
Dal ministero della Salute la bozza sul funzionamento degli organismi che dovranno fornire pareri su tutte le richieste di suicidio assistito e decidere come assicurare la «dolce morte». Intanto il Piemonte boccia la legge sul fine vita dell’associazione Coscioni.«Siamo stanchi di aspettare questo Godot». Il presidente della Consulta, Augusto Barbera, cita Samuel Beckett per pungolare il Parlamento che traccheggia sull’eutanasia. Eppure, il ministero della Salute procede. Ha appena inviato alla Conferenza Stato-Regioni una bozza che recepisce proprio la sentenza della Corte costituzionale del 2019. C’è scritto: i comitati etici territoriali saranno «competenti a rendere il parere in materia di suicidio assistito». Dovranno dare un giudizio etico su ogni richiesta. Per valutare se ci sono le condizioni, intanto. E poi, eventualmente, per stabilire come somministrare la dolce morte.Insomma, considereranno ogni caso: «La capacità di autodeterminazione del paziente, il carattere libero e informato della scelta espressa, nonché il coinvolgimento dell’interessato in un percorso di cure palliative». E bisognerà anche sentire familiari o amministratori di sostegno, assieme agli specialisti. Alla fine, sarà dato il parere. La bozza inviata dal ministero specifica anche, in questi casi, la composizione dei comitati etici territoriali: devono essere integrati con esperti esterni.È una bozza ministeriale. Dovrà essere approvata. Ma rievoca comunque il fine vita all’emiliano-romagnola, approvato in Consiglio regionale più di un mese fa. Tra una selva di polemiche, tra l’altro. La Regione guidata da Stefano Bonaccini è stata la prima a dotarsi di tempi e procedure certe sull’eutanasia: dalla richiesta alla risposta non potranno passare più di 42 giorni. Ci sono già le linee di indirizzo. E, soprattutto, un’apposita delibera. Delibera, appunto. Non legge. Quella che doveva essere discussa in Aula. Ma la giunta, temendo che la maggioranza andasse in frantumi, ha preferito far da sé. Com’era già successo in Veneto, del resto. La legge sul fine vita è stata respinta grazie all’astensione di Anna Maria Bigon, piddina renitente.Il Piemonte, dove si vota a giugno, fa invece una scelta opposta. Proprio ieri, mentre il testo sui comitati etici viene inviato alla Conferenza-Stato Regioni, è stato bocciato il progetto di legge dell’associazione Coscioni, indomita vessillifera della causa. Proponeva di definire procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito. Passando dal voto in Consiglio. Proprio come avrebbe dovuto fare lo scaltro Bonaccini che, invece, ha preferito evitare un periglioso sabotaggio dei cattolici piddini e la conseguente figura barbina. Mandrakata un filino autoritaria.Invece, pensa un po’, nella Regione guidata dal forzista Alberto Cirio, governatore in corsa per la riconferma, hanno deciso di fare le cose con un’audace scelta di impronta democratica. Ovverosia: lasciando i consiglieri liberi di scegliere. Risultato: ventitré sì, dodici no, un astenuto e un altro non votante. Viene così approvata la pregiudiziale di costituzionalità. La proposta degli ex radicali è, dunque, considerata in contrasto con le competenze statali. Insomma, dev’essere il governo a legiferare. E non le singole Regioni. «Hanno sbattuto il portone del palazzo in faccia alle persone che soffrono. La maggioranza dei consiglieri si è nascosta dietro a obiezioni formali del tutto infondate», commenta il tesoriere dell’associazione Coscioni, un furente Marco Cappato, che aveva raccolto 11.000 firme per presentare la legge di iniziativa popolare. Sforzo che l’arcidiocesi di Torino, qualche giorno fa, contestava vivacemente: «Con quale serietà si propone che le Regioni decidano sulla soppressione della vita umana ciascuna per proprio conto, in ordine sparso, regolando diversamente la morte dei piemontesi rispetto a quella dei siciliani o degli abruzzesi?».Lo scorso lunedì, per esemplificare lo stallo alla messicana, Barbera cita invece polemicamente un capolavoro del teatro dell’assurdo: Aspettando Godot, appunto. La citazione letteraria esemplificherebbe l’ammorbante attesa a cui è costretta la Corte costituzionale vista la «persistente inerzia legislativa» sul fine vita. Dovesse perdurare, aggiunge, alla sua Consulta toccherà intervenire d’impero. Come è solita fare, tra l’altro. E quasi sempre con impronta ultra progressista. D’altronde, nota Barbera, «le Regioni vanno sempre più moltiplicando le iniziative, a supplenza del parlamento che non è intervenuto».Pensa alla sua Emilia-Romagna, innanzitutto. E alla diabolica trovata di Bonaccini, per scansare polemici e refrattari. Invece, il governatore s’è trovato mezzo partito contro. Con Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che ha mostrato scetticismo persino sulla fondatezza della delibera: «Gli impianti giuridici che stabiliscono il diritto alla morte sono degli inganni e sono di dubbia validità». Intanto il Pd annuncia, cum magno gaudio, che il prossimo 26 marzo comincerà la discussione del disegno di legge sul fine vita alla Commissione Giustizia del senato. I frementi giudici costituzionali si rasserenino: la beckettiana attesa sta per finire.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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