segnala ai superiori come della determinazione di concessione del mutuo esistessero due diverse versioni: una allegata al rogito e firmata dalla stessa dg, un'altra sottoscritta dal direttore regionale vicario Loretta Angelini, con firma «per ricevuta» della Di Michele. La procedura, in base al regolamento interno per la concessione dei mutui, avrebbe dovuto essere interamente delegata all'Angelini, ma così non è stato. Il 26 marzo del 2012 la determina finisce sul tavolo della Di Michele. La quale, in una memoria del 31 marzo 2016, si è difesa così di fronte all'ispettorato interno: «Mi furono sottoposti alla firma, come di consuetudine, numerose pratiche di concessione mutuo ai dipendenti. Faccio presente che all'epoca tutte le domande di mutuo della provincia di Roma (circa 1.800 dipendenti) erano accentrate presso la direzione regionale da me diretta». La Di Michele, dunque, sostiene che a causa della mole di pratiche da siglare non si era accorta che tra quelle ci fosse la sua. In realtà l'avvocato Elisabetta Lanzetta (all'epoca coordinatore centrale Affari del personale del coordinamento generale legale), in una memoria depositata dall'Inps contro la Di Michele, sbugiardava la dg: «Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente […] l'errore nella sottoscrizione della determinazione a proprio favore, non apparirebbe neppure riconducibile all'invocata mole di pratiche sottoposte alla firma. Infatti, è stato verificato che nella giornata del 26 marzo 2012 la dottoressa Di Michele ha sottoscritto, oltre alla determinazione numero 563/59 di concessione del proprio mutuo edilizio esclusivamente ulteriori due determinazioni aventi diverso oggetto». Ieri la Di Michele ha respinto questa ricostruzione: «È falso. Io ho firmato per sbaglio la mia pratica di mutuo, perché era insieme ad altre 25. L'impiegata ha messo sotto la mia e io l'ho siglata. Punto. Ma quel mutuo era perfetto sia dal punto vista amministrativo che tecnico». Nella sua difesa del 2016 la dg evidenziava che la funzionaria addetta si accorse dell'errore e le risottopose la pratica: «A questo punto ho interpellato la mia vicaria, dottoressa Loretta Angelini, la quale dopo aver accertato la regolarità documentale della concessione, ha apposto la sua firma quale direttore regionale vicario, lasciando la mia per ricevuta». Una toppa che la Lanzetta ha considerato peggiore del buco: «La dottoressa Di Michele avrebbe ben dovuto entrare nella decisione conseguente del proprio errore, adottando o facendo adottare alla propria vicaria […] un contrarius actus di annullamento del precedente, viziato da incompatibilità e da conflitto d'interessi […] giacché sarebbe stato compito della propria vicaria verificare la sussistenza di tutte le condizioni per la concessione del mutuo prima di adottare e firmare la nuova determinazione». Cosa che non è avvenuta. Inoltre, se la Di Michele sostiene di aver subito fatto correggere la determina, va sottolineato che un mese dopo, il 24 aprile 2012, la stessa dg, presente nello studio del notaio Silvia Giulianelli per il rogito, non si è accorta che nel fascicolo era entrato il documento sbagliato. La dg, che ha sempre parlato di «mera distrazione», alla fine è riuscita a evitare ogni tipo di sanzione. Ha superato indenne il procedimento disciplinare subendo solo una multa di 200 euro, il minimo edittale, mentre in quello giudiziario, innescato dal suo ricorso, a seguito dell'intervento dell'allora presidente Boeri, a favore della conciliazione, è stata cancellata pure la multa. Il componimento bonario era stato suggerito dal giudice e sollecitato dalla stessa Lanzetta. La quale, però, al termine dei due procedimenti, è stata «degradata» dalla direzione generale e mandata al coordinamento regionale legale, senza incarico di responsabilità. Un trasferimento firmato dalla stessa Di Michele che non ha ritenuto di doversi astenere per un possibile conflitto d'interessi. Ha cambiato aria anche Saltalamacchia, la cui iniziativa aveva messo in moto il procedimento: l'1 febbraio 2017 è stato nominato direttore della sede siciliana dell'Inps. «Sapete perché è uscita questa storia del mutuo?» ci domanda la Di Michele a fine giornata. «Perché io dovevo essere il futuro dg e l'unica cosa che hanno trovato i miei avversari contro di me è che mi sono sbagliata a firmare quella carta. Vi inviterei ad avere un atteggiamento di comprensione nei confronti della sottoscritta».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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