2021-09-23
Quando a discriminare sono i gay: il caso dei bisessuali
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Non l'avreste mai immaginato, ma anche oggi, 23 settembre, si celebra una ricorrenza a tema Lgbt: la Giornata mondiale della visibilità e dell'orgoglio bisessuale. La giornata è stata istituzionalizzata nel 1999 da un gruppo di attivisti americani: Wendy Curry, Michael Page, e Gigi Raven Wilbur.Perché non farsi bastare le già numerose ricorrenze in onore dell'orgoglio omosessuale? Ma semplice: perché anche le categorie di omo ed etero sono ormai percepite come insopportabili e ingiustificate etichette. Ha detto Wilbur: «La società ha condizionato persino me a percepire automaticamente due persone che camminano mano nella mano come etero o gay, basandomi sul genere percepito di ognuna». Ci si potrà chiedere perché proprio il 23 settembre. Lo ha svelato Wendyw Curry, con un resoconto che rende bene l'idea della serietà della cosa: «Ci trovavamo ad una delle tavole rotonde annuali sulla bisessualità, e qualcuno – penso fosse Gigi – disse che ci voleva una festa. Amavamo moltissimo quel grande bisessuale che era Freddie Mercury. Il suo compleanno era in settembre, quindi perché non fare la festa in quel periodo? Ci voleva un fine settimana per avere la sicurezza che la gente fosse libera. Il compleanno di Gigi era il 23 settembre e cadeva nel fine settimana. E così... puf! avevamo trovato il giorno». Praticamente un gioco di società tra quattro amici che si trasforma addirittura in una giornata mondiale ufficialmente riconosciuta. Oggi, insomma, è il giorno in cui si biasimano quei cattivoni dei bifobi (la bifobia essendo per l'appunto l'omofobia applicata ai bisessuali). C'è però un aspetto a cui raramente si fa caso e cioè che la bifobia è moneta corrente soprattutto nello stesso mondo omosessuale. I bisessuali sono infatti spesso percepiti da gay e lesbiche come ipocriti, omosessuali poco coraggiosi, che vogliono godere della libertà sessuale senza lo stigma che accompagna la condizione dell'omosessualità. Dei disertori nella grande battaglia gay, quindi. Con tanti saluti alla stessa retorica della fluidità di genere, del «sono uomo o donna a seconda di come mi sveglio» o dell'«amo le persone, non le etichette». Da qui l'ironia verso le Lug (lesbian until graduation) o i Gug (gay until graduation), cioè le lesbiche e i gay che sono tali solo in gioventù, «fino alla laurea», preferendo poi mettere la testa a posto e accettare i parametri sociali legati alla cosiddetta «eteronormatività». In un articolo uscito nel 1999 sul Seattle Weekly, A. Davis raccontò delle sue esperienze sessuali con le donne ai tempi dell'università. Le quali, per quanto appaganti, non la trasformarono in una lesbica e, a dirla tutta, neanche in una bisessuale convinta, perché l'autrice dichiarava di preferire comunque e sempre gli uomini. Qui, però, cominciarono i problemi. «Dopo aver menzionato le mie imprese lesbiche agli amici, mi sono trovata sotto pressione per il fatto di dover trasformare queste sciocchezze apparentemente innocenti in qualcosa di molto più serio. "Devi dire a tutti che sei bisessuale. È una dichiarazione politica", mi ha chiesto un amico». Peggio ancora le è andata con le donne omosessuali: «Le mie amiche lesbiche dicono che non c'è niente che odiano di più delle Lug. A differenza delle Lesbiche per la vita (Lfl, lesbian for life), noi sperimentatori universitari non abbiamo mai dovuto sopportare di fare coming out con le nostre famiglie, affrontare una vita di discriminazione, vederci negare il diritto di sposarsi, adottare bambini, camminare per strada tenendoci per mano con i nostri altri significativi». Insomma, una forma di oppressione sociale e negazione della identità sessuale proprio nel bel mezzo del campo dei buoni. Gli stereotipi gay sui bisessuali cambiano, peraltro, a seconda dei soggetti maschili o femminili. La bisessualità femminile, infatti, viene considerata una forma di concessione allo sguardo maschile, un gioco per compiacere il patriarcato da parte di donne essenzialmente eterosessuali. La bisessualità maschile, al contrario, viene giudicata come una forma di compromesso da parte di uomini omosessuali che non si accettano ancora del tutto. Interpretare, giudicare e spiegare la vita personale degli altri meglio di loro stessi: ecco una forma di oppressione che i gay hanno sempre rimproverato agli omofobi, anche se molti di loro, a quanto pare, sembrano particolarmente bravi a esercitare nei confronti del prossimo.Colpisce, in tutto questo, l'insopprimibile voglia di etichette che circola nel mondo Lgbt, il cui stesso acronimo, peraltro, è frutto della continua superfetazione di nicchie sociologiche, ognuna alla ricerca di visibilità e specifici diritti (tant'è che ogni tanto bisogna aggiungere una lettera). Ma anche l'ansia di politicizzare qualsiasi aspetto della vita umana, come se ogni esperienza dovesse dar luogo a una rivendicazione, a una narrazione vittimologica, a una sottocultura fatta su misura per se stessi. L'opzione più semplice, quella per cui in camera da letto gli adulti consenzienti fanno ciò che vogliono e poi in politica ci si occupa solo di cose serie, non sembra minimamente poter essere presa in considerazione.