2019-11-27
Deutsche Bank ci mandò un pizzino. «All’Italia servono Mes e riforme»
Un anno fa, poco prima della proposta di revisione del trattato, sul «Financial Times» il capo economista dell'istituto di credito tedesco proponeva la soluzione ai nostri problemi: proprio il Meccanismo di stabilità.Da un po' di tempo a questa parte sull'Italia piovono polpette. Non si tratta, purtroppo, dei gustosi manicaretti che piombavano dal cielo nell'omonimo film d'animazione andato in scena nei cinema qualche anno fa. Quelli che Bruxelles vorrebbe rifilarci, semmai, somigliano sempre più a pericolosi bocconcini avvelenati. La prime avvisaglie della mala parata si erano già avute a giugno del 2018, con la firma dell'accordo francotedesco di Meseberg. Con la scusa ufficiale di «rinnovare le promesse europee di sicurezza e prosperità», Parigi e Berlino posarono la prima pietra della sciagurata riforma del Meccanismo europeo di stabilità, in procinto di essere approvata alla fine di quest'anno. Riguardo al Mes, il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel si trovarono d'accordo in particolare su quattro punti fondamentali. Primo: ribadire e rafforzare, la condizionalità dei prestiti concessi. Secondo: promuovere un ruolo più importante nella pianificazione dei programmi di aiuto. Terzo: affidare al Mes la capacità di «valutare la situazione economica complessiva dei Paesi membri, contribuendo alla prevenzione delle crisi». Quarto: introdurre le clausole di azione collettiva (Cac) cosiddette «single limb», in grado di agevolare la ristrutturazione del debito pubblico. Tutti elementi molto pericolosi per l'Italia, sui quali - evidentemente non a caso - si sarebbe basata la proposta di revisione del trattato sul Mes, avviata con l'Eurosummit del 14 dicembre 2018 e sulla quale l'Eurogruppo ha raggiunto il 13 giugno 2019 un «broad agreement» (cioè un ampio accordo).Nel frattempo, a novembre del 2018, per il nostro Paese era in arrivo un altro «pizzino». Ma stavolta il mittente dei consigli non richiesti per la gestione del nostro debito non era la Commissione europea, né tanto meno un altro Stato membro, bensì una banca privata. Con un editoriale pubblicato sull'autorevole Financial Times il capo economista di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, tirava fuori dal cilindro una vera e propria perla di saggezza. «Un'altra crisi del debito sovrano nell'area euro è inevitabile, a meno che l'approccio della Commissione europea al debito italiano non ceda il passo a una maggiore cooperazione», esordiva apocalittico l'economista tedesco, «l'imminente deterioramento della posizione fiscale dell'Italia - trainato dall'aumento dei rendimenti obbligazionari, dal rallentamento della crescita e dalla prossima recessione -e la situazione politica stanno preparando il terreno a ulteriori turbolenze nei mercati». Può essere utile ricordare che l'intervento di Folkerts-Landau risale esattamente al periodo durante il quale era in corso la trattativa di fuoco tra il governo e Bruxelles per la possibilità di aprire una procedura di infrazione sul debito. Sorprendentemente, nelle righe che seguono, il dirigente difende il nostro Paese: «Contrariamente ai pregiudizi diffusi, l'Italia è stata un Paese parsimonioso. Il peso del suo debito è un retaggio del periodo precedente all'ingresso nell'eurozona. Da allora ha registrato un avanzo primario di bilancio (entrate superiori alle spese, al netto della spesa per interessi) quasi ogni anno. In confronto, tutti gli altri Paesi della zona euro, ad eccezione della Germania, hanno accumulato disavanzi primari anno dopo anno. Dal 2000 il nuovo debito dell'Italia è stato tutto utilizzato per pagare gli interessi; non per finanziare la spesa». L'opzione della ristrutturazione del debito viene definita «inconcepibile», e il coinvolgimento degli investitori giudicato improbabile. Fin qui nulla da dire.La soluzione proposta, invece, lascia di stucco. Da parte del nostro Paese, secondo Folkerts-Landau, «dovrebbe essere coinvolto il Meccanismo europeo di stabilità, finanziando un riacquisto di parte del debito ad alto costo» il cui interesse «dovrebbe essere pagato quando l'economia italiana raggiungesse una maggiore produttività e una maggiore crescita». Ovviamente, nella «bozza di questo grande accordo» - così la chiama l'economista tedesco - non poteva certo mancare il «cetriolo». Se da un lato l'Europa è chiamata a «riconoscere che la soluzione al peso del debito non è semplicemente l'austerità», d'altro canto il nostro Paese «deve accettare che miglioramenti duraturi nella crescita non saranno raggiunti senza le riforme strutturali».Tutto chiaro? Proprio nel bel mezzo di uno dei momenti più tesi e delicati dei rapporti tra Roma e Bruxelles, il nostro Paese viene dato per spacciato. Un esponente di spicco di una banca straniera afferma su un blasonato mezzo di stampa internazionale che è necessario per l'Italia chiedere aiuto al Mes, non prima però di essersi legata mani e piedi con la promessa di realizzare non meglio precisate riforme strutturali. Senza contare poi il tempismo dell'intervento, pubblicato appena un mese prima del citato vertice europeo che avrebbe deciso le sorti del nuovo fondo salva Stati. L'intero dibattito si svolge, anziché nelle appropriate sedi, completamente sottotraccia. Esattamente come sta avvenendo oggi, con la riforma del Mes che si avvia all'approvazione nel totale silenzio anche della stampa estera di quei Paesi che, al pari dell'Italia, ne risulterebbero più danneggiati.
Jose Mourinho (Getty Images)