2020-03-07
Dimmi cosa mangi ti dirò cosa bere. Le affinità elettive del buon vivere
La ricerca dell'abbinamento perfetto tra l'alimento e il vino è un'avventura che aumenta il piacere del desco. Ma osare si può.Provocazioni, intriganti seduzioni, sfide, retroscena avvincenti, regole da rispettare e leggi da infrangere: la ricerca del perfetto abbinamento tra il cibo e il vino è un'«avventura» enogastronomica che merita gli aggettivi e i sostantivi con cui si descrive un libro di Dan Brown o un film di James Bond. È un'avventura affascinante e il protagonista sei tu.Ad Alexandre Dumas, papà dei Tre moschettieri, uomo di grandi appetiti a tavola e a letto (tale e quale il suo Porthos), fu chiesto una volta se bere fosse un atto volgare o un atto artistico. Il romanziere francese, finissimo intenditore di vini e di cibi, rispose: «Per un assetato è un atto volgare, per un gourmet un atto artistico». Applicando la proprietà commutativa dell'enogastronomia - cambiando i fattori il risultato non cambia - la risposta vale anche per il mangiare: per un affamato l'atto volgare, per un gastronomo è artistico. Sposando un piatto ghiotto, geniale, con il vino giusto, mangiare e bere diventano un'arte raffinata, un capolavoro che moltiplica il piacere del desco. Oltre al gusto, vengono coinvolti la vista, l'olfatto, le emozioni, i pensieri e- quando si è in bella compagnia- l'amicizia, il divertimento, la seduzione.Attenzione, però. A tavola non sempre due più due fanno quattro. Non è detto che un piatto superbo e un vino eccezionale vadano automaticamente d'accordo. Soprattutto quando il piatto è delicato come una suorina di clausura che profuma d'incenso e il vino muscoloso come Dwayne «The Rock» Johnson che olezza di canfora. Facciamo un esempio pratico. Prendiamo un piatto strepitoso, l'Orto d'inverno di Giovanni Santini, chef del ristorante Al Pescatore di Canneto sull'Oglio, tre stelle Michelin, e l'Amarone di Quintarelli riserva 2007 (692 euro su Amazon). Il piatto è attento ad esaltare la materia prima e il caleiscopio di sapori: orata marinata (nota fresca), carciofi e biete arrostite (amara), cavolfiore adagiato su bottarga di tonno (sapida). Santini lega i vari sapori con una crema di cannellini posta al centro del piatto. Il piatto nasce da un guizzo marino e dal grembo dell'orto. È una musica di violini, il coro a bocca chiusa di Madame Butterfly. Profumi e sapori da cercare uno per uno. Il vino, d'altro canto, è strepitoso, possente, granitico. È il trionfo dell'Aida: trombe, tromboni, strumenti a percussione. Mettendoli insieme si fa del male all'uno e all'altro. E a noi stessi. Quindi? Meglio soli che mal accompagnati. È la regola dell'armonia. Il buon cibo e il buon vino sono musica per il palato quando c'è consonanza, quando «suonano» lo stesso spartito. Come in un coro: soprani, tenori, baritoni, hanno timbri diversi, ma se c'è armonia il risultato è esaltante, sia che cantino il Va' Pensiero o La Montanara. In un'orchestra il flauto gorgheggia, il timpano tuona, il violino trilla, il contrabbasso brontola, ma se tutti seguono il maestro, sia che diriga la Quinta di Beethoven che l'Uccello di fuoco di Stravinsky o il Flic e Floc dei bersaglieri, il risultato è unico: standing ovation.Lo stesso a tavola. Pietanza rustica? Una pasta e fagioli fatta come Dio comanda? Ci vuole un vino altrettanto scalpitante: merlot, corvina o un lambrusco di quelli giusti. Formaggio erborinato o un fossa di Sogliano? Provateli con un passito di Pantelleria. Sentirete il Vincerò della Turandot.Una grammatica di base con norme semplici, ovvie, esiste. Ripassiamole. Il corpo del vino deve essere adeguato alla consistenza della pietanza. Se il pranzo o la cena prevedono un menu con più piatti e più vini, questi devono essere scelti secondo una scaletta di corpo e alcolicità. Tradotto in parole povere: i vini leggeri vanno serviti prima, quelli robusti poi. I vini bianchi, generalmente, vanno prima dei rossi. Fanno eccezione i passiti da abbinare a formaggi erborinati o i dolci da dessert. Ma si sa che l'eccezione fa la regola. Osare si può. Un noto produttore di vino della Valpolicella, in un pranzo con ospiti americani, ha abbinato un recioto di dieci anni, freddo, a crostini toscani con fegatini di pollo. Un matrimonio da favola. Generalmente vanno serviti prima i vini che chiedono una temperatura di servizio bassa e poi quelli che la vogliono d'ambiente. Spiega Mauro Longo, sommelier dell'Ais: «Una bollicina secca va servita tra i 4 e i 6 gradi; spumanti dolci e vini frizzanti tra i 6 e gli 8; tra gli 8 e i 10 gradi i vini bianchi giovani e i rosati. I bianchi evoluti e i passiti vogliono una temperatura di servizio tra i 10 e i 12 gradi. I rossi? Se sono giovani 12-14 gradi. Se sono di media struttura o liquorosi 14-16. I rossi evoluti, di grande struttura e tannicità vanno serviti intorno ai 18 gradi».Un vino troppo freddo non sprigiona bene i profumi, troppo caldo li appiattisce. La temperatura agisce anche sul sapore. Un rosso importante servito freddo ha i muscoli, ma non li può usare. Le basse temperature per vini invecchiati, sono come catene, come dare il valium a un sollevatore di pesi.È importante la stagionalità del vino: un novello per legge viene messo in commercio dopo il 30 ottobre ed è bene berlo entro sei mesi, meglio ancora entro dicembre. A gennaio comincia a perdere freschezza. I bianchi, se non sono evoluti, vanno bevuti entro due anni al massimo. E così i rosati e i rossi giovani.C'è anche chi regole non ne vuole. La scuola inglese dice che l'unica regola è non averne: soltanto il palato di ciascun individuo può giudicare. Ogni cibo e ogni vino ha storia a sé. Giusto? Può darsi, ma un croccante pollo ai ferri abbinato ad un Vinsanto è una bestemmia. E un nasello al vapore, benedetto solo da un filo d'olio d'oliva extravergine, maritato ad un possente barolo o ad un esplodente pinot nero è sacrilegio.Da non dimenticare il teorema delle affinità elettive: ogni simile ama il suo simile. Piatto profumato? Vino aromatico. Pietanza delicata? Vino delicato. Vivanda di grande consistenza? Vino di grande struttura. Piatti bianchi? Vini bianchi. Carni rosse? Vini rossi. Dolce con dolci. Amaro con amaroni. Evangelica affinità: «Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi». Il teorema tocca la vetta con i piatti nella cui preparazione il vino sia uno degli ingredienti principali. Protagonista in pentola? Protagonista abbinato al piatto. Il che significa due volte protagonista. Gli applausi sono garantiti.La regola della regionalità ricalca il proverbio «moglie e buoi dei paesi tuoi». È la regola delle tre T: Terra, Tradizione, Tipicità. Con questo non si nega che la cucina napoletana non sposi bene la cantina emiliana o che i vini piemontesi non facciano bella figura con i piatti romani. Ma è questione di cultura, di terra, di tradizioni.Messe così le cose uno potrebbe pensare che se non ha una cantina rifornita come quella dell'Enoteca Pinchiorri di Firenze o se non va in ristoranti dove si pagano 200 euro vini esclusi, non potrà mai godere del giusto abbinamento cibi-vino. Errore! Come si può leggere Ernest Hemingway e Agatha Christie, Alessandro Manzoni e Tex Willer, così è per l'abbinamento: si possono vivere grandi emozioni con i piatti preparati in famiglia accompagnati a vini da 10-12 euro acquistati in enoteca o in supermercati ambiziosi. Provare per credere.
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