2018-06-23
Tutto quello che non torna
nell’inchiesta che agita Roma
L'inchiesta romana si basa su presupposti tutti da dimostrare. In primis il ruolo «pubblico» dell'avvocato grillino, poi le effettive corruzioni: i giri di denaro scoperti sono tutti in chiaro. Ciò che stupisce è la velocità con la quale i verbali finiscono sui giornaliC'è qualcosa di strano, nell'inchiesta sul nuovo stadio della Roma. E non significa certo simpatizzare con la Lega, o con i grillini, manifestare un dubbio sulla piena fondatezza delle indagini e sull'utilizzo (intelligente e proficuo, dal loro punto di vista) che gli inquirenti riescono a farne sui giornali. Per le perplessità basta un po' di logica, e di quel garantismo che in Italia non riesce ad attecchire.Proprio ieri, del resto, contro l'inchiesta ha sparato due bordate Antonio Di Pietro, che pure con Mani Pulite nel 1992 è stato il primogenitore di ogni successiva grande e piccola inquisizione italiana: «Sul piano penale e processuale», ha detto l'ex magistrato, «a me pare ci sia molto poco, al di là di qualche fatto specifico (…). Anche perché la corruzione è come il matrimonio: ci vuole un beneficio, non semplici promesse; e serve anche l'atto contrario agli obblighi di ufficio». Da tecnico, Di Pietro ha aggiunto: «Sul piano processuale io ci vedo poche cose. (…) Ma bisogna fare attenzione a criminalizzare prima del tempo (…). Perché ora molte inchieste sono preventive: vanno alla ricerca del morto, e vedono se il morto c'è o meno. E questo è giusto, ma non deve recare pregiudizi nei confronti di persone che magari sono innocenti».Di Pietro non ha torto. Da una settimana, l'inchiesta sul nuovo stadio - la cui costruzione, va detto, non è mai nemmeno lontanamente cominciata - ottiene grande spazio sui giornali. I quotidiani attingono a piene mani agli atti che imbarazzano tanto grillini e leghisti: quelle carte vengono prodotte senza soluzione di continuità dalla polizia giudiziaria per essere spesso depositate l'indomani, con un tempismo che ha del prodigioso. Insomma, è come se il versante mediatico dell'inchiesta fosse importante come quello tecnico-processuale. L'operazione stadio, finora, ha fatto nove arresti: il costruttore Luca Parnasi e cinque suoi collaboratori; l'ex presidente grillino della municipalizzata Acea, Luca Lanzalone; Adriano Palozzi, vicepresidente azzurro del Consiglio della Regione Lazio; e Michele Civita, ex assessore regionale del Pd. I nove sono indagati con altre 16 persone per reati che vanno dall'associazione a delinquere alla corruzione, fino al traffico illecito di influenze. Questo, però, è anche uno dei reati più nebulosi del nostro Codice penale: creato dal governo di Mario Monti nel novembre 2012, punisce con pene da uno a tre anni chi, «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale (…), indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale (…) per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio». Sul traffico d'influenze, reato giovane, ancora non esiste una vera giurisprudenza. Così la sua applicazione è incerta.Il problema è che corruzione e illecite influenze sussistono solo in presenza di pubblici ufficiali. Ma Lanzalone, l'avvocato genovese «scelto» all'inizio del 2017 dal sindaco Virginia Raggi come consulente ad ampio spettro, e al centro del caso, non viene mai assunto dal Municipio, né retribuito. Pare esista una lettera, spedita dalla sindaca grillina al capo delle risorse umane del Comune l'8 marzo 2017 e intitolata «Formalizzazione della collaborazione dell'avv. Lanzalone». Ma quella lettera non avrebbe ricevuto risposta: se è così, Lanzalone non è pubblico ufficiale. Per poterlo «incastrare», quindi, i magistrati dovranno ricorrere alla figura giuridica del «pubblico ufficiale di fatto» e scovare le prove di un impegno effettivo, specifico e continuo dell'indagato. Ci riusciranno? Non si sa. Si sa solo che Lanzalone (non per nulla avvocato) ha capito il gioco. E nell'interrogatorio del 15 giugno ha ripetuto: «Io nel Comune di Roma non ho mai avuto alcun incarico formale». Poi ha ricordato che «dal marzo 2017 non ho più partecipato ad alcun atto del Comune, né ho ricevuto alcun incarico o partecipato ad alcun atto». Ha negato perfino di aver ricevuto la presidenza di Acea, il 27 aprile 2017, come premio per il suo impegno: «Assolutamente no. La sindaca mi disse solo che (per quel posto, ndr) non trovavano una persona qualificata».E i soldi delle presunte corruttele? Nelle intercettazioni, è vero, si legge del costruttore Parnasi che si vanta di aver pagato questo e quello. In effetti nelle informative sono finite le sue elargizioni a politici di ogni colore. Ma sono, anche, tutti finanziamenti in chiaro e in piena regola, come i 400.000 euro dati alle fondazioni vicine al Pd e alla Lega. O come i 50.000 euro versati alla campagna elettorale del sindaco di Milano, Giuseppe Sala; o i 60.000 che alla vigilia delle ultime elezioni il costruttore regala a una lunga lista di politici di destra, sinistra e centro, a caccia di finanziamenti. È plausibile una corruzione via bonifico bancario? Reggerà, processualmente?
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