2018-12-11
Con l'uscita di scena di Minniti dal Pd, Renzi consuma la vendetta sui servizi
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C'è un retroscena alla base del ritiro della candidatura da parte dell'ex ministero dell'Interno. Riporta le lancette indietro di due anni ai tempi dell'inchiesta su Consip, dove fu coinvolto anche l'Aise insieme con il comandante del Noe Giampaolo Scafarto. L'ex segretario attacca: «C'è chi tramava contro di me».Nello psicodramma del Partito democratico, reduce dalla rinuncia dell'ex ministro dell'Interno Marco Minniti alla corsa per la segreteria, c'è un aspetto che in pochi hanno approfondito, ma che riguarda un tema fondamentale, ovvero i servizi segreti. E' un tema di cui si parla sottovoce nelle stanze del potere romano, ma che ha gettato ombre e sospetti su chi ha portato avanti in questi mesi la candidatura di Minniti, cioè l'attuale presidente del Copasir Lorenzo Guerini e l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti. I due sono entrambi ben inseriti nel comparto sicurezza, il primo perché numero uno di palazzo San Macuto, il secondo perché in predicato nel governo di Paolo Gentiloni di ottenere una delega sui servizi e con buone entrate nell'Aisi. E' un'ombra talmente lunga che persone inserite nel mondo dell'intelligence arrivano a sostenere che questa candidatura sarebbe stata in realtà una trappola, addirittura una vendetta contro l'ex numero uno del Viminale: un finto sostegno per mandarlo a sbattere di cui poi il navigato politico calabrese si sarebbe accorto in tempo.Del resto al Nazareno e nei rami periferici dem, ha destato non poca sorpresa un passaggio del post che l'ex segretario Matteo Renzi ha fatto su Facebook mercoledì scorso, all'indomani dell'uscita di scena di Minniti. «La mia famiglia è stata trascinata in un fiume di fango su cui pochissimi nel gruppo dirigente hanno avuto il coraggio di esporsi. Mentre esponenti dei servizi segreti tramavano contro di me per il tramite di mio padre, larga parte del gruppo dirigente discuteva del mio carattere. Eddai», ha scritto l'ex presidente del Consiglio, riportando le lancette del tempo indietro di qualche anno ma soprattutto, colpendo uno che di servizi segreti se ne intende, cioè proprio Marco Minniti. Il politico calabrese è stato dal 2013 il reggente sull'intelligence italiana, ha mantenuto la delega fino al governo di Paolo Gentiloni, per poi diventare appunto ministro dell'Interno. Ma le nomine e la gestione degli ultimi anni di Dis, Aise e Aisi sono state sue, tutt'ora i suoi uomini si fanno sentire nel delicato funzionamento del comparto sicurezza. Non è un segreto che l'inchiesta su Consip, che ha travolto il padre di Renzi, abbia creato non pochi problemi all'interno del vecchio Sisde, cioè Forte Braschi. Anche perché a quanto pare Giampaolo Scafarto, il comandante del Noe accusato dai renziani di aver falsificato le prove per colpire il padre del premier, avrebbe avuto un filo diretto con l'Aise, come anche raccontato dal procuratore di Modena Lucia Musti di fronte al Consiglio superiore della magistratura. Non è un caso che nei giorni caldi su Consip sia venuto in mente a più di un esponente del Giglio magico quanto accaduto all'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel 2010, nello scandalo Ruby Rubacuori. A quei tempi la delega era nelle mani del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Tra le fila di Forza Italia, e non solo, c'è chi iniziò a sospettare che la villa di Arcore non fosse stata protetta abbastanza dalle nostre forze di sicurezza. La vicenda arrivò fino al Copasir e proprio Letta fu tenuto a spiegare di fronte all'allora presidente Massimo D'Alema le sue ragioni, spiegando che i servizi non erano a conoscenza del fatto che gli invitati fossero sorvegliati, addirittura, dal 10 gennaio dello scorso anno e che lo stesso Berlusconi, non fosse stato mai avvertito delle «frequentazione dubbie di alcune sue ospiti». Quindi, secondo Letta, non vi sarebbero stati presupposti per ritenere la stessa vita dell'ex premier ricattabile o addirittura in pericolo. Vecchie storie. Sta di fatto che non è solo lo scandalo Consip ad avere creato malumori tra il circolo renziano e quello di Minniti. Per mesi, infatti, l'ex presidente del Consiglio ha provato in tutti i modi a inserire il fedelissimo Marco Carrai all'interno della struttura di cybersecurity di palazzo Chigi. Non ci è mai riuscito. Le pressioni e le tensioni sulla figura del Richelieu di Renzi andarono avanti per tutto il 2016, in concomitanza con l'inchiesta sulla stazione appaltante, proprio nei mesi, come si scoprirà dopo, in cui il generale dell'Arma dei carabinieri Tullio del Sette e quello della legione Toscana Emanuele Saltalamacchia avrebbero informato gli indagati delle indagini del Noe di Scafarto: sul caso c'è un'inchiesta aperta dalla procura di Roma che coinvolge lo stesso Lotti. Di più, lo stesso Saltamacchia fu candidato ai vertici dell'Aisi. E sono sempre quei mesi in cui il governo Renzi tentò il blitz per permettere ai vertici delle forze dell'ordine di avere informazioni sulle inchieste dagli agenti di polizia giudiziaria: un provvedimento bocciato di recente dalla Corte Costituzionale che ha sancito come l'esecutivo non potesse permettersi un'intromissione del genere nel potere giudiziario proprio per incostituzionale. Alla fine Carrai non arriverà mai ai piani alti della cyber intelligence di Chigi, ma il confronto di quei mesi fu molto serrato, tanto che l'imprenditore ,socio di ex agenti dei servizi segreti israeliani, incontrò spesso il mancato candidato alla segreteria del Pd. «Quando ho dato la mia disponibilità alla candidatura – ha spiegato Minniti a Repubblica - la mia scelta posava su due obiettivi: unire il più possibile il nostro partito e rafforzarlo per costruire un'alternativa al governo nazionalpopulista». Ma se invece i renziani avessero voluto far credere all'ex dalemiano di volerlo appoggiare per poi farlo perdere? Di sicuro ora l'ex ministro dell'Interno appare indebolito dentro il Pd. E nel frattempo in corsa per la segreteria è ricomparso lo stesso Renzi, forse anche rinfrancato dal fatto che senza di lui il partito perderebbe consensi. Sono veleni e spifferi che raccontano di un Nazareno ormai dilaniato, dove il sospetto di vecchi rancori e vendette non vede ancora la parola fine.
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