
I porporati sono stati presi dalle «periferie», sconosciuti gli uni agli altri, proprio per dividere l’assemblea. O si chiude in 24 ore un accordo di massima, o l’elezione si complicherà. Nel collegio serpeggia il malcontento.Gli antichi romani usavano una locuzione: divide et impera. Seminare zizzania per manovrare meglio. Che questa sia stata la strategia di governo di Francesco, le persone che masticano le questioni vaticane, ormai, non lo dicono più tanto sottovoce. Anche perché gli strascichi dello stile sudamericano, adesso, rischiano di condizionare il conclave.È vero: la stragrande maggioranza dei cardinali elettori è stata creata dal Papa defunto. Ma ciò non rappresenta garanzia di concordia. Anzi. Alla Verità, fonti ben informate spiegano che Jorge Mario Bergoglio, anche nel comporre il nuovo collegio, ha scientemente seguito criteri piuttosto aleatori, premiando individui a lui graditi e pescandoli appositamente ai vari angoli del globo. Ben sapendo che, quando sarebbe arrivato il momento, i porporati sarebbero stati, gli uni per gli altri, dei perfetti sconosciuti. Così, la filosofia della «Chiesa in uscita», che va incontro alle «periferie» del pianeta, si è risolta in una sorta di deliberata tattica del caos. Un metodo che, con ogni probabilità, nei progetti dell’argentino, sarebbe stato funzionale a orientare il voto in una direzione a lui congeniale: se non su un candidato preciso, almeno su un profilo. Magari, un «underdog» dalle comprovate credenziali progressiste.La realtà dei fatti è che, tra le eminenze, manca la fiducia reciproca. I veterani temono l’inesperienza, forse l’ingenuità e persino la volubilità dei confratelli estranei, per storia personale e provenienza geografica, alle complesse trame che si tessono attorno all’elezione di un Papa. I cardinali, che in questi giorni, tra loro, non hanno lesinato critiche al pontificato appena concluso, hanno solo altre 24 ore per entrare nella Cappella Sistina con una intesa, sia pure sommaria, sul nome da indicare per la successione al soglio. È a questo scopo che si è intensificato il ritmo degli incontri alle congregazioni. Se il tentativo sarà riuscito, ce ne renderemo conto dalla rapidità del conclave: una fumata bianca potrebbe arrivare già venerdì. Lo scenario che più preoccupa il collegio è quello di un’assemblea balcanizzata e destinata a protrarsi a lungo. Sarebbe un pessimo messaggio ai fedeli in attesa. La certificazione che gli anni di Francesco hanno diviso la Chiesa e che sarà complicato ricucire gli strappi.In teoria - è il paradosso più grande del riformismo dimidiato di Bergoglio - lo stallo potrebbe favorire i propositi dei curiali, sebbene le riserve su monsignor Pietro Parolin siano maggiori di quanto il toto-Papa dei quotidiani abbia lasciato intendere fin qui. Francesco, dal canto suo, avrebbe indicato come suoi favoriti l’italiano Matteo Zuppi e il filippino Luis Antonio Gokim Tagle, ma alla fine si era intiepidito anche nei loro confronti. Con l’arcivescovo di Manila, la luna di miele si era già interrotta nel 2022, quando il Papa azzerò tutte le cariche della Caritas internationalis, di cui Tagle era presidente, per casi di «abusi verbali, favoritismi e cattiva gestione nelle risorse umane», come riportò l’agenzia Reuters. Un tipico esempio dei rivolgimenti di luna che hanno caratterizzato il pontificato di Bergoglio, nonché il rapporto di quest’ultimo con il cardinale Angelo Becciu, per il quale, mentre era ancora ricoverato al Gemelli, l’argentino aveva vergato un ordine di estromissione dal conclave.Proprio gli ultimi giorni di vita del pontefice, almeno per come li racconta chi è riuscito a vederlo, contribuiscono a render ragione delle malcelate espressioni di risentimento, alle quali la sua morte pare aver dato la stura. Sentimenti che, al netto dell’atmosfera di sospetto e terrore, serpeggiavano ovunque nelle sacre stanze, specie da quando si erano consolidati i sospetti che Santa Marta stesse usando la gendarmeria come una specie di servizio segreto deviato.È noto che, durante la degenza, Francesco ha proseguito a ratificare una raffica di nomine. Ha blindato i fedelissimi non solo nella distribuzione delle diocesi, ma anche in delicati posti di responsabilità amministrativa. Compresi quelli del Governatorato, che è il cuore esecutivo dell’autorità vaticana. Il Papa, però, non avrebbe reagito con serenità alla consapevolezza che la fine era imminente: gli interlocutori della Verità riferiscono che, man mano che si avvicinava l’ora, egli appariva «arrabbiatissimo». Forse, anche per non essere riuscito a compiere la trasformazione che aveva auspicato. O perché aveva capito che proprio i suoi errori sarebbero stati di ostacolo a quella continuità essenziale a realizzare il suo piano, basato sulla convinzione che «il tempo è superiore allo spazio». Ossia, che per innovare una realtà refrattaria al cambiamento com’è la Chiesa, tutto sta nell’avviare dei «processi». Uno dei progressisti più illustri, il porporato tedesco Walter Kasper, sta rilasciando interviste a tutto spiano per ribadire che sarebbe una sciagura non eleggere un «nuovo Francesco». È la spia delle ansie di chi teme una rivalsa tradizionalista.Questione di gravità, dunque? È bastata una spintarella per attivare il domino ecclesiale? Chissà che, invece, la metafora più pertinente non sia quella del terzo principio della dinamica: a una forza applicata su un corpo corrisponde un’altra forza uguale e contraria.
Niram Ferretti è l'autore del libro "Maledetto Israele! La crociata contro lo Stato ebraico".
La guerra che Israele ha intrapreso a Gaza, come risposta all’eccidio perpetrato da Hamas nel sud del Paese il 7 ottobre 2023, ha scatenato progressivamente, nell’arco degli ormai due anni del suo svolgimento, la più furente e ossessiva criminalizzazione nei confronti di uno Stato di cui si abbia memoria nella storia contemporanea.
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