È stato lo stesso ex vicepresidente degli Stati Uniti, mesi fa, durante un evento del Council on Foreign Relations, a rendere noto che nel marzo del 2016 aveva esercitato forti pressioni sull'allora presidente ucraino, Petro Poroshenko. Ora tutti si scandalizzano se il capo della Casa Bianca ha cercato di fare luce.
<p>Una nuova bufera si sta abbattendo su <strong>Donald Trump</strong>? Secondo quanto riportato dal <em>Wall Street Journal</em>, il presidente americano - nel corso di una telefonata dello scorso luglio - avrebbe insistentemente chiesto al suo omologo ucraino, <strong>Volodymyr Zelensky</strong>, di mettere sotto inchiesta <strong>Hunter Biden</strong>, figlio dell'attuale candidato alla <em>nomination</em> democratica, Joe Biden. L'avvocato di Trump, <strong>Rudy Giuliani</strong>, è apparso alla Cnn giovedì sera, inizialmente negando e poi ammettendo di aver chiesto all'Ucraina di esaminare le accuse contro <strong>Biden</strong>. L'ex vicepresidente è andato all'attacco, accusando <strong>Trump</strong> su Twitter di abuso di potere. «Come minimo, Donald Trump dovrebbe rilasciare immediatamente la trascrizione della telefonata in questione, così che gli americani possano giudicare da soli», ha aggiunto. Il presidente, dal canto suo, ha respinto le accuse. «Virtualmente ogni volta che parlo al telefono con un leader straniero, sono consapevole del fatto che potrebbero esserci in ascolto diverse persone delle varie agenzie Usa, per non parlare di quelle degli altri Paesi... sapendolo, nessuno sarebbe così stupido da dire qualcosa di inappropriato ad un leader straniero durante una telefonata così affollata», ha dichiarato due giorni fa su Twitter.<br></p><p>La questione è spinosa. E chiama in causa due fattori significativi. In primo luogo, non bisogna trascurare come la talpa da cui tutto è partito provenga dagli ambienti dell'intelligence: un settore, quest'ultimo, che ha creato in passato non pochi grattacapi al presidente. In secondo luogo, l'altro aspetto è di natura chiaramente politica ed entra a gamba tesa nel mezzo della campagna elettorale per le presidenziali del 2020. Tanto che i democratici stanno accusando <strong>Trump </strong>di usare il suo potere per mettere i bastoni tra le ruote ai propri avversari. Vedremo come si evolverà la vicenda, in attesa della testimonianza alla Camera del direttore della <em>National Intelligence</em>,<strong> Joseph Maguire</strong>, il prossimo 26 settembre. Ciononostante è forse bene mettere in evidenza alcuni fattori significativi.<u></u><u></u></p><p><div id="adagioad-inarticle-1" class="adagioad adagioad-inarticle-1" data-type="leaderboard-in-article"></div></p><p>In primis, è stato lo stesso <strong>Joe Biden </strong>mesi fa, durante un evento del <em>Council on Foreign Relations</em>, a rendere noto che nel marzo del 2016 – quando era ancora vicepresidente degli Stati Uniti – aveva esercitato forti pressioni sull'allora presidente ucraino,<strong> Petro Poroshenko</strong>. <strong>Biden</strong>, in particolare, minacciò di bloccare il prestito da un miliardo di dollari che gli Stati Uniti avevano garantito a Kiev, se prima non fosse stato licenziato il procuratore generale <strong>Viktor Shokin.</strong> Quello stesso <strong>Shokin</strong> che stava conducendo un'inchiesta per corruzione su <em>Burisma Holding</em>: società ucraina di gas naturale, nel cui consiglio d'amministrazione sedeva dal 2014 proprio <strong>Hunter Biden</strong>. Un incarico che, secondo il giornalista investigativo <strong>Peter Schweizer,</strong> avrebbe fruttato al figlio dell'allora vicepresidente circa 83.000 dollari al mese. In tutto questo, non bisogna trascurare un ulteriore fattore importante: dai tempi dell'annessione russa della Crimea del 2014, Biden era stato scelto da <strong>Barack Obama</strong> come principale figura di raccordo tra Washington e Kiev: segno evidente di come l'allora vicepresidente avesse di fatto non poca voce in capitolo sulle dinamiche politiche interne all'Ucraina. <strong>Secondo Schweizer</strong>, il 16 aprile 2014, il socio di <strong>Hunter Biden</strong>,<strong> Devon Archer</strong>, si sarebbe recato in visita privata alla Casa Bianca per un incontro con il vicepresidente<strong> Biden</strong>. Cinque giorni dopo, quest'ultimo volò a Kiev per una serie di incontri di alto livello con funzionari ucraini. Nel giro delle tre settimane successive, sia <strong>Archer</strong> che Hunter entrarono in <em>Burism</em>a. Un caso?<u></u><u></u></p><p>In secondo luogo, se si vuole parlare di abuso di potere per <strong>Trump</strong>, bisognerebbe allora forse farlo anche per Obama, visto che – nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali del 2016 – l'Fbi (che risponde formalmente al Dipartimento di Giustizia) avviò un'inchiesta sulla presunta collusione tra il comitato del magnate newyorchese e il Cremlino. L'operazione (denominata <em>Crossfire Hurricane) </em>si sarebbe servita di infiltrati, restando tra l'altro inusualmente segreta: una segretezza che – secondo il <em>New York Times</em> – sarebbe stata principalmente dovuta alla mancanza di prove sufficienti per portarla alla ribalta. Altra stranezza fu determinata dal fatto che appena cinque funzionari vennero coinvolti nell'indagine, quando invece per le questioni di sicurezza nazionale sono generalmente più del doppio. Tra l'altro, sembrerebbe stia sempre più emergendo come – dietro le accuse di collusione tra <strong>Trump</strong> e la Russia – possa in realtà celarsi un piano dei servizi segreti occidentali (cui avrebbero preso parte, tra gli altri, la Gran Bretagna, l'Italia e la stessa Ucraina): un piano che avrebbe avuto come obiettivo quello di favorire l'ascesa di Hillary Clinton alla Casa Bianca. A tutto questo va poi aggiunto che, nel suo rapporto, il procuratore speciale per il caso <em>Russiagate</em>, <strong>Robert Mueller</strong>, abbia del tutto escluso una collusione tra il comitato di <strong>Trump</strong> e il Cremlino. Tutti fattori alla cui luce l'operazione <em>Crossfire Hurricane</em> assume una dimensione particolarmente sinistra, lasciando molte incognite sospese sul ruolo dell'amministrazione Obama.<u></u><u></u></p><p><div id="adagioad-inarticle-2" class="adagioad adagioad-inarticle-2" data-type="leaderboard-in-article"></div></p><p>Infine, sempre restando sul tema dell'abuso di potere, bisognerebbe tenere a mente alcuni precedenti storici particolarmente significativi: in particolare, quello del presidente democratico Lyndon Johnson nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 1964 (ben prima, quindi, dello scandalo <em>Watergate</em>). Come sottolineato dallo storico Lee Edwards, la Casa Bianca si rivolse alla Cia nell'autunno di quell'anno, per ottenere informazioni sulla campagna dell'allora candidato repubblicano, Barry Goldwater, sebbene quest'ultimo non potesse essere descritto come un "nemico interno": l'unica valida motivazione per chiedere all'agenzia di agire. Sempre su ordine di Johnson, azioni di sorveglianza e spionaggio contro Goldwater furono contemporaneamente effettuate anche dall'Fbi, come rivelato dallo stesso<strong> J. Edgar Hoover</strong> nel 1971.</p><p><div id="adagioad-inarticle-3" class="adagioad adagioad-inarticle-3" data-type="leaderboard-in-article"></div></p>
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