2020-03-21
Dimezzato in 2 mesi il costo del barile. Quello della benzina resta ai massimi
Il greggio è sceso ormai a 23 dollari, ma i circuiti italiani alla pompa non registrano flessioni. L'Antitrust valuta interventi taglia prezzi, però il rischio è far fallire i distributori. MIchele Marsiglia, presidente di Federpetroli: «Vendite giù dell'80%». Oil crash. È questo il termine tecnico con cui viene definita la crisi in corso in queste settimane nel settore petrolifero. Oltre all'emergenza coronavirus - che ha messo a terra aerei e ha limitato gli spostamenti su gomma - sta emergendo anche il conflitto geopolitico tra Russia e Arabia Saudita sui prezzi del barile. Sta di fatto che il prezzo del petrolio continua a svalutarsi, in un avvitamento simile (forse) solo al 1973, negli anni della guerra dello Yom Kippur. In 2 mesi il costo del barile si è dimezzato.Sette giorni fa, in concomitanza con il crollo della Borsa di Milano con la perdita di oltre 820 miliardi di capitalizzazione, il brent era arrivato a circa 30 dollari. Ieri il prezzo è sceso a 23, una discesa costante che sta avendo un effetto domino su diverse aziende energetiche, anche italiane. Ma perché il prezzo della benzina non scende? Perché a fronte di un calo del prezzo del barile il carburante continua a mantenere i prezzi di un mese fa? Il tema è complesso. E in teoria riguarda anche l'Antitrust, il garante della concorrenza che spesso è intervenuto nel settore elettrico. Al momento tutto tace. Ma c'è un motivo. In tutto il mondo le raffinerie hanno petrolio grezzo e raffinati in grandi quantità che vanno ancora smaltite. Spiega Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli Italia, come «sia evidente che nelle prossime settimane possa esserci una diminuzione del prezzo, ma il problema è che alle aziende toccheranno importanti ristrutturazioni». In pratica lo schok petrolifero di questi giorni rischia di ridimensionare i colossi oil&gas in tutto il mondo, con pesanti licenziamenti e con cambi importanti di strategia industriale.Non a caso proprio due giorni fa Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, ha spiegato di essersi prontamente attivato «per rivedere il piano di attività, in considerazione della forte riduzione dei prezzi delle commodity e dei vincoli operativi a oggi prevedibili indotti dal Covid-19. La revisione considererà una significativa riduzione dei Capex (il flusso di cassa, ndr) e delle spese previste, portandole a livelli congrui con il nuovo scenario». Descalzi ha anche assicurato che: «continueremo a mantenere i più alti standard di sicurezza sul lavoro che, date le circostanze, sono stati coerentemente innalzati. In questo momento le priorità sono la tutela della salute delle nostre persone, delle comunità in cui operiamo e la difesa della solidità del nostro bilancio e del dividendo». In Italia una pompa di benzina o un gestore guadagna circa 3 centesimi di euro al litro senza servizio, 5 quando è servito dai benzinai. Sono in corso già da giorni incontri con le sigle sindacali, perché più del prezzo della benzina presto il problema sarà socio economico, per tutti i lavoratori del comparto che potrebbero perdere il posto. Come ricorda sempre Marsiglia, «ad oggi la situazione da dati reali pervenuti nella Divisione rete carburanti di Federpetroli Italia sono quelli che, nell'ultima settimana un impianto medio di carburanti, da venerdì 6 marzo a venerdì 13 marzo ha venduto circa 2.000 litri di carburante, con una differenza del venduto dalle scorse settimane che varia di un -80 %». In pratica i gestori delle pompe di benzina hanno guadagnato un terzo di quello che avevano guadagnato fino a un mese e mezzo fa. Per di più c'è anche il problema delle autocisterne: se prima erano 80 al giorno ora variano da 4 a 7. Le raffinerie, come detto, continuano a raffinare, anche perché devono smaltire il grezzo acquistato prima dell'emergenza Covid 19. Aggiunge Marsiglia: «È come se tutti i negozi di maglioni invece di vendere un capo a 100 euro, dovrebbe scontarlo di colpo a 10 euro perché nell'ultima settimana il costo della lana è diminuito vertiginosamente».A questo si aggiunge anche una preoccupazione dal punto di vista geopolitico che ci riguarda da vicino. Ci potrebbero essere importanti ricadute sulla Libia e sulla zona del Sahel, dove le tribù libiche vivono spesso dei proventi del greggio che viene estratto in quelle zone. Sul territorio libico ce ne sono più di 150, sopravvivono anche grazie al controllo e alla vigilanza sui pozzi. Ma se le produzioni dovessero diminuire cosa potrebbe succedere? Già l'assenza di un esponente di questa fetta importante della struttura socio economica libica all'ultima conferenza di Berlino aveva generato non pochi malumori a Tripoli. Tanto che Ajeli Breni, il coordinatore del forum delle tribù libiche, aveva protestato pubblicamente per il mancato invito. Se ora dovesse ridimensionarsi il peso del greggio e la benzina non valesse più niente la reazione potrebbe essere peggiore. In Libia, come in tutto il mondo, appesi a un futuro ancora del tutto incerto.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)