2021-04-20
«Disperati e sfigati». Visco umilia i piccoli imprenditori impoveriti dal Covid
Ignazio Visco (Getty images)
L'ex viceministro delle Finanze: la crisi ha imbastardito la società. Sulla patrimoniale rincara: «Dev'essere prolungata nel tempo»Per Vincenzo Visco, l'indimenticabile viceministro delle Finanze a suo tempo soprannominato «Dracula», certi amori non finiscono: tasse, patrimoniali, e - qua e là - battute sprezzanti verso commercianti e lavoratori autonomi. Altri amori sono invece sopraggiunti con il tempo: il pilates.Ce ne dà notizia un'intervista sul Fatto quotidiano, in cui Visco non manca di farci sapere che fa pilates «da dieci anni, senza mancare un giorno all'appuntamento. Alla mia età per mantenerti in piedi hai bisogno di fare qualcosa. Il pilates è perfetto». Non lo ha fermato nemmeno la pandemia: «Ci siamo ritrovati in dad», ha spiegato l'ex viceministro, con ciò rassicurando i contribuenti italiani – sicuramente in pensiero per questo – sul fatto che sia riuscito a tenersi in forma anche in questo periodo di restrizioni e lockdown.Ma, sorrisi a parte, questa è la porzione più tranquillizzante dell'intervista. I guai arrivano dopo, quando Visco fa ricorso ai grandi classici del suo repertorio. Ecco cosa pensa degli esercenti, se per caso qualche telecamera raccoglie il loro sfogo: «Questa crisi ha avvelenato ancor di più la società, in alcuni casi l'ha imbastardita. Basta che in tv sbuchino una decina di commercianti disperati, sfigatissimi che naturalmente schiumino rabbia». Avete letto bene: «società imbastardita», «sfigatissimi», gente che schiuma «rabbia».Ma guarda: per decenni la sinistra aveva solidarizzato con i lavoratori in crisi, non di rado anche con liturgie e drammaturgie televisive costruite (Michele Santoro ne è stato un maestro) nel confronto tra lo studio e la piazza, tra il ministro di turno incalzato dalle domande e i manifestanti in collegamento. Ma quelli erano lavoratori dipendenti: dunque meritevoli di ogni rispetto. Se invece a protestare sono i lavoratori autonomi, il rispetto sembra rovesciarsi in giudizio feroce, spietato.Per chi non avesse capito bene, il campione della sinistra tassatrice precisa il concetto, a partire da una sua valutazione sulla debolezza della politica attuale: «La politica ha perduto ogni reputazione, scaduta agli occhi dei governati e posta ai confini della delinquenza comune. Perciò la sua azione è debole, subisce ogni reazione, anche la più isterica». Ne deduciamo che, se un commerciante è stato obbligato alla chiusura, è alle soglie del fallimento, ha ricevuto (forse) qualche spicciolo di sussidi, e chiede solo di poter tornare a riaprire, siamo davanti a una reazione isterica. Speriamo di aver capito male, ma temiamo di no.Sulla scia di questa diagnosi, la terapia-Visco è fin troppo facile da immaginare. Una patrimoniale, chiede l'intervistatore? E per Visco è come una palla sul dischetto del rigore: «La si chiami come vuole. Penso che debba essere bassa e allungata nel tempo». Quindi neanche una sorta di una tantum, ma qualcosa di prolungato, forse - se fosse un film horror - finché la vittima avrà ancora un po' di sangue. Peccato che a molti sfugga (non certo a Visco, che queste cose le sa bene) che in Italia (purtroppo) la patrimoniale ci sia già. Anzi, ce ne sono più o meno undici, secondo un censimento sommario e forse perfino incompleto: la più devastante è quella sugli immobili, ma l'elenco è interminabile. Bollo auto; canone radio tv; diritti catastali; imposta di bollo; imposta di registro e sostitutiva; imposta ipotecaria; imposta sul patrimonio netto delle imprese; imposta su imbarcazioni e aeromobili; imposta su transazioni finanziarie; imposta su successioni e donazioni. A fine 2018, la Cgia di Mestre aveva stimato un gettito di 47,5 miliardi annui, il 2,7% del Pil, il doppio di quanto si era versato nel 1990 (1,3%).Insomma, si discute di patrimoniali eventuali e future, per meglio nascondere la patrimoniale che già esiste. Soffermiamoci su quella più violenta, quella sugli immobili: ogni anno i proprietari di case, negozi, uffici, capannoni, subiscono già una rapina fiscale da 21 miliardi, che in una decina d'anni ha drenato oltre 200 miliardi di liquidità agli italiani, tagliando di un quarto il valore del patrimonio immobiliare del paese. Ma a vecchi e nuovi comunisti tutto ciò non sembra fare né caldo né freddo.Pure l'intervistatore si rende conto della deriva, e annota che i critici diranno che «Visco vuole punire i ricchi». L'ex viceministro non fa una piega: «Nel dopoguerra si tassarono gli extra profitti. Noi dovremmo immaginare qualcosa di simile». Visco peraltro nemmeno spiega chi esattamente dovrebbe essere colpito da questa nuova e ulteriore stangata. In questi casi, di solito, la sinistra si rifugia in espressioni vaghe, tipo «patrimoniale sulle grandi ricchezze». Peccato che non si sappia quanto grandi debbano essere queste ricchezze: e non di rado, diverse proposte passate finivano per indicare soglie che avrebbero colpito anche i proprietari di un appartamento. E - su un altro piano - peccato che a troppi sfugga che, in un paese non comunista, anche una persona ricca abbia diritto di prosperare, e vada anzi incoraggiata a consumare e a creare altra ricchezza, anziché essere scorticata e magari indotta ad andarsene.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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