2025-08-19
Dogane denunciate per le maschere: «Epidemia dolosa e depistaggio»
Nell’esposto depositato da un ex funzionario di Adm emergono pressioni dei dirigenti per fermare i controlli sui dispositivi di protezione: «È affare di Stato, ci stritolano. Stattene in smart working fino alla fine».Sui già difficili rapporti tra la commissione d’inchiesta sul Covid e la Procura di Roma rischiano di gravare anche gli eventuali sviluppi di un esposto depositato lo scorso 8 agosto. Infatti, sulla base della sentenza della Cassazione che ha ridefinito i termini del reato di epidemia colposa, configurabile ora anche nella forma omissiva, un ex funzionario dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli (Adm), Miguel Martina, ha depositato una denuncia nella quale vengono ipotizzati i reati di depistaggio, frode in processo penale ed epidemia dolosa (fattispecie punibile con l’ergastolo e non prescrittibile), in relazione all’importazione e conseguente diffusione delle mascherine non a norma durante la pandemia. Il documento di 22 pagine, che La Verità ha visionato, svela anche dettagli inediti, tratti da una conversazione registrata, che evidenziano le pressioni arrivate dall’alto per evitare i controlli sulle mascherine ferme in dogana, con un dirigente, Domenico Cosmo Tallino, che arriva a dire al funzionario «Io e te ci rivediamo a fine pandemia». Ordini che, stando a quanto riportato, sarebbero arrivati dall’alto, visto che il dirigente, nominato proprio quel giorno responsabile dell’Antifrode, esordisce con il suo interlocutore ammettendo che il colloquio tra i due avviene su «ordine diretto». Le date della vicenda si intrecciano con quella della firma del contratto con uno dei tre consorzi della maxi commessa di mascherine voluta dall’allora commissario all’emergenza, Domenico Arcuri. Nei mesi scorsi La Verità ha svelato in esclusiva una chat inedita in cui i mediatori della fornitura si adoperavano proprio per aggirare lo stop arrivato dalle Dogane ai Dpi non a norma.È il 14 aprile del 2020 quando Tallino, all’epoca direttore delle Dogane di Gaeta, prende servizio come direttore ad interim dell’ufficio Antifrode di Lazio e Abruzzo. Lo scopo, messo nero su bianco nel provvedimento firmato dall’allora direttore generale di Adm, Marcello Minenna, sarebbe quello «di dare maggiore e diverso impulso alle attività relative all’Antifrode». Eppure, stando a quanto riportato nell’esposto depositato dall’avvocato Luigi Annunziata per conto di Martina, le cose sarebbero andate diversamente. «Nella mattinata del 14 aprile 2020, il dottor Domenico Cosmo Tallino entrava nella mia stanza», scrive Martina. Il quale, una settimana prima, il 7 aprile, aveva messo nero su bianco in una relazione inviata ai vertici di Adm che, attraverso i controlli, era stato scoperto «un vero e proprio sistema per la certificazione Ce (delle mascherine, ndr) da parte di enti non abilitati e non accreditati, che rilasciano agli importatori certificati falsi e non utilizzabili, di cui sarebbero vittime (nel caso in cui non ne fossero consapevoli) i committenti per conto delle imprese pubbliche e, di tutta evidenza, gli ospedali et similia. Si tratta di un vero e proprio mercato dei certificati falsi, nazionali ed esteri, di cui si ha riscontro, allo stato, in almeno un centinaio di esemplari.» Aggiungeva il funzionario: «La normativa prevede che le aziende importatrici, laddove non siano in regola con la marcatura Ce, ne chiedano la deroga all’apposizione sul prodotto, attraverso autocertificazioni inviate all’Inail o all’Iss, complete dei relativi test report». Le autocertificazioni, però, «non vengono presentate in dogana e sono sostituite da semplici attestazioni, da parte degli importatori, che i Dpi non sono destinati ad essere posti in vendita al pubblico». Dichiarazione che però, secondo Martina, «è assolutamente irrilevante ai fini della sicurezza del prodotto», evidenziando poi che «a subire le conseguenze di queste certificazioni false, è stata anche la Protezione Civile». Il dialogo tra Tallino e Martina è a tratti surreale. Il dirigente dice al suo sottoposto: «Io sono, sto qui per ... come si dice per ahhh». Martina sembra giocare d’anticipo e suggerisce la risposta: «Su ordine diretto, stai qui per ordine diretto». Tallino conferma: «Esattamente», aggiungendo poi di essere «convinto, diciamo, che in questo momento c’è la necessità politica, impone che dobbiamo... come si dice... ste mascherine, sti dpi, devono arrivà». Poi chiosa: «È diventato un affare di Stato, quindi gli affari di Stato ci stritolano tutti quanti». Martina però non vuole girarsi dall’’altra parte durante i controlli: «Però io quando penso che invece ai medici vengono date le merde, e si ammalano e muoiono perché io ho consentito di dar loro le merde, purtroppo, non mi troverai d’accordo. Sarà pure che la politica vuol far vedere che sdogana 2 milioni di mascherine ma se io so che 2 milioni di mascherine so’ di merda, se mi permetti, faccio il mio dovere». In seguito alle pressioni di Tallino, alla fine, Martina chiede di non essere coinvolto: «Sto in smartworking, cioè per favore, facciamo conto che... lasciami in smartworking a fare le analisi eccetera eccetera, non mi chiedere niente, niente, per cui io non sia costretto a fare pg (polizia giudiziaria, ndr), non me lo chiedere proprio, perché poi lo farei secondo le regole. Siccome non lo posso fare secondo le regole ...». Tallino risponde in un modo che lascia presagire eventuali conseguenze: «Perché se no poi costringeresti me ...», poi si congeda dal suo sottoposto con: «ci siamo capiti, io a te non ti vedo più, tempo, quando finisce la pandemia!». È in questo contesto che il giorno dopo la struttura commissariale guidata da Arcuri sottoscriverà il contratto da 633 milioni di euro con il terzo consorzio cinese, la Luokai trading, costituito in fretta e furia appena 5 giorni prima, il 10 aprile, nel pieno della maxi commessa da 801 milioni di mascherine cinesi costate 1,2 miliardi. Nei giorni successivi al colloquio tra Tallino e Martina, secondo quanto riporta l’esposto, al funzionario è stato imposto di consegnare i fascicoli su cui stava lavorando, mentre l’8 maggio 2020 è arrivata l’inibizione al suo accesso ai sistemi informatici di Adm, impedendogli quindi ogni possibile indagine. La mail con l’ordine di escludere Martina dai sistemi informatici, era accompagnata dalla richiesta di «massima riservatezza». Ora spetterà alla Procura valutare le condotte descritte nell’esposto e confermare o meno se la mancanza di controlli sulle certificazioni dei Dpi ha contribuito alla diffusione del virus.
Roberto Benigni. Nel riquadro, il video postato su TikTok dove l'attore è alla guida con il cellulare (Ansa)