2022-06-22
«La classe dominante rappresenta meno di un quarto degli elettori»
Alain De Benoist (Getty Images)
Il pensatore transalpino Alain De Benoist: «Il liberalismo autoritario ha stancato il popolo, che chiede più spazio di dibattito e meno precarietà».Alain De Benoist è, da decenni, uno dei più coraggiosi intellettuali europei, capace di sostenere posizioni lontane dal pensiero prevalente e di sfuggire agli stereotipi di ogni colore. Il pensatore francese ha scritto molto in questi anni sulla libertà di pensiero e sulla deriva autoritaria del sistema liberale. Una degenerazione di cui stiamo da qualche tempo facendo anche noi le spese, come dimostrano gli anni del Covid e le recenti liste di proscrizione dei «putiniani». De Benoist ha parlato di questi temi nel corso di 1984, il talk show che va in onda questa sera su Byoblu (canale 262 del digitale terrestre) e che trasmetterà la versione integrale della conversazione. Di recente è uscito in Italia il suo saggio La nuova censura. Contro il politicamente corretto (Diana). Negli ultimi due anni - prima riguardo alla pandemia di Covid e poi sulla guerra in Ucraina – abbiamo assistito a una restrizione della libertà di critica. È un fenomeno normale secondo lei?«No, non è normale, chiaramente. Quello che vediamo oggi è un fenomeno relativamente nuovo, che potremmo chiamare “liberalismo autoritario”. In Francia Emmanuel Macron è rappresentativo di questa nuova classe, chiamiamola così, che è profondamente liberale ma che, allo stesso tempo, tenta di mettere una museruola sul popolo, di impedire che si esprima. Tenta in qualche modo di governare senza il popolo».Pensa che questo fenomeno sia destinato a durare e che nel prossimo futuro subiremo analoghe restrizioni su altri argomenti? «Direi che ci sono due dinamiche in corso, opposte. Viviamo in delle società dove si è sempre più connessi e sottomessi ad un controllo permanente e, allo stesso tempo, assistiamo alla crescita della collera, della protesta, dello scontento che, a volte, esplode. In Francia lo abbiamo visto con i gilet gialli. Sempre restando sulla Francia, qui abbiamo appena avuto le elezioni, che hanno sancito l’entrata di quasi 90 deputati di Rassemblement national al Parlamento. Questo cosa testimonia? Che la gente sopporta sempre peggio questo discorso autoritario, questa mancanza di libertà, questa assenza di dibattito. Allo stesso tempo, sopporta sempre meno il degrado delle condizioni di esistenza quotidiana, il degrado del potere d’acquisto, il degrado dell’occupazione, il declassamento delle classi medie che vanno a rafforzare le classi popolari, la precarietà che è diventata la regola generale».Crede che i partiti di opposizione (ad esempio quello guidato da Marine Le Pen), molto critici verso il sistema dominante, possano effettivamente produrre un cambiamento? Oppure sono anch’essi destinati a venire inglobati dal «liberalismo autoritario»?«Penso che la risposta sia nel mezzo. Non ci sarà una modifica totale del tipo di società in cui viviamo, è evidente. Non mi aspetto che delle consultazioni elettorali, delle elezioni, cambino radicalmente un Paese. Però ci saranno comunque, sì, delle trasformazioni. La conseguenza del successo di Marine Le Pen, ad esempio, è che Emmanuel Macron ha perso la legittimità e non riuscirà a governare. La Francia è diventata ingovernabile. Le forze di opposizione, indipendentemente da quali siano, rappresentano oggi circa due francesi su tre. Quindi è difficile governare in nome di una nuova classe dominante che rappresenta comunque meno di un quarto della popolazione e degli elettori».Prima accennava alla società sorvegliata. Con la pandemia abbiamo assistito a un’esplosione dei sistemi di controllo. Pensa che siano destinati a permanere? Riusciremo in futuro a tenere sotto controllo l’avanzata della tecnologia e di questi suoi aspetti oscuri? «Quello sulla tecnologia non è mai un discorso neutro. Molti pensano che tutto dipenda dall’uso che si fa della tecnologia, buono o cattivo. Ma si sbagliano. Nell’essenza della tecnologia c’è qualcosa che ci porta in una direzione strutturalmente cibernetica. Il modo in cui si sviluppano le macchine, le nuove tecnologie e biotecnologie, l’intelligenza artificiale, la connessione quotidiana delle nostre vite… Tutto questo avrà evidentemente delle conseguenze, che potrebbero condurci a una mutazione antropologica. Ma come dicevo prima parlando delle dinamiche opposte in atto, anche questa mutazione antropologica incontra delle resistenze». Queste resistenze possono ottenere risultati, fermando i processi in corso?«Io credo che ci siano ancora delle possibilità. Faccio un esempio. L’epidemia di Covid è stata evidentemente un momento molto importante, direi che stato un modo di testare su grande scala il grado di docilità che possiamo ottenere all’interno delle nostre popolazioni. E’ stata utilizzata la paura, terrorizzando la gente. C’è stata una sovrastima della gravità della pandemia per terrorizzare le persone e far loro accettare certe cose. Ebbene, questo non è stato accettato da tutti. Non si può impedire alle persone di uscire di casa, di abbracciarsi, di incontrarsi e bere il caffè: o, meglio, è possibile farlo ma per un tempo molto limitato». Insomma, da un lato c’è la tendenza a esasperare i cambiamenti anche antropologici, dall’altro però emerge la resistenza delle persone. «Lo abbiamo visto: ci sono dei limiti». Un’ultima domanda sulla crisi Ucraina. Lei ha scritto che si tratta di un modo di colpire e indebolire l’Europa. «Io penso che la guerra in Ucraina sia un avvenimento storico, tragico, drammatico. Chiaramente non ho piacere a vedere russi e ucraini combattere e massacrarsi gli uni con gli altri; bisogna però vedere come ci siamo arrivati. Le responsabilità americane e le responsabilità della Nato mi sembrano schiaccianti. Montesquieu diceva che bisogna distinguere chi scatena le guerre da chi le rende inevitabili. La Russia ha scatenato questa nuova fase della guerra. Ma l’Occidente ha fatto di tutto per provocare e umiliare la Russia, e obbligarla, in qualche modo, a lanciarsi in questa avventura. Abbiamo cercato di portare l’Ucraina verso l’Occidente, abbiamo cercato di spostare le basi della Nato sempre più vicino alle frontiere russe: ed è evidente che ciò sia risultato inaccettabile per Vladimir Putin. Secondo voi ci potrebbe essere un presidente americano che accettasse di far installare missili russi in Canada o in Messico? No, sicuramente. Allora perché Putin avrebbe dovuto accettare che dei missili della Nato, dei missili occidentali, venissero installati sulle sue frontiere?». Come andrà a finire?«Ci sono due grandi perdenti in questa guerra. Il primo perdente è, purtroppo, lo sfortunato popolo ucraino che è stato preso in ostaggio, è stato utilizzato dagli americani come scudo anti russo: e ora ne sta pagando il prezzo. E l’altro grande perdente è l’Europa, sono gli europei, che sono stati incapaci di giocare un ruolo di arbitro. E questo è avvenuto perché gli europei non sono a loro volta indipendenti dagli Stati Uniti. Quindi sono allineati alle posizioni americane. Questo è un comportamento irresponsabile e pericoloso, non sappiamo neanche a chi finiranno le armi che abbiamo mandato a Kiev, probabilmente molte finiranno a gruppi mafiosi e terroristi. Il fatto è che prima o poi bisognerà parlare ai russi. Non si fa la pace con gli amici: si fa la pace con i nemici, anche se è molto più difficile. Bisogna rispettare sia gli interessi europei sia quelli russi. Ma non ci sono segnali che si stia andando in questa direzione. Gli americani giocano un ruolo e vogliono che la guerra si prolunghi il più a lungo possibile per esaurire la Russia, per rendere la collera ucraina irreversibile e per poter tratte tutti i benefici da questa situazione. Quindi è un problema molto complesso. Bisogna capire che ci sono due guerre in Ucraina in questo momento: una guerra tra Ucraina e Russia e una guerra degli Stati Uniti, della Nato e dell’Europa contro la Russia».