2019-10-06
«Dobbiamo salvare la natura. Ma senza la rabbia di Greta»
Parla il direttore dell'Erbario di Parigi Marc Jeanson, autore di un libro che è una dichiarazione d'amore verso le piante. «Gli eccessi non servono. Amare la bellezza invece sì».A chiedergli della piccola Greta Thunberg, Marc Jeanson stiracchia appena un sorriso. «Non ho ascoltato il discorso che la ragazza ha tenuto di fronte alle Nazioni Unite», ammette, perdendo un po' della serafica compostezza che il suo essere francese tradisce. «Io sono uno scienziato: produco fatti, non mi sento legittimato ad esprimere giudizi sugli allarmarmisi», dice, frettoloso. L'agronomo, un trentottenne con gli occhi blu e abiti a dichiarare un interesse discreto per la moda, lascia trapelare un sottile nervosismo, nell'affare Greta. Poi, tace. E, accoccolandosi nella poltrona di velluto viola, sistemata in mezzo al chiacchiericcio del Windsor Hotel, a Milano, ritrova Antonio Gramsci, un ragionamento che alla sedicenne svedese sembra calzare a pennello. «Quel che contesto a Greta Thunberg, della quale pur condivido la rabbia, è il pessimismo del pensiero», dice Jeanson, direttore dell'Erbario di Parigi e autore de Il Botanista (Corbaccio, 224 pagine, 16 euro). «Gramsci, a suo tempo, ha spiegato come al pessimismo del pensiero debba seguire l'ottimismo dell'azione», così che l'uomo, pur conscio dei vizi della propria epoca, possa reagire, scansando la trappola della rassegnazione in cui il rancore, da solo, lo getterebbe. «In Greta, però, vedo solo il pessimismo del pensiero», ammette Jeanson, nel cui volume, attraverso la storia e la catalogazione delle forme vegetali, è teorizzata la necessità dello studio come esperienza estetica e salvifica. Dunque, non crede che il mondo sia prossimo alla fine?«Se Greta sostiene che il mondo stia per finire, sbaglia. Non è la fine del mondo ad essere vicina, è la fine di un mondo. È, forse, la fine dell'umanità così come noi oggi la conosciamo, ma alcune forme animali sopravvivranno, la vegetazione se la caverà. È la fine di un mondo, niente di più». Gli allarmismi di Greta Thunberg, rilanciati online da chiunque, pure da Leonardo DiCaprio, sono fondati?«In parte, sì e, in parte, li condivido. Il mondo odierno presenta dei paradossi, nel proprio funzionamento. Il sistema, così come l'uomo lo ha plasmato, distrugge la biodiversità per tenersi in piedi, ma, per tenersi in piedi, ha bisogno della biodiversità che distrugge. Le cose vanno male, ma non può finire tutto nella rabbia, nel pessimismo». Come può finire?«Ho voluto scrivere Il botanista anche per ribadire l'importanza di dare un nome alla bellezza circostante. Credo nel processo di identificazione, credo che la conoscenza possa portare a decisioni forti e che le decisioni forti possano avere effetti positivi sulla salvaguardia della biodiversità». Insomma, la bellezza salverà il mondo…«In un certo senso. So che non sarà questo mio libro a salvare il mondo, ma spero sarà questo mio libro a rendere il mondo un posto più familiare, più comprensibile. Vorrei invitare tutti i giovani ad alzare il naso verso l'ambiente circostante, a riscoprire le parole utili a nominarne le bellezze, a ritrovare l'abitudine all'osservazione. Credo che la cosa più importante, oggi, sia recuperare una familiarità con la natura». La speranza, quindi, è che dalla familiarità nasca un sentimento?«Per me, è stato così. Ero poco più che un ragazzino, interessato all'universo animale come lo sono, spesso, i bambini. Mi è stata affidata una pianta. Prima, ho tentato un approccio estetico. Poi, sensoriale. Nello spazio di un'estate, ho avvertito un impulso alla conoscenza scientifica che, una volta soddisfatto, mi ha portato ad avere a cuore la salvaguardia del mondo vegetale». Cosa può fare l'uomo medio, nella sua quotidianità, per salvaguardare la biodiversità?«Plastica, alimentazione, acqua, questione energetica. Credo che tutti, ormai, abbiano detto la propria in merito. Io, più semplicemente, credo si debba cambiare la nostra relazione con il mondo circostante, credo la si debba arricchire e sviluppare. Non è difficile: di piante sono piene anche le nostre città. Basta fermarsi, osservare e dare un nome a ciò che vediamo, alle sensazioni che proviamo. Allora, potremmo acquisire la capacità di comprendere tutta la bellezza e la fragilità della natura, i rapporti di causa-effetto».Perché la biodiversità è tanto importante?«Perché, per l'essere umano così come lo conosciamo oggi, costituisce una questione di sopravvivenza. L'uomo vive in un ecosistema che, per funzionare, ha bisogno che la biodiversità persista».Nel suo libro, dà ampio spazio all'opera di catalogazione dei vegetali. Che utilità ha?«Ogni processo scientifico ha inizio dall'attribuzione di un nome alla cosa presa in esame, si tratti di una pianta dalla quale si vuole ricavare un'essenza medicinale o di che altro. Prima di poter compiere qualunque progresso è necessario avere una descrizione del soggetto trattato. Così, anche per comprendere come funzioni il nostro ecosistema, bisogna, necessariamente, comprendere e identificare quali sono le specie che lo popolano». Greta o non Greta, nel libro, scritto insieme alla giornalista Charlotte Fauve, mette in luce il processo di distruzione della biodiversità attuato dall'uomo. A cosa lo imputa?«La distruzione è legata a tutto ciò che noi conosciamo: una demografia umana in crescita costante, la questione energetica. Secondo i rapporti dell'Onu, nel 2050, saremo quasi 10 miliardi sulla Terra. La pressione umana è fortissima e, per sopravvivere, gli umani hanno bisogno di consumare risorse che, però, sono limitate. Sono cose che sappiamo tutti. Eppure, non si tenta di conciliare i nostri bisogni con il fatto che le energie siano limitate».Perché?«Perché noi siamo ossessionati dal breve termine: tutto deve avvenire presto e subito. C'è un'assenza di pensiero globale sulla tenuta temporale del nostro sistema, sull'incapacità di attuare un piano valido sul lungo termine».
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