Da mercoledì, sul sito della «Verità», arriva il docufilm sulla folle gestione pandemica, come mai è stata raccontata. Un’analisi inedita da accademici, giornalisti e scienziati.Conto alla rovescia per Covid-19, dodici mesi di pensiero critico: dal 15 febbraio, sul sito della Verità sarà disponibile il docufilm che racconta la pandemia da un punto di vista assai diverso rispetto a quello che ci è stato imposto, e mostra «l’altra storia» su ciò che essa ha rappresentato.Gli avvenimenti che si sono susseguiti in un crescendo kafkiano sono ripercorsi mese dopo mese (a partire da agosto 2021, data di introduzione del green pass) attraverso la testimonianza di chi formulava un’analisi che non è mai stato possibile leggere sui «grandi» giornali né esprimere in televisione. Quello che è accaduto sotto il cappello della crisi sanitaria ha segnato una cesura storica: ci è stato chiesto di non pensare più, di non fare domande, di non discernere; ma di indossare i paraocchi e accettare supinamente palesi illogicità, continue contraddizioni, plateali soprusi, spudorate menzogne e laceranti divisioni, senza curarci delle conseguenze e dei precedenti creati. Il lascito di questa esperienza è infatti una cittadinanza spaccata, incattivita, diffidente; e una società molto più sorvegliata, in cui libertà e diritti fondamentali possono essere trasformati in concessioni appena se ne presenti l’occasione. Mentre calava il sonno della ragione, c’era però chi vegliava: accademici, medici, giornalisti, economisti, studenti, religiosi, giuristi… persone anche molto diverse per formazione ed esperienze, ma accomunate dall’amore per l’uomo e la sua dignità intrinseca, che hanno posto questioni tuttora aperte e in molti casi anticipato ciò che oggi si avvera. Nel docufilm, che ne raccoglie il pensiero, si ragiona così di come il Covid abbia definitivamente sdoganato mutamenti che annunciano un nuovo autoritarismo e sono destinati a impattare sul nostro futuro: la falsificazione operata da informazione e politica mediante la trasformazione di una discutibile politica sanitaria in un fatto etico e l’obliterazione della democrazia per mano della tecnocrazia (il filosofo Andrea Zhok); il sovvertimento dello Stato di diritto classicamente inteso, laddove la libertà non è più radicata nella persona ma è tale in virtù del potere che la prevede e la attua (il costituzionalista Daniele Trabucco); la subordinazione dei diritti di cittadinanza a un lasciapassare - il green pass - estendibile a nuove emergenze e l’avvio di una gestione biopolitica della società (il sociologo Andrea Miconi); il sacrificio della salute individuale sull’altare di una presunta salute collettiva (il bizantinista Paolo Cesaretti); la riduzione continua di spazi di vita, che ricalca una condizione di prigionia e impedisce di vedere la realtà nel suo insieme (il geografo Alessandro Ricci).Tutti passaggi che evidenziano come si stia scivolando in un totalitarismo dove il potere, sfruttando la paura e militarizzando la società, entra nel profondo degli uomini e li trasforma in novelli agenti della Stasi (il filosofo Carlo Lottieri). Questo processo, fondato sulla creazione di un capro espiatorio (il «no vax»), ha provocato un’isteria collettiva, pericolosa poiché esasperata dai gestori del potere pubblico, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato (l’islamista Giuliano Lancioni). La rassegna di pensiero critico fotografa anche il misterioso allineamento di tutte le istituzioni - inclusi gli organi di garanzia costituzionale - sulla strategia di prevenzione del governo (il costituzionalista Vincenzo Baldini) e lo zelo conformista con cui si è comportato il mondo accademico (il filologo Francesco Benozzo). Cruciale l’analisi medico-scientifica: dalla perplessità sull’uso di vaccini considerati rischiosi, nei giovani per il potenziale pro-infiammatorio (il farmacologo Marco Cosentino) e nelle donne per la capacità di interferire con l’apparato riproduttivo (l’endocrinologo Giovanni Frajese); all’inspiegabile riluttanza del personale sanitario nel segnalare eventi avversi (il biologo Leonardo Guerra), nell’effettuare triage pre-vaccinale e nel concedere esenzioni (il cardiologo Giuseppe Barbaro). Una gestione insensata che, secondo lo scienziato Jay Bhattacharya, ha provocato ovunque sfiducia nelle istituzioni preposte alla salute pubblica.Non manca un’analisi sul ruolo della comunicazione, tramutatasi in marketing (il massmediologo Alberto Contri), del giornalismo che oscilla tra incompetenza e servilismo nei confronti dell’industria farmaceutica (la reporter d’inchiesta Serena Tinari) e di un’informazione pubblica che censura il dibattito e consente alle autorità di mentire spudoratamente (lo scrittore Thomas Fazi). Sul piano etico, viene smentita la retorica dell’obbligo vaccinale per il bene comune - che quando è autentico non contrappone mai salute e lavoro e permette di decidere in libertà di coscienza (il missionario don Antonello Iapicca) - e si denuncia il relativismo postumano che soggiace all’uso di farmaci a base mRNA (l’ex vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica, Luca Marini). Nel docufilm si spiega anche come il Covid abbia segnato l’entrata in una «permacrisi» (l’accademico Fabio Vighi) funzionale alla demolizione controllata di un sistema economico fallito (il documentarista Giorgio Bianchi) e a un enorme spostamento di investimenti in nuove direzioni (l’economista Vladimiro Giacché). Da queste, e molte altre testimonianze, emerge insomma un quadro inquietante, che porta a concludere che la pandemia, lungi dall’essere un episodio isolato, sia stato un caso di formazione di massa che introduce un distopico «mondo nuovo» (lo psicologo clinico Mattias Desmet). Appuntamento, dunque, il 15 febbraio per ascoltare la ragione che ha retto alla prova della pandemia; ed essere più pronti al domani che ci attende.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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