True
2023-08-05
De Luca indagato per il suo «pre green pass»
Vincenzo De Luca (Imagoeconomica)
Visto il piglio nordcoreano, gli hanno affibbiato un soprannome conseguente: Vin Chen Zin. De Luca ne va fiero. «Siamo sulla linea di Kim II-Sung», ha ammesso qualche settimana fa il governatore campano. Adesso però la Corte dei conti lo indaga per il più incomprensibile dei suoi spunti autoritari: il pre green pass che aveva inutilmente imposto ai suoi sudditi. Impipandosene delle leggi nazionali e scavalcando la carta verde ministeriale. Risultato: un supposto danno erariale di 3,7 milioni di euro, di cui quasi 1 milioncino, ovvero il 25 per cento della spesa, a suo carico. La Procura contabile della Campania gli ha notificato un invito a dedurre: ossia l’avviso di un’indagine contabile, arrivato anche ad altri cinque ex componenti dell’Unità di crisi regionale istituita durante la pandemia.
Insomma, la trovata di Don Vincenzo sarebbe stata un’inutile spreco per le già martoriate finanze del suo regno. L’avevano chiamata «smart card». Avrebbe dovuto attestare la vaccinazione e disciplinare l’esistenza ai tempi del Covid. Un pre green pass, appunto. Annunciato il 26 marzo 2001 durante una delle sue scoppiettanti dirette Facebook. Distribuito per cinque mesi. E poi sospeso per manifesta inutilità e irregolarità dopo l’introduzione del certificato verde nazionale.
L’indiscusso sovrano del Deluchistan, in quei tempi bui, annuncia dunque la creazione di questo «passaporto vaccinale regionale». Alla gara partecipa una sola società: la Ermes. Il 3 maggio 2021 viene quindi firmata la fornitura di 3,5 milioni di smart card al prezzo di 0,90 l’una. Spesa totale: poco più di 3 milioni. Don Vincenzo è raggiante. Il green pass con la pummarola ’ncoppa è un portento destinato «a finalità differenti da quelle sanitarie». E sembra inserirsi perfettamente nella deriva deluchiana durante la pandemia. Cominciata con gli insulti ai runner perdigiorno: «Vecchi cinghialoni da arrestare a vista». O contro l’ennesimo assembramento: «Vi mando i carabinieri con il lanciafiamme!». E trovate cinematografiche, come quando scende ribaldo dall’auto manco fosse Bo in Hazzard: «A casa!», urla ai passanti. In preda a un delirio di onnipotenza, comincia poi a dileggiare Veneto e Lombardia.
A fine 2020 la Campania sembra però uno staterello alla deriva: scuole chiuse a oltranza, sanità impantanata e il governatore che si fa vaccinare prima di ogni suddito. Così, appena si comincia a discutere di un lasciapassare nazionale, lui brucia tutti. Ecco il pre green pass. Che adesso, con la deflagrante inchiesta della magistratura contabile, rischia di azzoppare le sue sprezzanti velleità per un terzo mandato alla guida della regione. E rafforzare Elly Schlein, la segretaria del Pd, che lo identifica come il più deleterio «cacicco» del partito.
Proprio la carta verde alla campana potrebbe diventare la più fulgida esemplificazione dell’autoritarismo di Vin Chen Zin. La Parolaia arcobaleno è pronta a reiterare la accuse al momento opportuno. Già, perché le 51 pagine scritte dai magistrati contabili raccontano proprio la più sbalorditiva e dispendiosa impresa politico-sanitaria dello sceriffo che volle farsi vicerè. Al di sopra di ogni legge e logica. Distribuendo velleitarie card a destra e manca, salvo poi dover ingranare farsesca retromarcia.
Già a maggio 2021 il Garante per privacy, visto l’epocale trattamento di dati personali, chiarisce l’ovvio: la competenza «ricade solo ed esclusivamente sullo Stato». Concetto ribadito anche dalla corte costituzionale. E mentre Don Vincenzo assicura che il suo green pass avrebbe aperto il mondo ai vaccinati, il Garante specifica ancora «che l’individuazione della certificazione verde quale condizione per l’accesso a diversi servizi turistici, alberghieri, matrimoni, trasporti, spettacoli, non può essere prevista in un’ordinanza regionale». Fino al chiarimento dal ministero della Salute: la card campana, stringi stringi, non serve a nulla. Come del resto, in quei mesi, acclarano gli sbalorditi cittadini del Deluchistan a cui è stata inviata la carta. Rimbalzati al ristorante, nei cinema e persino in consiglio regionale.
Un danno erariale da oltre 3,7 milioni di euro, calcolano i magistrati contabili. Nel corposo invito a fornire deduzioni recapitato al governatore agli altri cinque componenti dell’Unità di crisi, cercano di trovare una logica alla dispendiosa trovata. «Il dipanarsi degli eventi», accusa la Procura regionale, «ha consentito a tutti i componenti dell’Udc di acquisire ancora ulteriore consapevolezza rispetto, non solo alla illegittimità, ma anche alla assoluta ingiustificatezza e inutilità dell’iniziativa». Insomma, avrebbero perseverato nel loro diabolico piano a dispetto di tutto e tutti. Ovvero, ricordano sempre i magistrati contabili, «le pronunce della Corte costituzionale, l’avvertimento del Garante della privacy e la loro risposta del 25 maggio 2021». Quella in cui l’unità di crisi assicura che la «smart card» avrebbe avuto «durata effimera». E dunque: pare «altamente probabile la circostanza» che conoscesse «il rischio della totale inutilità, ma tuttavia abbia consapevolmente accettato il rischio di sostenere un costo superfluo e ingiustificabile». Con un aggravante. Il pre green pass con la pummarola ’ncoppa viene distribuito fino all’agosto 2021, quando la carta verde ufficiale «è ampiamente in uso». Eppure, già allora, l’iniziativa è «fallimentare». Da imprescindibile strumento di libertà a dispendioso souvenir per allibiti posteri.
Continua a leggere
Riduci
La Procura contabile ipotizza un danno erariale da 3,7 milioni di euro. Tutta colpa della smart card campana con la quale il governatore voleva limitare le libertà dei cittadini in pandemia. Un assist per Elly Schlein, che non vuole il suo terzo mandato. Visto il piglio nordcoreano, gli hanno affibbiato un soprannome conseguente: Vin Chen Zin. De Luca ne va fiero. «Siamo sulla linea di Kim II-Sung», ha ammesso qualche settimana fa il governatore campano. Adesso però la Corte dei conti lo indaga per il più incomprensibile dei suoi spunti autoritari: il pre green pass che aveva inutilmente imposto ai suoi sudditi. Impipandosene delle leggi nazionali e scavalcando la carta verde ministeriale. Risultato: un supposto danno erariale di 3,7 milioni di euro, di cui quasi 1 milioncino, ovvero il 25 per cento della spesa, a suo carico. La Procura contabile della Campania gli ha notificato un invito a dedurre: ossia l’avviso di un’indagine contabile, arrivato anche ad altri cinque ex componenti dell’Unità di crisi regionale istituita durante la pandemia. Insomma, la trovata di Don Vincenzo sarebbe stata un’inutile spreco per le già martoriate finanze del suo regno. L’avevano chiamata «smart card». Avrebbe dovuto attestare la vaccinazione e disciplinare l’esistenza ai tempi del Covid. Un pre green pass, appunto. Annunciato il 26 marzo 2001 durante una delle sue scoppiettanti dirette Facebook. Distribuito per cinque mesi. E poi sospeso per manifesta inutilità e irregolarità dopo l’introduzione del certificato verde nazionale. L’indiscusso sovrano del Deluchistan, in quei tempi bui, annuncia dunque la creazione di questo «passaporto vaccinale regionale». Alla gara partecipa una sola società: la Ermes. Il 3 maggio 2021 viene quindi firmata la fornitura di 3,5 milioni di smart card al prezzo di 0,90 l’una. Spesa totale: poco più di 3 milioni. Don Vincenzo è raggiante. Il green pass con la pummarola ’ncoppa è un portento destinato «a finalità differenti da quelle sanitarie». E sembra inserirsi perfettamente nella deriva deluchiana durante la pandemia. Cominciata con gli insulti ai runner perdigiorno: «Vecchi cinghialoni da arrestare a vista». O contro l’ennesimo assembramento: «Vi mando i carabinieri con il lanciafiamme!». E trovate cinematografiche, come quando scende ribaldo dall’auto manco fosse Bo in Hazzard: «A casa!», urla ai passanti. In preda a un delirio di onnipotenza, comincia poi a dileggiare Veneto e Lombardia. A fine 2020 la Campania sembra però uno staterello alla deriva: scuole chiuse a oltranza, sanità impantanata e il governatore che si fa vaccinare prima di ogni suddito. Così, appena si comincia a discutere di un lasciapassare nazionale, lui brucia tutti. Ecco il pre green pass. Che adesso, con la deflagrante inchiesta della magistratura contabile, rischia di azzoppare le sue sprezzanti velleità per un terzo mandato alla guida della regione. E rafforzare Elly Schlein, la segretaria del Pd, che lo identifica come il più deleterio «cacicco» del partito. Proprio la carta verde alla campana potrebbe diventare la più fulgida esemplificazione dell’autoritarismo di Vin Chen Zin. La Parolaia arcobaleno è pronta a reiterare la accuse al momento opportuno. Già, perché le 51 pagine scritte dai magistrati contabili raccontano proprio la più sbalorditiva e dispendiosa impresa politico-sanitaria dello sceriffo che volle farsi vicerè. Al di sopra di ogni legge e logica. Distribuendo velleitarie card a destra e manca, salvo poi dover ingranare farsesca retromarcia. Già a maggio 2021 il Garante per privacy, visto l’epocale trattamento di dati personali, chiarisce l’ovvio: la competenza «ricade solo ed esclusivamente sullo Stato». Concetto ribadito anche dalla corte costituzionale. E mentre Don Vincenzo assicura che il suo green pass avrebbe aperto il mondo ai vaccinati, il Garante specifica ancora «che l’individuazione della certificazione verde quale condizione per l’accesso a diversi servizi turistici, alberghieri, matrimoni, trasporti, spettacoli, non può essere prevista in un’ordinanza regionale». Fino al chiarimento dal ministero della Salute: la card campana, stringi stringi, non serve a nulla. Come del resto, in quei mesi, acclarano gli sbalorditi cittadini del Deluchistan a cui è stata inviata la carta. Rimbalzati al ristorante, nei cinema e persino in consiglio regionale. Un danno erariale da oltre 3,7 milioni di euro, calcolano i magistrati contabili. Nel corposo invito a fornire deduzioni recapitato al governatore agli altri cinque componenti dell’Unità di crisi, cercano di trovare una logica alla dispendiosa trovata. «Il dipanarsi degli eventi», accusa la Procura regionale, «ha consentito a tutti i componenti dell’Udc di acquisire ancora ulteriore consapevolezza rispetto, non solo alla illegittimità, ma anche alla assoluta ingiustificatezza e inutilità dell’iniziativa». Insomma, avrebbero perseverato nel loro diabolico piano a dispetto di tutto e tutti. Ovvero, ricordano sempre i magistrati contabili, «le pronunce della Corte costituzionale, l’avvertimento del Garante della privacy e la loro risposta del 25 maggio 2021». Quella in cui l’unità di crisi assicura che la «smart card» avrebbe avuto «durata effimera». E dunque: pare «altamente probabile la circostanza» che conoscesse «il rischio della totale inutilità, ma tuttavia abbia consapevolmente accettato il rischio di sostenere un costo superfluo e ingiustificabile». Con un aggravante. Il pre green pass con la pummarola ’ncoppa viene distribuito fino all’agosto 2021, quando la carta verde ufficiale «è ampiamente in uso». Eppure, già allora, l’iniziativa è «fallimentare». Da imprescindibile strumento di libertà a dispendioso souvenir per allibiti posteri.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggere
Riduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggere
Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggere
Riduci