2019-10-16
I dem usano la Siria per attaccare Trump
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Se c'è un aspetto paradossale del quarto dibattito televisivo tra i candidati democratici, tenutosi ieri a Westerville in Ohio, non può non riguardare la politica estera. La maggior parte dei contendenti sul palco è andata duramente all'attacco di Donald Trump sulla questione siriana, sostenendo in particolare che il ritiro delle truppe americane auspicato dalla Casa Bianca indebolirebbe la posizione di Washington nello scacchiere mediorientale.Accuse al presidente americano sono piovute anche sulla questione dell'abbandono dei curdi siriani, davanti all'avanzata militare delle forze turche. «Il massacro in corso in Siria non è la conseguenza della presenza americana, è la conseguenza del ritiro e del tradimento americani», ha tuonato il sindaco di South Bend, Pete Buttigieg. «Guardate», ha proseguito, «non pensavo che dovessimo andare in Iraq in primo luogo. Penso che dovremmo uscire dall'Afghanistan. Ma è anche il caso che un piccolo numero di forze speciali specializzate e le capacità di intelligence fossero l'unica cosa che si frapponeva tra quella parte della Siria e ciò che stiamo vedendo ora, che è l'inizio di un genocidio e la rinascita dell'Isis». Particolarmente critica su questo fronte si è rivelata anche la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, che ha accusato Trump di aver causato «un disastro umanitario». «Non credo che dovremmo avere truppe in Medio Oriente, ma dovremmo farlo nel modo giusto», ha dichiarato.Bernie Sanders, dal canto suo, si è rifiutato di continuare a riconoscere la Turchia come un alleato della Nato, criticando ferocemente Ankara per le operazioni belliche nel Nordest della Siria. Secondo il senatore del Vermont, Trump avrebbe «rovinato la capacità dell'America di fare politica estera». Sulla stessa linea si è collocato il senatore del New Jersey, Cory Booker, sostenendo che la Casa Bianca starebbe cercando di favorire il Cremlino e il presidente siriano Bashar al Assad. Se vogliamo, il più duro di tutti si è rivelato Joe Biden, che ha sferrato un duro attacco alla politica estera di Trump. «Abbiamo un presidente pazzo ed erratico che non sa niente di politica estera e che opera per paura della propria rielezione», aggiungendo che il ritiro delle truppe americane dalla Siria sia «la cosa più vergognosa che un presidente abbia fatto nella storia moderna in termini di politica estera».Insomma, posizioni durissime, che rimproverano a Trump incapacità e arrendevolezza sul fronte mediorientale. Posizioni in sé stesse anche legittime ma che mal si sposano con quanto finora professato da questi stessi candidati in materia di politica internazionale. Coloro che adesso attaccano tanto ferocemente Trump sono infatti gli stessi che hanno per lungo tempo portato avanti prospettive addirittura improntante all'isolazionismo. Partiamo da Bernie Sanders. Nel corso delle primarie democratiche del 2016, il senatore del Vermont criticò a più riprese la politica interventista dei Bush e dei Clinton in Medio Oriente, sostenendo la necessità del disimpegno americano da quell'area. Tra l'altro, proprio nel dibattito televisivo di ieri, Sanders ha attaccato ancora una volta Biden per il sostegno che diede - da senatore - all'invasione dell'Iraq. Delle due l'una: o gli Stati Uniti devono ritirarsi dal Medio Oriente e allora Trump ha ragione ad andarsene dalla Siria; oppure devono restare a presidiare il territorio e allora il senatore socialista dovrebbe fare pubblica ammenda per le posizioni da lui finora sostenute.Del resto, il paradosso vale anche per la Warren e per Buttigieg. La prima si è di fatto contraddetta nella stessa serata di ieri, affermando al contempo - come abbiamo visto - che Washington dovrebbe abbandonare il Medio Oriente e restare in Siria. Il sindaco di South Bend, dal canto suo, è stato inchiodato dalla deputata delle Hawaii, Tulsi Gabbard, che ha duramente criticato la classica strategia americana dei «cambi di regime» in giro per il mondo, chiedendo a Buttigieg perché prima sostenesse la necessità di porre un termine alle cosiddette «guerre senza fine» e adesso critichi invece il ritiro di Trump dalla Siria. Il sindaco ha cercato di replicare, affermando: «Quando pensiamo che le nostre uniche scelte siano tra guerra senza fine o isolamento totale, ciò rende questo mondo più pericoloso». Resta tuttavia il fatto che Buttigieg, insieme a Beto O' Rourke ed Elizabeth Warren, sia un fautore del ritiro statunitense dall'Afghanistan. E, adesso, non è chiaro in che modo questa prospettiva possa coerentemente sposarsi con la sua posizione sulla Siria.Del resto, neppure Biden sfugge totalmente a questo paradosso. È pur vero che, rispetto ad altri candidati, costui abbia spesso adottato una linea maggiormente interventista in politica estera soprattutto quando era senatore del Delaware. Resta comunque il fatto che sia stato per otto anni vice di un presidente, Barack Obama, che ha sempre cercato - pur con alterne fortune - di tenersi ben lontano da un diretto coinvolgimento in Medio Oriente. Se è vero che l'attuale presenza militare americana in Siria sia stata voluta da Obama, è altrettanto vero che - nelle intenzioni dell'ex presidente - quella presenza sarebbe dovuta essere circoscritta e a breve scadenza. Non dimentichiamo del resto che fu proprio Obama, nell'estate del 2013, a rifiutarsi di attaccare Assad, mandando così su tutte le furie i componenti più interventisti della sua stesa amministrazione (a partire dall'allora segretario di Stato, John Kerry). L'allora inquilino della Casa Bianca giustificò quella mossa, sostenendo che - a forza di voler tutelare a tutti i costi la credibilità internazionale americana - Washington si fosse alla fine ritrovata impelagata in Vietnam e in Iraq: quella stessa credibilità di cui parlava ieri sera Buttigieg. Senza poi trascurare che, nel 2008, l'allora senatore dell'Illinois fece campagna elettorale promettendo un celere ritiro delle truppe americane all'epoca dispiegate in Iraq.Insomma, il disimpegno dal Medio Oriente non lo ha inventato Trump ma è un'eredità lasciata da Obama (e condivisa per otto anni da Biden). E, del resto, è cosa nota che larga parte dell'elettorato statunitense non voglia più sentir parlare di guerre americane in giro per il mondo: a partire proprio da quella classe operaia della Rust Belt che i democratici stanno cercando di contendere a Trump in vista delle presidenziali del 2020. Sulla politica estera, l'Asinello sembra quindi afflitto da una certa schizofrenia.