
Contestata l'intervista a due padri gay che hanno descritto come un dono la gestazione del figlio in Canada. «Bugia: le mamme sfornano il “prodotto" in cambio di soldi, con gravi rischi per la salute fisica e psichica».Forse il segno è stato passato con le anagrafi che certificano nascite da genitori dello stesso sesso. Almeno così pare, osservando il cortocircuito culturale che la scelta dei sindaci di Roma, Torino e Bologna ha messo in moto. Nei giorni scorsi, con una lettera aperta, le associazioni delle donne che lottano per i diritti lgbt hanno rimproverato La Repubblica, paladina delle famiglie arcobaleno, perché ha dato voce ai due neo padri gay torinesi che sono ricorsi all'utero in affitto e che il sindaco Chiara Appendino ha registrato all'anagrafe come genitori tout court.In realtà, che le coppie gay debbano ricorrere all'utero in affitto per diventare padri, è ben noto. E non di rado, dai media mainstream, la pratica è stata celebrata come un diritto. Ma se, fino a ieri, si trattava di usare il corpo di una donna e pagarla per dare alla luce un figlio spacciandolo come nato da padre noto e madre ignota, adesso registrando in atto pubblico che il neonato è figlio di due padri si va oltre. L'identità della madre non viene più solo celata, ma addirittura negata. E quella del bimbo, irrimediabilmente falsata. Tutto nasce dai mille rivoli aperti dalla legge Cirinnà, sempre osannata dalla sinistra e dalle associazioni gay friendly. Adesso, però, qualcuno comincia a storcere il naso e a dire ad alta voce quello che, prima, sussurrava. E non è un qualcuno di poco peso. Arcilesbica, l'associazione Rua (Resistenza all'utero in affitto) e le donne di Se Non Ora Quando-Libere, Udi e Se Non Ora Quando Libere Genova, con una missiva datata 9 maggio, hanno chiesto pubblicamente conto al direttore della Repubblica, Mario Calabresi, di un articolo che raccontava, riportandone i toni entusiastici, la vicenda dei due nuovi papà certificati a Torino.Piero e Francesco, come anche la consigliera comunale del Pd Chiara Foglietta e la sua compagna Micaela Ghislen, il 20 aprile scorso si sono visti riconoscere dall'anagrafe torinese il ruolo di genitori nonostante siano dello stesso sesso. I due neo padri, incontrati a una festa delle famiglie arcobaleno, hanno raccontato al giornalista della Repubblica, di essere «partner da 14 anni», di aver «ragionato tanto» sulla possibilità di diventare genitori, di aver avuto «un sacco di dubbi», ma di aver capito che «un bambino può crescere benissimo anche con due padri». Poi hanno spiegato di aver «iniziato a raccogliere elementi sulla maternità surrogata», di essersi recati «in Canada, dove la pratica è consentita purché non avvenga per denaro ma come semplice gesto altruistico» e di aver trovato la loro donatrice, di nome Carrie, «grazie ad amici». La donna, «31 anni e già madre di due figli», avrebbe spontaneamente suggerito a Piero e Francesco di diventare papà di due gemelli e, senza alcun compenso, avrebbe portato avanti la doppia gravidanza con «due ovuli, uno fecondato da Piero e l'altro da Francesco», per dare alla luce «due bambini biondi figli di due padri omosessuali».La storia, così narrata, non è andata giù alle associazioni di donne, che, già in passato schierate contro l'utero in affitto, hanno deciso di rompere gli indugi. «Caro direttore», hanno scritto rivolgendosi direttamente a Calabresi, «leggiamo con sconcerto sulla Repubblica, edizione di Torino, l'articolo dal titolo Noi, padri gay di due gemelli. Ci battiamo perché abbiano gli stessi diritti degli altri bambini. Nell'articolo si affermano cose non vere, che violano il diritto delle lettrici e dei lettori a una corretta informazione». In particolare, «senza obiettare, si consente alla coppia di uomini riconosciuti come entrambi padri di sostenere: “Per favore, non chiamiamolo utero in affitto, sia perché non si tratta solo di un utero ma di una persona che investe tutta sé stessa, sia perché non c'è alcun compenso"», spiegando che i due torinesi si sono recati in Canada dove la pratica è consentita».«Le cose non stanno affatto così», continua la lettera: «una gestazione per altri in Canada costa mediamente 120.000 dollari, somma che viene eufemisticamente definita rimborso spese. La sostanza non cambia: si paga una donna per confezionare un prodotto-bambino. Non si tratta di altruismo, né di dono: far credere che le donne si mettano generosamente e gratuitamente a disposizione di sconosciuti, con grave pregiudizio per la propria salute fisica e psichica, è offensivo e profondamente misogino», sottolineano le attiviste. «L'articolo poi continua sostenendo grottescamente che è stata la stessa madre surrogata “a suggerirci di diventare papà di due gemelli e a convincerci a farlo. E così siamo rimasti incinti". Inoltre, nello stesso articolo si scrive che “se uno dei due partner morisse, oppure decidesse di andarsene o dovesse lasciarli soli per qualsiasi altro motivo, a quel punto il suo figlio biologico diventerebbe orfano e dunque adottabile. Significa che il bambino potrebbe essere dato a qualche sconosciuto"» e anche questo per le donne della Rete antiutero in affitto è «assolutamente falso».L'orientamento dei Tribunali dei Minori «è di garantire la continuità affettiva dei bambini» in una circostanza come quella ipotizzata, l'istituto dell'adozione, in casi particolari, consentirebbe al partner che non è padre biologico di continuare a crescere il bambino», chiariscono. «L'articolo chiude con lo slogan Arcobaleno, Children's rights matter, i diritti dei bambini sono importanti. Sacrosanto. E il primo diritto di un bambino è non essere separato in forza di un contratto dalla donna che l'ha messo al mondo. Sua madre».
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo aver predicato il rigore assoluto sulla spesa, ora l’opposizione attacca Giancarlo Giorgetti per una manovra «poco ambiziosa». Ma il ministro la riporta sulla terra: «Quadro internazionale incerto, abbiamo tutelato i redditi medi tenendo i conti in ordine».
Improvvisamente, dopo anni di governi dell’austerity, in cui stringere la cinghia era considerato buono e giusto, la sinistra scopre che il controllo del deficit, il calo dello spread e il minor costo del debito non sono un valore. Così la legge di Bilancio, orientata a un difficile equilibrio tra il superamento della procedura d’infrazione e la distribuzione delle scarse risorse disponibili nei punti nevralgici dell’economia puntando a far scendere il deficit sotto il 3% del Pil, è per l’opposizione una manovra «senza ambizioni». O una strategia per creare un tesoretto da spendere in armi o per la prossima manovra del 2027 quando in ballo ci saranno le elezioni, come rimarcato da Tino Magni di Avs.
Da sinistra, Antonio Laudati e Pasquale Striano. Sotto, Gianluca Savoini e Francesca Immacolata Chaouqui (Ansa)
Pasquale Striano e Antonio Laudati verso il processo. Assieme a tre cronisti di «Domani» risponderanno di accessi abusivi alle banche dati. Carroccio nel mirino: «attenzionati» tutti i protagonisti del Metropol, tranne uno: Gialuca Meranda.
Quando l’ex pm della Procura nazionale antimafia Antonio Laudati aveva sollevato la questione di competenza, chiedendo che l’inchiesta sulla presunta fabbrica dei dossier fosse trasferita da Perugia a Roma, probabilmente la riteneva una mossa destinata a spostare il baricentro del procedimento. Il fascicolo è infatti approdato a Piazzale Clodio, dove la pm Giulia Guccione e il procuratore aggiunto Giuseppe Falco hanno ricostruito la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. Il trasferimento del fascicolo, però, non ha fermato la corsa dell’inchiesta. E ieri è arrivato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».
Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.






