2020-04-01
«Dietro ai pochi morti dei tedeschi ci sono famiglie e conteggi diversi»
Carlo Signorelli (YouTube)
L'epidemiologo Carlo Signorelli: «Nel caso di patologie gravi, i decessi con l'infezione non vengono registrati come Covid-19. In Germania gli anziani vivono distanziati e ciò li ha salvati. Il maggior numero di tamponi ha fatto il resto».La Germania ha 64.000 casi di Covid-19 contro gli oltre 100.000 italiani, ma 560 decessi rispetto ai nostri 11.000. In pratica il tasso di letalità tedesco è 0,8%, mentre è l'11% nel nostro Paese. «È una questione di denominatore», spiega alla Verità l'epidemiologo Carlo Signorelli, docente di Igiene e Sanità pubblica all'università Vita-Salute del San Raffaele di Milano. «I casi reali sono 10-15 volte in più rispetto alle notifiche. Se infatti ragionassimo in termini di 1 milione di persone infette, il valore italiano sarebbe simile a quello tedesco. C'è però almeno un'altra questione da considerare».Si riferisce al fatto che i primi focolai tedeschi hanno riguardato contesti aziendali e famiglie tornate da vacanze nelle Alpi?«In Germania l'epidemia ha cominciato a diffondersi tra i giovani, dove la letalità è più bassa, e in Italia tra gli anziani che hanno letalità più elevata».Forse hanno un modo diverso di contare i decessi? «Mentre le prime due considerazioni sono reali, quella sul conteggio è una questione ipotetica. Ho parlato proprio di questo con un collega tedesco. Non c'è ancora un modello standardizzato validato a livello internazionale: la causa della morte è definita dal singolo clinico. Nel caso di malati gravi, portatori di altre malattie, anche se deceduti con l'infezione, se non è fatto il tampone non c'è il dato. In ogni caso, la sottostima dei nostri infetti reali e l'innesco del focolaio nei giovani, potrebbero da soli spiegare la bassa mortalità tedesca». C'è anche una tempistica diversa nell'epidemia. «In Italia è arrivata circa 10 giorni prima e, cominciando negli anziani, ha fatto più morti (stando all'Iss, l'87% dei decessi è nelle persone con più di 70 anni, contro l'1% della popolazione fino a 50 anni, ndr). Quando, in Germania, dopo i primi focolai su persone più giovani, hanno attivato le misure restrittive, si sono protetti anche gli anziani». Medici e personale ospedaliero tedeschi si contagiano meno perché sono meglio equipaggiati? «Difficile rispondere. In Italia non si può escludere che la carenza di dispositivi di protezione e una diversa cultura igienico sanitaria del personale possano avere influito, ma è anche vero che i tedeschi hanno avuto più tempo per organizzarsi. Sul fronte dell'assistenza e della cura non ci sono differenze. La Lombardia ha fatto una cosa eccezionale moltiplicando i posti letto intensivi. Certo, se si devono curare 100 persone rispetto a 10, le modalità d'intervento sono diverse. A Bergamo e Brescia ci sono stati giorni di grande emergenza, che non possiamo escludere abbiano influito in certi decorsi». In Germania si fanno circa 70.000 tamponi al giorno. In Italia il record è 36.000. Là l'80% dei testati ha meno di 60 anni, mentre da noi solo il 25% dei positivi è in questa fascia d'età (dati dell'Istituto superiore di sanità)... «A fare la grande differenza nella letalità è il fatto che i giovani tedeschi sono distanti dagli anziani. C'è anche una questione culturale e sociale da considerare. In Spagna e Italia abbiamo numeri più elevati perché abbiamo ancora i trentenni a casa con i genitori, mentre in Nord Europa gli anziani vivono separati». Dice che in Italia ha colpito anche la sfortuna? «L'epidemia è arrivata per prima e nelle persone più deboli. Quando abbiamo iniziato col lockdown, il virus girava già fra gli anziani nelle case di riposo, ulteriore aggravante per l'Italia, mentre in Germania stava nei giovani. Cambia completamente la dinamica. È quello che stiamo vedendo anche da noi». Si riferisce alla condizione delle regioni del Sud? «Roma, Napoli, Bari e la Sicilia hanno meno casi perché le misure di contenimento del 9 marzo hanno attenuato l'epidemia al Nord e bloccato la crescita esponenziale al Sud. La controprova è la Spagna: lì, nelle stesse date del lockdown italiano, manifestavano in strada. Adesso la situazione è tragica». La chiusura insomma sta funzionando? «Dove l'incidenza è più bassa bisogna continuare con i tamponi e tracciare i contatti, dove è maggiore bisogna smaltire i numeri con misure di mitigazione. L'Italia ha condizioni molto diverse. È capovolta: il Sud è simile al Nord Europa e il Nord è l'epicentro del focolaio, che però interessa soprattutto cinque province: quattro lombarde, ossia Cremona, Lodi, Bergamo e Brescia, - oltre a Piacenza, che ha dati simili a Bergamo ma “diluiti" in quelli della regione Emilia-Romagna. Varese e Sondrio hanno meno casi di metà delle province italiane. Milano per fortuna è interessata marginalmente probabilmente grazie alla procedura di chiusura, come il Centro Sud».
Operazioni di soccorso dopo il crollo ai Fori Imperiali (Getty Images)
Una donna in preghiera in una chiesa nei pressi di Lagos, Nigeria (Getty Images)