
Benito Mussolini era ateo e dialogò con la Chiesa solo per ragioni tattiche, progettando in segreto di farle la guerra. Fu nazionalista in senso giacobino, non patriota. Come padre e marito, poi, fu un disastro, auspicando persino di introdurre il divorzio in Italia.Dio, patria famiglia è un motto fascista! Lo abbiamo sentito dire molte volte, soprattutto nell'agone politico.Vediamo se è la verità, o se non siamo di fronte all'ennesima fake news storica.Prendiamo il fondatore del fascismo, Benito Mussolini, e analizziamo il suo rapporto con la prima parola del motto: Dio.Mussolini credeva in Dio? Per nulla. Un suo libretto del 1904 si intitola L'uomo e la divinità. Dio non esiste. Vi si spiega che Cristo stesso forse non è mai esistito; che «la scienza va distruggendo i dogmi religiosi» e che «la religione è una malattia psichica del cervello».Non è difficile capire il perché dell'ateismo di Mussolini: suo padre, anarchico socialista, gli aveva imposto il nome di «Benito» in onore di Benito Juarez, il rivoluzionario messicano ferocemente avverso ai cattolici. La sua crescita culturale fu poi segnata dalla lettura di Ardigò, Marx, Sorel, Nietzsche, Mazzini, Giosuè e Vittorio Carducci: una mescolanza di ideali socialisti, anarchici, positivisti, e di aspirazioni garibaldine ed anticlericali. Nel 1908, nel suo soggiorno a Trento, tutta la sua battaglia fu contro il clero locale e contro Alcide Degasperi, esponente politico popolare e cattolico.«cristo è morto»Due anni dopo, il 24 dicembre del 1910 il futuro duce scriveva: «Il Natale cattolico è una mistificazione. Cristo è morto e la sua dottrina agonizza».Nel 1915, divenuto interventista, proseguiva la sua battaglia contro il nemico di sempre: «Preti e gesuiti sono neutralisti per amore dell'Austria vaticanesca e temporalista». Nel 1916, inneggiando a Barabba, invitava a prendere a calci «il Rabbi dalle chiome rosse, e i suoi rabbini più vili dalle sottane nere». E proseguiva: «Buttiamo le statue dei vecchi santi nei letamai che fumigano e ingrassano la terra… E Cristo si inchiodi ancora sul suo Golgota da palcoscenico» (Emilio Gentile, Contro Cesare, Feltrinelli, Milano, 2010, pp. 81-88).Fondando i fasci di combattimento, in piazza San Sepolcro a Milano, Mussolini nel 1919, indicò ai suoi uomini un programma che contemplava tra l'altro l'idea di confiscare «tutti i beni delle Congregazioni religiose». Col tempo si sarebbe accorto che per governare l'Italia avrebbe dovuto essere più accorto e pragmatico: iniziò così pian piano a non attaccare più con la violenza di un tempo né la monarchia, né la Chiesa. Annotava, con astuzia politica, nel 1920: «Il Vaticano rappresenta 400 milioni di uomini sparsi in tutto il mondo ed una politica intelligente dovrebbe usare ai fini dell'espansionismo proprio questa forza colossale. Io sono, oggi, completamente al di fuori di ogni religione, ma i problemi politici sono problemi politici. Nessuno in Italia, se non vuole scatenare la guerra religiosa, può attentare a questa sovranità spirituale» (Gianni Vanoni, Massoneria, fascismo e Chiesa cattolica, Laterza, Bari, 1979).Di qui l'idea, nel 1929, del Concordato. Cesare Maria De Vecchi, uno dei quadrumviri, poi ambasciatore in Vaticano, ricordava che subito dopo la firma dei Patti Lateranensi Mussolini scriveva al re «di aver lasciato alla Santa Sede tanto territorio quanto bastava per seppellire in maniera definitiva il plurisecolare dominio temporale dei papi». Davanti al Gran Consiglio del fascismo il duce ebbe anche a dichiarare: «Come avete udito, abbiamo fatto la pace con la Chiesa… Ora che la pace è fatta, si può pure riprendere la guerra!». In effetti immediatamente dopo i patti, il governo italiano e la Santa Sede entrarono in logorante conflitto: il duce sciolse le organizzazioni giovanili cattoliche, chiuse seimila circoli parrocchiali e le loro pubblicazioni, destando le inutili invettive di Pio XI, che non poteva far altro che promulgare encicliche zeppa di critiche al fascismo, subito regolarmente silenziate, come Non abbiamo bisogno e Dell'educazione cristiana della gioventù.Mussolini, vedendosi attaccato, spiegò machiavellicamente ai suoi: «Intanto io darò un giro di vite alla situazione per quanto riguarda le scuole cattoliche condotte da religiosi. Tutto questo sul piano tattico, mentre sul piano strategico manterremo la nostra linea di perfetta osservanza religiosa e di rispetto nei confronti del papa e della Chiesa» (Cesare Maria De Vecchi, Il quadrumviro scomodo, Mursia, Milano, 1983).Tornando alle idee religiose di Mussolini, qualcuno ha ipotizzato una sua tardiva conversione, verso la fine della vita, dopo l'arresto del 25 luglio 1943. Il massimo storico del fascismo, Renzo De Felice, nega che sia successo qualcosa di veramente nuovo nel rapporto del duce con la fede, benché sia inevitabile immaginare che nella sconfitta anche in lui, come era accaduto con Napoleone, si siano fatti largo dubbi e domande sul destino ultimo della sua anima. Dubbi che non ebbero però, negli anni della Repubblica di Salò, nessuna conseguenza concreta, né politica, né personale.riferimenti paganiIl fascismo infatti si nutriva del mito della Roma pagana, non di quella cristiana. utilizzava linguaggio, simboli, riti tipici di una religione civile, per sacralizzare lo Stato e per celebrare il duce come il grande sacerdote della Nazione. Sabati fascisti, feste laiche della patria, patrioti celebrati come «martiri», creazione di una «storia sacra del partito», corsi di «mistica fascista», usanza di contare gli anni dall'inizio dell'«era fascista», leggi razziali, giuramento di fedeltà al fascismo, pellegrinaggi obbligati al Milite Ignoto, … dicono chiaramente che il fascismo fu una religione. Una religione laica, politica, senza Dio, senza redenzione divina, senza aldilà. Una religione statolatrica, secondo il credo mussoliniano: «Tutto nello Stato, niente fuori dello Stato, nulla contro lo Stato».Così il cardinale Ildefonso Schuster, il 4 gennaio 1939, quando era chiaro che l'illusione di un Mussolini «moderato», non aveva più alcuna ragione d'essere: «Ognuno vede che tra il cristianesimo e codesto nuovo Stato hegeliano, totalitario, autoritario, sovrano, fonte di eticità, c'è irriducibile antinomia!» (Emilio Gentile, op. cit., p. 429, 430; si veda anche lo storico di Oxford, Michael Burleigh, In nome di Dio, Rizzoli, Milano, 2007). due apolidiDopo Dio, la patria. La parola deriva da padre, come madrepatria deriva da padre e madre. Il concetto di patria dunque precede di qualche milione di anni quello di nazionalismo, cioè di un'ideologia moderna, che vide la sua nascita a partire dalla rivoluzione francese, quando i vandeani controrivoluzionari contrapposero il loro concreto concetto di patria, a quello ideologico dei giacobini nazionalisti in guerra con mezza Europa. Così il marchese vandeano De Charette: «La nostra patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra Fede, la nostra terra. Ma la loro patria, che cos'è? Lo capite voi?... Per loro, sembra che la patria non sia che un'idea; per noi, è un terra. Loro, ce l'hanno nel cervello: noi la sentiamo sotto i nostri piedi». Il nazionalismo è stato proprio qualcosa che stava nel cervello: un'esaltazione frenetica, bellicosa, propria di persone tendenzialmente stradicate ed apolidi, quali furono sia Mussolini, per anni vagabondo in Europa, sognando New York, sia Hitler, un austriaco che odiava la sua terra in nome della grande Germania. Il nazionalismo fu un'idea tanto astratta e ideologica quanto il suo conclamato avversario: il cosmopolitismo.È per questo che i papi, come hanno contrapposto l'amore di patria, sacrosanto e doveroso, al nazionalismo, «pagana concezione della nazione divinizzata, assolutizzata», così hanno anche distinto l'idea religiosa di fratellanza universale, dal cosmopolitismo illuminista. «La nazione, realtà assoluta e per sé stante, si rizza, mastodontico idolo, su tutto e su tutti, perché tutto e tutti ne siano immolati: individui, famiglia, autonomia, libertà, religioni»: così La civiltà cattolica in un articolo intitolato «Patria e patriottismo» del 1924. Infine la famiglia. Mussolini fu per anni un sostenitore del «libero amore» socialista; scrisse contro il matrimonio «borghese», rifiutandosi di sposare Rachele in chiesa e in comune. Decise di regolarizzare la sua posizione soltanto una volta al potere, per tranquilizzare gli italiani. Ma il duce rimase tutta la vita ciò che era stato da giovane, quando aveva iniziato a frequentare con assiduità i bordelli, sino ricorrere alle droghe, «in funzione di stimolante sessuale», e a temere di aver contratto la sifilide (Pierluigi Baima Bollone, La psicologia di Mussolini, Mondadori, Milano, 2007; Roberto Festorazzi, Margherita Sarfati. La donna che inventò Mussolini, Angelo Colla, Vicenza, 2010). Come noto, Mussolini non fu mai né un marito né un padre fedele: disseminò il Paese di figli e di amanti. Promosse la famiglia? Non perché credesse all'istituzione, e al suo significato religioso, ma solo in nome di un concetto a lui caro: il numero è forza. Mussolini non voleva figli, ma soldati!come i radicaliPreziosa, a tal fine, la testimonianza del gerarca Dino Grandi, all'indomani dell'introduzione del divorzio in Italia, nel 1974. Nazismo e comunismo erano stati i primi a legalizzare il divorzio, l'Italia no. Perché? Mussolini avrebbe voluto farlo, ma fu Grandi a sconsigliare il duce, in nome dell'opportunismo politico (Benny Lay, Il mio Vaticano, Rubettino, 2006, p. 502-503).All'idea di famiglia di Mussolini, Pio XI si oppose più volte, ad esempio il 15 maggio 1929: lo Stato «non è fatto per assorbire, inghiottire, per annichilire l'individuo e la famiglia; sarebbe un assurdo, sarebbe contro natura, giacché la famiglia è prima della società e dello Stato» (Gentile, op. cit., p. 203).Dio, patria, famiglia è un motto del tutto antifascista. Che poi non piaccia neppure ai comunisti, a Monica Cirinnà ed Emma Bonino, è un altro discorso ancora...
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Sganciato il 19° pacchetto, focalizzato sul Gnl. La replica: «Autodistruttivo». Sui beni il Belgio chiede chiarezza.
2025-10-24
«Giustizia»: La voce chiara e forte di chi si sta mettendo in gioco per un sistema giudiziario migliore e più giusto
True
Giustizia affronta il dibattito sulle grandi trasformazioni del diritto, della società e delle istituzioni. Un progetto editoriale che sceglie l’analisi al posto del clamore e il dialogo come metodo.
Perché la giustizia non è solo materia giuridica, ma coscienza civile: è la misura della democrazia e la bussola che orienta il Paese.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
Per scaricare il numero di «Giustizia» basta cliccare sul link qui sotto.
Continua a leggereRiduci
2025-10-24
Dietro lo scandalo scommesse nell’Nba un’inchiesta legata alla mafia italo-americana
True
Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.






