L'Italia partecipa al finanziamento del Coe. Un organismo extra Ue da cui dipende la Corte dei diritti dell'uomo ma che si occupa di gay pride, stila liste nere di partiti razzisti e stipendia 2.000 dipendenti.
L'Italia partecipa al finanziamento del Coe. Un organismo extra Ue da cui dipende la Corte dei diritti dell'uomo ma che si occupa di gay pride, stila liste nere di partiti razzisti e stipendia 2.000 dipendenti.Un bilancio da mezzo miliardo di euro, 2.000 dipendenti e una prestigiosa sede a Strasburgo. Ma anche una marea di progetti sconosciuti ai più, una grave e irrisolta crisi diplomatica con la Russia e un deficit da far rizzare i capelli. Tutto questo, e anche molto altro, è il Consiglio d'Europa. Da non confondere, come ci tiene a precisare lo stesso organo sul proprio sito ufficiale, con il Consiglio europeo, l'organismo che riunisce i capi di governo dei Paesi membri e definisce le priorità e gli indirizzi politici dell'Unione europea. E nemmeno con il Consiglio dell'Unione europea, il quale in una delle sue dieci formazioni (tra le quali il consiglio Ecofin) detiene il potere legislativo. Il logo, una lettera «e» bianca stampata sulla bandiera europea, può trarre in inganno. Ma in realtà il Consiglio d'Europa (Coe) non è nemmeno un'istituzione ufficiale dell'Unione europea, bensì un'organizzazione internazionale che dovrebbe occuparsi della difesa dei diritti umani e della promozione della democrazia. Fondato nel 1949, oggi conta 47 Stati membri, inclusi tutti e 28 i Paesi appartenenti all'Ue. Il Coe è uno dei tanti carrozzoni che gravitano nell'orbita europea e, cosa ancora più importante, viene foraggiato ogni anno da centinaia di milioni di contributi pubblici da parte degli Stati che lo compongono, nonché dalla stessa Unione.Diamo qualche numero. Nel 2019 il bilancio del Coe «pesa» 439 milioni di euro. L'ossatura è rappresentata dai contributi obbligatori, pari a circa 312 milioni di euro nel 2018, erogati in larga maggioranza dai cosiddetti «grandi contribuenti», ovvero Francia, Germania, Italia, Russia e Regno Unito. Da soli questi cinque Paesi hanno versato nelle casse del Coe ben 175,4 milioni, pari al 56,2% del totale delle contribuzioni. L'obolo per l'Italia è stato pari a 35,3 milioni, dei quali 27,5 per il budget ordinario, 3,2 milioni per il fondo pensione e la restante parte per altre voci di bilancio. Seguono a ruota Spagna (18,3 milioni), Turchia (14,6), Paesi Bassi (10,9), Svizzera (8,7) e Polonia (8,4). Oltre alla contribuzione obbligatoria, è contemplata anche quella volontaria. E guarda caso, nonostante a livello ufficiale non sussista un legame istituzionale vero e proprio, il più importante contributore volontario del Coe è proprio l'Unione europea. Dagli atti risulta che Bruxelles abbia versato all'organizzazione 38,6 milioni nel 2017 e 43,2 nel 2016. Si tratta pur sempre di soldi dei contribuenti europei (e dunque anche italiani), dal momento che la cassa da cui si attinge è quella del budget comunitario.L'operato del Coe si divide in tre macroaree: diritti umani, Stato di diritto e democrazia. La Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu), l'organo giurisdizionale istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali adottata dai Paesi del Consiglio d'Europa, rientra nel primo capitolo di spesa. Solo il mantenimento di questo apparato incide per ben 70,2 milioni di euro, oltre un terzo dei 210 milioni dedicati alla problematica dei diritti umani. Altri 5,8 milioni se ne vanno per l'esecuzione delle sentenze emesse. Ancora più costoso il direttorato per la Qualità dei medicinali e la salute (Edqm), l'organo che si occupa di stilare la farmacopea europea: a bilancio l'organo impegna ben 91 milioni. Più contenuti i budget dedicati alla democrazia (76,9 milioni) e allo Stato di diritto (38,8 milioni). Ma un quarto del totale se ne va per spese amministrative e legate ai servizi generali: in cima troviamo la spesa per pensioni (30,5 milioni), seguite da logistica (18,3), risorse umane (13,6) e sistemi informatici (8,9).Una delle tematiche più in voga al Coe, manco a dirlo, è l'integrazione delle popolazioni rom. Nel 2013 a tale scopo è stato inaugurato il progetto Romact, che nel giro di cinque anni ha cofinanziato progetti in Romania e Bulgaria per oltre 13 milioni di euro (105 città finanziate per 25.000 euro l'anno). Esempi: l'asfaltatura delle strade in un paesino di 12.000 abitanti del nord della Romania, la costruzione di 48 appartamenti in una città nei pressi del mar Nero e il reclutamento di 6 mediatori linguistici in Bulgaria. Se parliamo di fondi assegnati a Ong e altre associazioni, nell'ambito di Romact sono stati finanziati 42 bandi per un totale di 2,1 milioni di euro.L'altro, irrinunciabile fronte sul quale il Coe è sempre in prima linea riguarda invece i diritti degli individui Lgbt. Da segnalare la presenza ufficiale dell'organizzazione al gay pride svoltosi a Strasburgo a giugno del 2018, con tanto di gonfalone in bella mostra durante la sfilata. Ma le iniziative in questo campo sono numerose: si va dalla conferenza sulla vita delle famiglie Lgbt, presieduta dal vicesegretario generale, Gabriella Battaini-Dragoni, con tanto di testimonianza di una famiglia arcobaleno; al corso di formazione per i «guardiani contro l'hate speech» su Internet; fino ad arrivare al seminario «Essere rom e gay: al crocevia della discriminazione». Più di recente, invece, ha fatto discutere un report nel quale si denuncia un aumento dell'incitamento all'odio, al razzismo e alla xenofobia da parte di alcuni partiti e politici continentali, compresi la Lega e l'onorevole Paolo Grimoldi. Nel mirino, la formazione di un nuovo gruppo sovranista in vista delle prossime elezioni europee.Nonostante la dotazione pari a quasi mezzo miliardo di euro l'anno, negli ultimi tempi il Consiglio d'Europa è fisso in bolletta. Nel 2017 il deficit ha toccato quota 79,8 milioni di euro, facendo segnare un rosso più profondo di 12,8 milioni rispetto al 2016, quando il bilancio aveva chiuso in perdita di 67 milioni. La relazione economica finale mette in evidenza un aumento di ben 34,4 milioni di spese operative, 23,3 milioni dei quali legate a maggiori costi del personale. Complessivamente, le persone impiegate al Coe sono oltre 2.000, per una spesa complessiva di 143,7 milioni di euro prevista nel 2019. Ma la colpa del cattivo andamento dei conti viene in gran parte attribuita al mancato pagamento dei contributi obbligatori da parte della Russia, una delle «cinque sorelle» del Coe. La crisi con Mosca risale all'aprile del 2014 quando, a seguito dell'annessione della Crimea, l'assemblea parlamentare del Coe (324 membri in rappresentanza dei 47 stati membri) sospese il diritto di voto ai 18 parlamentari russi. Dopo aver rinnovato la sanzione anche per l'anno seguente, nel 2017 il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ufficializzò la decisione di sospendere integralmente e fino a nuovo ordine il pagamento del contributo obbligatorio annuale (pari a circa 33 milioni di euro). «Dal momento che non ci permettono di partecipare al processo decisionale, riteniamo giusto non pagare», ha commentato laconico Vyacheslav Volodin, speaker della Duma. Per rappresaglia, come spiega Cono Giardullo su Affarinternazionali.it, proprio il «Parlamento russo ha approvato una legge che permette alla Corte costituzionale di ribaltare le decisioni, altrimenti vincolanti, della Corte europea dei diritti dell'uomo». La chiusura dei rubinetti da parte della Russia ha coinciso con un'altra defezione finanziaria, quella della Turchia. Piccata dalla pubblicazione di un durissimo report sulle violazioni in materia di libertà di espressione, Ankara ha ridotto sensibilmente il proprio contributo al Coe, ritirando dopo appena un anno lo status di «grande contribuente» per il quale aveva optato nel 2016. E come si suol dire: no money, no party. Paralizzato dalla mancanza di fondi, il Coe si è trovato a rallentare le attività e mettere nel congelatore alcuni progetti. Per questo motivo, i vertici dell'organizzazione si sono mossi auspicando una normalizzazione dei rapporti con la Russia. Lo scorso gennaio il segretario generale del Coe, il norvegese Thorbjorn Jagland, ha duramente redarguito l'assemblea parlamentare: «La decisione di privare la delegazione russa del diritto di voto non ha portato al ritorno della Crimea all'Ucraina, né migliorato la situazione dei diritti umani in Russia. Ha al contrario fatto sorgere una crisi all'interno dell'organizzazione. Pertanto, esorto l'assemblea e il comitato dei ministri (l'organo che riunisce i ministri degli Esteri degli Stati membri, ndr) a riunirsi attorno allo stesso tavolo e avviare discussioni concrete per chiarire i regolamenti e la ripartizione dei poteri in modo da rafforzare l'autorità dell'organizzazione». Cosa non si fa pur di trovare i soldi necessari a mandare avanti la baracca.
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