Una ricerca di Siteb spiega l'esito di 12 anni di politiche di risparmi controproducenti. Persi 18.000 posti di lavoro e 1.500 imprese. E il conto per rimettersi alla pari con la manutenzione vale due Finanziarie.In Italia, dal 2006 ad oggi, la pubblica amministrazione, proprietaria di oltre 600.000 chilometri di rete stradale asfaltata, ha risparmiato circa 10 miliardi di euro in lavori di manutenzione del manto stradale evitando di mettere in opera circa 180 milioni di tonnellate di conglomerato bituminoso. La decisione è motivata dalla crisi economica che si è abbattuta sull'Occidente e dalla necessità per il nostro Paese di rispettare il Patto di stabilità. I dati arrivano da una stima che Siteb - Strade italiane e bitumi, associazione di riferimento per il settore, ha realizzato per La Verità. Il problema è che le strade non riparate al momento giusto tendono nel tempo a deteriorarsi sempre di più, così oggi, nel 2018, per mettere a posto le varie buche presenti su grandissima parte della rete stradale italiana, di miliardi ne servirebbero circa 42. Purtroppo il risultato di questa pessima applicazione della spending review ha prodotto diverse vittime: non solo un incremento del numero di incidenti e delle persone che hanno perso la vita sulle strade italiane a cause della pericolosità del manto di asfalto, ma anche tutti gli addetti ai lavori che negli ultimi 12 anni hanno perso il posto di lavoro. I dati sono impressionanti: come spiega il direttore dell'associazione Stefano Ravaioli, fino al 2006 il settore dell'asfalto in Italia produceva circa 45 milioni di tonnellate l'anno di conglomerati bituminosi, oggi siamo fermi a circa 22-23 milioni, pressappoco la metà. Per questo il numero degli addetti è sceso da oltre i 50.000 del 2006 ai circa 32.000 del 2017, un calo del 36%. Una vera ecatombe: delle 3.500 aziende presenti sul nostro territorio nel 2006, ne sono state falcidiate circa 1.500 e oggi, nel 2017, il numero delle società attive sfiora le 2.000 unità. Un danno che ha interessato anche tutto l'indotto del settore (progettisti e tecnici stradali, trasportatori eccetera) che conta circa 500.000 impiegati.Il settore è dunque tuttora in grande crisi e gli impianti produttivi italiani soprattutto quelli vecchi e obsoleti, chiudono uno dopo l'altro. Dodici anni fa avevamo circa 650 impianti produttivi, oggi si arriva a malapena a 400, con un calo del 40%. Il problema, come spiega il direttore di Siteb, è «anche la frammentazione e polverizzazione delle aziende sul territorio. In Italia a ogni impianto spesso corrisponde una azienda e la maggioranza delle compagnie del settore, infatti, non produce asfalto, ma si occupa solo della messa in opera».L'effetto di tutto ciò è che il valore della produzione è crollato. Dal 2010 (anno in cui la produzione di conglomerato bituminoso era già scesa a 29 milioni di tonnellate) al 2018, sempre secondo i dati Siteb, il mondo dell'asfalto ha dovuto dire addio a un ulteriore 16,6% del fatturato, passato da 1.700 miliardi a circa 1.440. L'origine di tutto questo, va detto, non è però da imputare solo alla crisi ma anche a decisioni sbagliate. Molte amministrazioni locali hanno creduto di poter rinviare nel tempo le spese legate alla manutenzione stradale, ritenendo che una strada dissestata fosse comunque una strada utilizzabile introducendo qualche limite di velocità, senza fare eccessivi danni, ma non è stato così. C'è stato dunque anche un problema di mancanza di competenza tecnica. Il punto è che un buco nell'asfalto tende ad allargarsi col tempo e, una volta giunti alla fondazione stradale, spiega Ravaioli, «la spesa per la riparazione può aumentare fino a cinque volte». L'Italia, inconsapevolmente o meno, sta dunque sprecando un piccolo tesoretto. Secondo la stima di Siteb, i circa 600.000 chilometri di strade italiane valgono almeno 2.000 miliardi di euro (se si considera solo il manto stradale e la sovrastruttura), valore che sale a circa 5.000 miliardi se all'interno del conteggio si prendono in considerazione anche le gallerie, i ponti e i viadotti.Un tesoretto che si sta lentamente e letteralmente sgretolando, comportando costi sempre maggiori che spesso le amministrazioni comunali non si possono permettere, e causando un numero di vittime in aumento. A questo si aggiunga anche l'aumento del prezzo dell'«ingrediente» primario per fare l'asfalto, il bitume, derivato dal petrolio. Rispetto ai 50-60 dollari al barile di greggio cui il mercato era abituato, oggi il valore del petrolio è salito intorno ai 75-80 dollari. Senza considerare che, nel frattempo, l'euro si è deprezzato rispetto al dollaro. Tutto questo ha causato un aumento del 25-30% del prezzo del bitume, fattore che di certo non aiuta un settore da tempo al collasso. Per questo Siteb tramite il suo presidente Michele Turrini, fa un appello al governo: «È ora fondamentale che il nuovo esecutivo imprima un deciso cambio di marcia rispetto ai precedenti, puntando, per quel che concerne il trasporto su gomma, su una seria politica di manutenzione del patrimonio di strade esistente e, in particolare, di quelle comunali e provinciali che sono le più disastrate».Di certo le istituzioni dovranno fare qualcosa per risolvere il problema. Se non si corre ai ripari, il rischio concreto è che il contribuente si troverà a pagare un sacco di soldi per rammendare strade ammalorate ormai da troppo tempo.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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