2019-06-02
Don Caccia silurato perché ha scritto che Salvini ha vinto
Il prete stroncato dal giornale diocesano per l'articolo pro Lega. Ma quando aveva applaudito Giorgio Gori nessuno si era scandalizzato.Ma cosa le è saltato in mente, don Ermanno? Dire che Matteo Salvini ha vinto le elezioni? Prendere atto che la Lega è il primo partito d'Italia? Che il suo messaggio conquista la gente? E che persino molti cattolici non danno retta al Papa, e neppure a Famiglia Cristiana, e arrivano al punto di votarlo? Lei dev'essere impazzito. Queste cose non si dicono. Tanto meno si scrivono. La realtà deve stare fuori dalla porta della chiesa. E anche del giornale diocesano. Non l'ha ancora capito? La prossima volta impari. Per intanto, cominci a rassegnare le dimissioni. Si metta in ginocchio. E cominci la penitenza: almeno dieci Pater Nostro, cento Ave Maria e trecento Vade Retro Salvini.Don Ermanno Caccia è un prete bergamasco trapiantato in Emilia. Sanguigno, diretto, effervescente. Ha 50 anni, è diventato sacerdote in età già adulta, dopo aver lavorato come ispettore delle vendite, consulente commerciale e come giornalista. È stato critico musicale per L'Avanti, e anche dopo aver preso i voti non ha perso la sua antica passione. Fino a ieri, infatti, ha diretto Notizie, il settimanale della sua diocesi, quella di Carpi, dove firmava editoriali sempre molto schietti con lo pseudonimo di Ercamo. Così era firmato anche l'editoriale dell'altro giorno che ha fatto partire la caccia alle streghe. Anzi allo stregone con la talare.Diciamolo subito: quella di don Ermanno è un'analisi del voto come in questi giorni se ne sono lette dappertutto, su quotidiani e settimanali di ogni specie. Persino un po' banale, se volete. Il prete giornalista parte dall'analisi dei voti della Lega notando che sono gli stessi presi dalla Dc nel 1987 e commenta: «Questo sta a dimostrare che la Lega rappresenta ormai l'orientamento elettorale dei cosiddetti moderati ed è nei fatti anche il partito di riferimento di buona parte del mondo cattolico». Qualcuno può smentire? «Se andiamo poi a guardare le battaglie politiche e i valori rappresentati», aggiunge il sacerdote, «questi sono in larga misura sovrapponibili, pur con accenti diversi, a quelli di un autentico popolarismo…». Poi elenca le cose fatte da Salvini al governo e conclude. «La gente comune, attraverso i social e le centinaia di comizi, ritiene che Salvini sia «uno di noi». Parla semplice, schietto. E fa, o almeno ci prova, quel che dice. Dicevamo: la coerenza. Dopo essere stata tradita da tanti, il popolo ha scelto uno fidato. Se Matteo non molla, può ancora salire».Troppa confidenza? Può darsi. Troppa partecipazione? Può essere. Don Ermanno, in effetti, si è discostato dalle indicazioni ufficiali della Chiesa. Non ha aggiunto, dopo la parola Salvini, l'obbligatorio distico «che attua politiche disumane». Non ha detto, come previsto dal nuovo codice canonico bergogliano, che «Salvini deve essere scomunicato». A differenza di alcuni suoi confratelli non l'ha paragonato a Lucifero e nemmeno a Hitler. Anzi, ha addirittura osato chiamarlo «Matteo», come se fosse una persona umana anziché Satanasso in persona. Ma, santo cielo, a voi sembra così scandaloso? Così peccaminoso? O, semplicemente, siamo davanti a un sacerdote che non chiude gli occhi e si rende conto di quello che sta succedendo alle sue pecorelle?Eppure è successo il finimondo. Don Ermanno è stato messo all'indice come ai bei tempi della Santa inquisizione. Non hanno bruciato l'articolo soltanto perché ieri faceva troppo caldo per i falò. In compenso l'hanno costretto a dimettersi seduta stante dalla direzione del settimanale diocesano, con una nota di biasimo dell'editore che si è immediatamente dissociato. Ora, è evidente, un editore (qualsiasi editore, compresa ovviamente la diocesi di Carpi) può cacciare tutti i direttori che vuole, ci mancherebbe. Ma la levata di scudi immediata e violenta contro don Ermanno fa venire il sospetto che dentro la Chiesa l'antisalvinismo militante ed esasperato degli ultimi temi abbia fatto un po' perdere di vista il tradizionale equilibrio. Chi non si allinea è perduto.Ma sì, nella Chiesa si respira un clima quasi di terrore. I tanti parroci, preti, suore, i fedeli che non si riconoscono in questa scelta così fortemente politica, nella decisione di mettere la Chiesa in campagna elettorale (per di più perdendola), i tantissimi cattolici che si sono comportati da «cattolici adulti» (a volte ritornano) e hanno scelto nell'urna secondo coscienza e non secondo le indicazioni della gerarchia, ebbene tutti costoro sono diventati una nuova e nemmeno tanto piccola Chiesa del silenzio. Si parlano, si scambiano messaggi, organizzano incontri clandestini. Ma hanno paura a uscire allo scoperto. «L'altro giorno a una riunione diocesana ho provato a bloccare un documento contro Salvini perché non mi sembrava giusto che fossimo così espliciti», mi ha raccontato un giovane prete dell'Italia centrale. «La reazione dei responsabili mi ha spaventato. Sono preoccupato. Mi emargineranno da tutto». Possibile? Possibile. E il caso di don Ermanno lo dimostra.Peraltro la società editrice della diocesi di Carpi nel dissociarsi dall'articolo del sacerdote ci ha tenuto a far sapere che vuole difendere la «linea editoriale» improntata a «assoluta equidistanza e indipendenza di giudizio». Sarebbe bello che le società editrici, soprattutto quelle che fanno capo alle diocesi, difendessero anche la libertà di opinione (don Ermanno non ha forse «indipendenza di giudizio»?). Ma tant'è. Non si può avere tutto dalla vita. Ci domandiamo però: davvero ci tengono tanto alla «equidistanza»? Anzi: alla «assoluta equidistanza»? Perché a noi, negli ultimi tempi, non è sembrato proprio così. La Chiesa ci sembra tutt'altro che equidistante. Scusate il sospetto. Ma davvero siamo sicuri che se don Ermanno avesse fatto la stessa analisi su un candidato del Pd sarebbe successa la stessa cosa? Lo stesso scandalo? La stessa indignazione? Fino alle dimissioni? A me viene il sospetto di no. E infatti, guarda un po', due giorni prima il medesimo don Ermanno aveva pubblicato un articolo per fare i complimenti a Giorgio Gori, rieletto sindaco di Bergamo per il centrosinistra. «È stato molto bravo», ha scritto, «si è fatto apprezzare», «è un buon amministratore», eccetera. Chissà perché, però, per quell'articolo non si è scandalizzato nessuno.