2025-10-03
Benigni in auto al telefono e senza cinture allacciate. Solo per lui la vita è bella...
Roberto Benigni. Nel riquadro, il video postato su TikTok dove l'attore è alla guida con il cellulare (Ansa)
Il menestrello più amato dai progressisti italiani, dopo averci ammorbato per anni con la Costituzione e la meraviglia delle norme, si fa beffe del codice della strada. The Oscar goes to… Robertooo!». Nessuno può dimenticare l’urlo di Sophia Loren e Benigni che risale verso il palco dell’Academy saltando sulle spalliere delle poltrone. Per questo il «Robertooo» che si sente nel video di Tik Tok riporta a 26 anni fa, anche se qui non c’è nessun décolleté che sobbalza. Ieri il piccolo diavolo ha vinto un altro tipo di Oscar, quello del coatto del giorno. Intrappolato dentro un ordinario ingorgo in una Roma simile a Copenaghen solo nella narrazione del sindaco Gualtieri (Roberto pure lui), il giullare dei giullari se ne sta nella sua Smart grigio metallizzata in solitudine a telefonare con il cellulare incollato all’orecchio, senza cinture di sicurezza allacciate e con la disinvoltura del marchese del Grillo.I passanti lo chiamano per ottenere un saluto, ma lui non fa una piega e sgomma via parlando nello smartphone come se fosse dentro uno spot sull’indisciplina stradale, con infrazioni da multa, ritiro patente e decurtazione di punti sul groppone. Povero Benigni, il video diventa virale, la gggente non vuole prenderlo in braccio, la shitstorm sui social è immediata. E nessuno risparmia al principe della legalità, al signore della Costituzione più bella del mondo, al teorico dell’uguaglianza planetaria, al vicerè del bene comune (il re è pur sempre Sergio Iº Mattarella) una ripassata moralista e qualche vaffa liberatorio. Commenti più gettonati: «Eccolo nel suo nuovo spettacolo, Il Codice della Strada più bello del mondo». «Non gli fanno la multa perché lui è Benigni». «Non risponde, è proprio uno del popolo».Fatta la tara alla dose omeopatica di invidia sociale contenuta nella rete, c’è da dire che il settantaduenne teorico del grillismo da salotto (con un decennio di anticipo su Beppe Grillo) un po’ di nemesi puzzolente se la merita. Sia per il plateale menefreghismo delle regole che i comuni mortali sono costretti a rispettare, sia per lo stupore che deve averlo colto una volta venuto a conoscenza delle critiche. Com’è possibile che il possessore di una patente progressista gold per avere dispensato a piene mani «l’ovvio dei popoli» (copy di Edmondo Berselli), venga criticato mentre guida facendosi gli affari suoi? Come si permettono, non è certo una Beatrice Venezi qualsiasi.Poiché parlare male di Benigni è considerato un insulto alla bandiera, bisogna subito aggiungere che il papà della Vita è bella qualche alibi ce l’ha. Impegnato nell’ultimo ventennio a recitare a memoria la Divina Commedia come un vicepreside degli anni ‘60 e a interpretare in senso antiberlusconiano la Costituzione, non poteva anche mettere la testa su un codice volgare e pieno di tecnicismi come quello stradale. Inoltre la cintura di sicurezza a lui non serve, visto che ha il paracadute del Nazareno fin quando campa. Quanto al telefonino all’orecchio, chi ci dice che non lo stesse chiamando Maurizio Landini per invitarlo a marciare nello sciopero Pro Pal di oggi? Che fai, cerchi l’auricolare, fai cadere la comunicazione e tradisci la memoria della Flotilla affondata?Riesumato dalle intemperanze stradali, in fondo Benigni non può che essere contento. Aveva tentato di rientrare nel grande gioco del potere mediatico nel marzo scorso con il libro e lo spettacolo Il sogno, rievocando il Manifesto di Ventotene nel tentativo di convincere gli italiani della sacralità dell’Europa bellicista di Ursula Von der Leyen. Risultato magro, il timbro del cartellino al festival di Sanremo, qualche circolo Arci in fibrillazione e il solito coro di elogi a buon mercato che si riservano ai parenti non troppo stretti quando si incontrano ai matrimoni o ai funerali. Nei 30 secondi di Tik Tok con insulti annessi invece c’è vita, c’è popolo, c’è la polvere della strada come piace a lui. Bisognerebbe solo capire se la Smart è elettrica, perché in caso contrario chi glielo dice a Elly Schlein che il vate della sinistra radical bruciava CO2 in coda? Il resto è storia. L’articolo 21 della Carta che Roberto nostro definì «un’opera d’arte» parla chiaro: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Quindi, cari haters, quella di Benigni non era sciatteria da menefreghista, ma un modo originale di contestare le leggi introdotte o confermate da Giorgia Meloni. Con questa interpretazione, un invito da Lilly Gruber o da Corrado Formigli è assicurato.È vero che l’ingratitudine dei social si è espressa al 90% con sonori vaffa, ma qualcuno ha preso le sue difese. Come quel signore che ha vergato: «Cosa vi aspettavate, che scendesse dalla macchina ad abbracciarvi?». O quel potenziale attivista del circolino Cinecittà, sicuro elettore di Ilaria Salis, che ha smanettato: «Non capisco la notizia. Credo che la maggior parte degli italiani usi tranquillamente il telefono mentre guida ed altrettanti non usano le cinture. Questo non lo scusa e si prenderà magari una multa, ma che ne pensate di ministri condannati per gravi reati che sono ancora in parlamento?». Ci mancava il benaltrismo, signora mia. Del resto, se la Costituzione è un’opera d’arte, uno la guarda e basta, mica è tenuto a rispettarla. Alla fine si scopre che la colpa è dell’ingorgo. Se Benigni fosse andato spedito con la sua «nano-macchina» nessuno si sarebbe accorto di telefonino e cintura. E lui avrebbe potuto aggiungere un altro paio di infrazioni democratiche: lo slalom fra le auto normali e il parcheggio sulle scale di Trinità dei Monti. «Il principale problema di Palermo è il traffico», faceva dire in Johnny Stecchino. Ieri ha scoperto che è anche il suo.
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