
Il capo politico intende chiudere col Pd a partire dalle prossime regionali. Però Beppe Grillo, Roberto Fico e Davide Casaleggio hanno deciso l'esatto opposto. Tolto qualche esponente locale, Giggino è isolato e pare destinato a sparire. Solo e assediato. Il capo politico del M5s, dopo la disfatta elettorale in Umbria, è sempre più isolato con la sua doppia idea per il futuro: avanti col governo, indietro sulle alleanze locali. A non pensarla come lui, oltre a Beppe Grillo («non gli consentirò di far saltare l'alleanza col Pd»), ci sono Roberto Fico («Guai a fermare la costruzione dell'alleanza»), Giuseppe Conte («Pensaci Luigi, bisogna immaginare un'alleanza organica»), ma c'è anche Davide Casaleggio, interessato a mantenere il potere senza preoccuparsi troppo di cosa può succedere al capo politico. Eppure, fino a 15 giorni prima del voto, Di Maio prometteva, senza avere però la forza di decidere: «Noi non proponiamo alleanze regionali con il Pd, noi al massimo proporremo altri patti civili, per liberare le Regioni dalle correnti, dai partiti». E così, dopo aver detto che l'alleanza Pd-M5s nell'esperimento umbro non ha funzionato, ieri ha ribadito: «Nelle Regioni credo che potremmo metterci insieme con i movimenti che si occupano di molti temi del territorio, non con altri partiti». Nel corso della registrazione del Maurizio Costanzo Show (dove si è anche esibito come cantante, intonando Napul'è di Pino Daniele) ha sottolineato: «Il M5s per 10 anni è andato sempre da solo alle regionali, ha anche fatto buoni risultati. Ci dicevano da anni che stando insieme rappresentavamo un'alternativa, ma noi la rappresentiamo quando andiamo al di là di destra e sinistra. Essere post ideologici oggi è più complicato». Soprattutto se dalla lotta si passa al governo: il M5s, nato 10 anni fa come espressione antisistema, dal sistema politico ora proprio non vuol staccarsi e si tiene strette le poltrone. Sempre in tv, dopo un passaggio su Matteo Salvini («Abbiamo saputo per vie traverse che aveva cambiato idea. Dopo 14 mesi ci ha lasciato col cerino in mano»), Di Maio ha sottolineato il ruolo del premier: «Con quel passo indietro abbiamo dato un presidente del Consiglio all'Italia, Conte, di cui sono molto orgoglioso». Il pubblico in sala non ha apprezzato - anzi ha protestato - tanto che è intervenuto lo stesso Costanzo a redarguirlo. Il ministro degli Esteri ha risolto così: «Ognuno ha le proprie opinioni…».È chiaro che Di Maio tema uno stillicidio per il Movimento 5 stelle - oltre che per l'esecutivo - visto che da qui a primavera i test elettorali regionali saranno ben otto, a partire dal 26 gennaio in Emilia Romagna, ma sa anche che per riconquistare la base elettorale serve un programma politico che ricordi quello originale, non quello del contratto nazionale, tanto che il M5s (in emorragia di consenso) potrebbe anche non presentarsi «se non saremo pronti». Di Maio sa già, e lo ha detto a Conte, che «in Emilia i miei non vogliono sentir parlare di Bonaccini», mentre nella Calabria di Mario Oliverio, per quanto riguarda Nicola Morra e altri luogotenenti, di siglare intese con i dem non se ne parla neppure (anche se Calabria e Liguria sono le regioni dove il Pd potrebbe lasciare al M5s il candidato). In Campania invece c'è il problema di Vincenzo De Luca, insormontabile per Di Maio. Anche perché proprio i flussi di voto in Umbria hanno dimostrato come l'elettorato pentastellato sia fluido e ondivago: il 33,1% degli elettori persi per strada dal Movimento 5 stelle ha scelto l'astensionismo ma una parte dei delusi - pari al 13,5% del totale - si è spostata a destra: il 6,9% ha votato Fdi e il 6,6% Lega. Se Di Maio è convinto che l'abbraccio col Pd sia mortale per il M5s perché indigesto per gli elettori, il tentativo di coprirsi a destra per arginare la Meloni è impraticabile per mancanza di spazio politico oltre che di condivisione all'interno del M5s stesso. Dalla sua, infatti, l'ex vicepremier può contare su pochi fedelissimi fra cui Bonafede, Fraccaro, Spadafora, Battelli - che però non capisce perché buttare tutto via così di fretta - Buffagni che gli chiede di allargare la squadra, mentre a Montecitorio e Palazzo Madama sono centinaia i grillini interessati a mantenere la stabilità giallorossa anche a livello locale. Tra questi la gran parte dei candidati all'uninominale provenienti dalla società civile, la fronda di 50 «moderati» al seguito di Giorgio Trizzino - considerato in ottimi rapporti con Mattarella - che oltre a chiedere una sorta di congresso, dice convinto: «Indietro non si torna. Il percorso con il centrosinistra è irreversibile. Dobbiamo costruire un'area vasta, progressista e liberale». Per il senatore Primo Di Nicola l'alleanza col Pd «non va archiviata ma valutata caso per caso. Soprattutto bisogna che gli attivisti eleggano le cariche all'interno del M5s, compreso il capo politico». Poi ci sono tanti che prima seguivano Di Maio e ora gli preferiscono Conte, come Luigi Gallo (dell'area di Fico ma un fedele del premier). Proprio per lasciare ai diretti interessati la scelta dell'alleanza, c'è stato un incontro con i parlamentari di Calabria ed Emilia Romagna, prossime regioni alle urne. Oggi invece l'assemblea dei deputati dovrebbe eleggere il capogruppo al posto dell'uscente Francesco D'Uva e c'è chi assicura che emergerà con prepotenza un profilo decisamente anti Di Maio.
Maurizio Landini (Ansa)
- Aumentano gli scontenti dopo il divorzio dalla Uil. Ma il leader insiste sulla linea movimentista e anti Meloni In vista di elezioni e referendum è pronto a imporre il fedelissimo Gesmundo come segretario organizzativo.
- Proteste contro l’emendamento che chiede di comunicare 7 giorni prima l’adesione.
Lo speciale contiene due articoli.
Da mesi, chi segue da vicino le vicende del sindacato e della politica economica del Paese si pone una domanda, se vogliamo banale: ma è possibile che di fronte alla trasformazione della Cgil in una sorta di movimento d’opposizione al governo, ai continui no rispetto a qualsiasi accordo o contratto di lavoro che possa coinvolgere la Meloni e a cospetto di un isolamento sempre più profondo, non ci sia nessuno che dall’interno critichi o comunque ponga qualche domanda a Maurizio Landini?
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.






