2019-05-31
Di Maio ringrazia il televoto. In 45.000 gli blindano la poltrona
Sulla piattaforma online Rousseau l'80% dei votanti lo conferma capo politico del Movimento. Lui commenta: «Non mi monto la testa, serve umiltà». Ma da oggi la pacchia è finita: la sua leadership sarà commissariata.Più infallibile dell'oracolo di Delfi, più affidabile della Sibilla cumana, più scontata di un'ordalia medievale, ieri la piattaforma Rousseau ha emesso il responso elettronico su Luigi Di Maio. Ed è stato un Sì al 79,9%. Così, come tutti si aspettavano, 44.849 attivisti grillini su un totale di 56.127 votanti hanno deciso che continuerà a essere lui il «capo politico del Movimento 5 stelle». Il giorno del giudizio informatico, per Di Maio e un po' anche per l'esecutivo, è durato dalle 10 alle 20. Alla fine, Di Maio è riuscito a cavarsela egregiamente. Bersagliato sul «Sacro blog» grillino da molti commenti critici per la disastrosa sconfitta alle europee del 26 maggio, politicamente infragilito dal risultato elettorale più basso degli ultimi sei anni, il leader del M5s aveva il disperato bisogno d'immergersi in un lavacro elettorale in qualche modo favorevole. Ieri, però, Di Maio era serenissimo. In mattinata aveva pubblicato su Facebook un invito al voto condito da frasi grondanti ottimismo: «Il M5s non perde mai, o vince o impara. E adesso stiamo ripartendo. Torneremo più forti di prima, ve lo assicuro. Torneremo più forti degli altri e cambieremo davvero questo Paese, come abbiamo iniziato a fare in questo primo anno di governo!». In serata, a voto incassato è stato più zen: «Non mi monto la testa, è il momento di essere umili». Del resto, già mercoledì Di Maio aveva incassato l'avallo ad andare avanti del fondatore Beppe Grillo, tornato a bordo campo dopo mesi di apparente disimpegno: «Luigi non ha commesso un reato e non è esposto in uno scandalo», aveva detto Grillo, «e questa giostra di revisione della fiducia è eccessiva: ora deve continuare la battaglia». Anche Davide Casaleggio gli aveva telefonato, per rassicurarlo e per invitarlo a proseguire. Perfino Alessandro Di Battista, l'umbratile leader alternativo che da mesi svolazza in cerchio su Di Maio con la levità di un avvoltoio in cerca di preda, ieri (sia pure con una punta di veleno) gli ha dichiarato piena solidarietà: «Abbiamo fatto un mucchio di cazzate, ma chi è in difficoltà non va lasciato solo».In effetti, il referendum online non garantisce affatto a Di Maio la piena intoccabilità. Di Battista ha annunciato che ora servirà «una strutturazione migliore del Movimento», e che questo «non sarà un compito solo in capo a Luigi». Lo stesso Di Maio ha annunciato, in caso di riconferma, che «dobbiamo cambiare delle cose e avviare una nuova organizzazione». Da oggi, quindi, sarà probabile una conduzione più «plurale» del partito e delle politiche governative. Si dibatte addirittura se sia il caso di creare una «segreteria politica» cui potrebbero partecipare forse lo stesso Di Battista e il presidente della Camera Roberto Fico. Si fanno i nomi anche della vicepresidente del Senato Paola Taverna e del sindaco di Torino Chiara Appendino. C'è poi chi si aspetta che dal ribaltamento degli equilibri di forza uscito dalle urne - con la Lega passata in un anno dal 17,4 al 34,33% e i 5 stelle dal 32,7 al 17,07% - domani possa scaturire un mezzo rimpasto: magari per togliere proprio a Di Maio uno dei due importanti ministeri che occupa dal giugno 2018. Negli ultimi giorni, del resto, dalla pattuglia parlamentare grillina si sono levate molte voci a contestare l'eccessiva concentrazione d'incarichi sulla testa del leader, che al momento è anche vicepremier, ministro del Lavoro e ministro dello Sviluppo economico. A prendere posizione sul tema è stata gente di peso, nel Movimento, e lo ha fatto con toni altrettanto pesanti: dal senatore Gianluigi Paragone («Per ripartire abbiamo bisogno di una leadership h24 e dobbiamo passare dall'Io al Noi»), alla presidente della commissione Finanze della Camera, Carla Ruocco («È legittimo chiedersi se sia opportuno che una sola persona concentri tutti questi incarichi, anche alla luce di un risultato che ha visto delusi 6 milioni di elettori»). La senatrice Elena Fattori, che spesso ha incarnato l'anima critica e «pura» del M5s, ha lanciato l'a reprimenda più dura: «In tempi non sospetti avevo detto che Di Maio non avrebbe dovuto ricoprire tutti quei ruoli, e infatti non ne ha fatto bene nessuno. Luigi non ha alcuna forza come leader perché non è cresciuto da nessuna parte, non è un Enrico Berlinguer: è una persona che rappresentava un popolo e ha sbagliato a volersi blindare».È vero che ieri, mentre il popolo grillino correva online a premere il pulsante del referendum pro Di Maio, questa ondata di critiche veniva sommersa da un piccolo tsunami di dichiarazioni d'appoggio al leader. Ma l'idea di sfilare al leader almeno un dicastero potrebbe non essere del tutto irreale. Dal 27 maggio Matteo Salvini nega con forza di volere una sola poltrona in più per i suoi, ma probabilmente non disdegnerebbe un leghista allo Sviluppo economico, anche perché vuole rilanciare l'attività di governo proprio su tasse e grandi opere. E dovrà bilanciare l'uscita dal governo di Edoardo Rixi, il viceministro alle Infrastrutture di cui il M5s a metà maggio chiedeva la testa perché indagato per corruzione, che ieri si è spontaneamente dimesso perché condannato a Genova per peculato a tre anni e cinque mesi.
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