2025-07-31
«Il 15% sui farmaci non ci spaventa. Ma rischiamo l’invasione cinese»
Il presidente di Farmindustria Marcello Cattani (Imagoeconomica)
Il presidente di Farmindustria Marcello Cattani: «L’accordo sui dazi è un buon compromesso. Se scattassero al 200%, gli Usa si troverebbero senza medicinali. La Commissione non sta facendo nulla contro la concorrenza del Dragone».L’Unione sarebbe pronta a congelare le contro-tariffe per sei mesi. Macron critico: «Europa non abbastanza temuta». Giorgetti frena sui sussidi: «Presto per parlarne».Lo speciale contiene due articoli.«Io mi attengo alle fonti ufficiali che per noi sono la Casa Bianca, la Commissione europea e i contatti con il nostro ministero degli esteri. E ci dicono che i dazi sui farmaci non andranno oltre il 15% comprensivo di quelli, circa il 5%, già presenti su alcuni prodotti. Attendiamo però i documenti». Colpi di testa, dell’ultimo momento di Donald Trump? «Ci ha abituato a cambi di scenario improvvisi ma sui farmaci non si scherza. Piuttosto ci attendiamo una svolta nella politica di Ursula von der Leyen che finora ha seguito la linea ideologizzata e contraria alle aziende della sua prima legislatura. Ora l’attenzione è verso gli Stati Uniti, ma la concorrenza strategica commerciale è anche con la Cina in merito alla quale la Commissione Ue non sta facendo nulla». Raggiungiamo al telefono Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, al Cairo, in una pausa degli accordi nell’ambito del Piano Mattei. «Siamo qui per una partnership nella produzione di principi attivi per rendere l’Egitto via via alternativo a Cina e India e aprire una porta sull’Africa. Bisogna collaborare per trovare nuovi sbocchi commerciali. Quindi esser meno dipendenti dall’export negli Usa e meno dipendenti dalle importazioni di principi attivi da Cina e India». I dazi al 15% sono una scure per l’industria farmaceutica, ve l’aspettavate?«Le percentuali sono ancora da definire, mancano i documenti tecnici e i prossimi giorni saranno essenziali ma le informazioni da fonti ufficiali ci dicono che non supereranno il 15% e saranno inclusivi delle tariffe preesistenti».Quindi potrebbero essere anche inferiori al 15%?«Sì perché in alcuni ambiti dell’export, per farmaci particolari, c’erano già dazi del 5%».Non vi aspettate sorprese dell’ultimo minuto? Trump aveva detto che avrebbe potuto alzare le tariffe fino al 200%«Abbiamo assistito a qualche dichiarazione poi smentita. Se queste avevano l’obiettivo di riportare la produzione farmaceutica negli States sono legittime ma si tratta di un’operazione che non può realizzarsi in tempi rapidi. Qualora dovessero scattare dazi al 200%, gli Stati Uniti si troverebbero all’improvviso a dover fronteggiare una carenza importante di farmaci essendo il primo mercato per import». Alcuni grandi gruppi europei hanno annunciato di voler investire negli Usa.«Non sono operazioni che si fanno dall’oggi al domani. Nel frattempo gli Usa avrebbero difficoltà nell’approvvigionamento. I prezzi dei farmaci e delle assicurazioni aumenterebbero in modo esponenziale. Non penso che questo convenga a Trump. Il buonsenso deve avere sempre la meglio sulle dichiarazioni».Passare da zero a 15% è un bel salto. «È un compromesso, è il miglior possibile in questo momento, dobbiamo essere soddisfatti. L’obiettivo Ue era di non arrivare a uno scontro commerciale. Non dimentichiamo che all’inizio Trump voleva imporre tariffe molto alte. Bisogna essere pragmatici. Restano tuttavia dei rischi. Il primo per la competitività dell’industria farmaceutica del Continente a favore degli Stati Uniti, della Cina, dell’India e degli Emirati Arabi che puntano su questo settore con politiche molto attrattive. In più c’è l’effetto di svalutazione del dollaro per cui a fronte di dazi confermati al 15%, l’impatto sulle imprese del farmaco italiane che esportano negli States per oltre 10 miliardi, sarebbe di circa 2,5 miliardi». Quali dovrebbero essere i prossimi passi della Commissione Ue?«Come ha sempre ribadito il nostro governo, l’Europa è chiamata a sostenere la crescita di settori industriali che generano il più alto valore competitivo e questa è l’industria farmaceutica che è il primo settore manifatturiero in Europa per saldo commerciale positivo, 200 miliardi di euro nel 2024. Bisogna rimettere al centro delle politiche industriali chi fa innovazione e creare una cornice di incentivi per attrarre gli investimenti, altrimenti l’Europa è destinata all’oblio e alla marginalità. In primo luogo va cambiata la proposta di revisione della legislazione farmaceutica che prevede l’indebolimento della proprietà intellettuale. Ma anche il governo nazionale deve fare la sua parte».Cosa vi aspettate da Palazzo Chigi nel post dazi?«La prossima legge di bilancio sarà decisiva per continuare a fare riforme per il settore ovvero togliere i payback e ridurne gli impatti. Sono ottimista perché il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani continuano a garantire il massimo impegno per la leadership in Europa. L’accordo di domenica è il risultato della Commissione Ue ma c’è stata un’azione molto forte del nostro governo nei rapporti bilaterali con gli Usa. Chiediamo riforme del mercato interno e una nuova governance per gestire la spesa farmaceutica che riduca o cancelli gli oneri oltre le tasse per le nostre imprese che oggi arrivano a 3 miliardi. Dobbiamo agire oggi per essere competitivi».I dazi faranno aumentare l’invasione di prodotti cinesi? Circa il 60% dei principi attivi utilizzati per produrre farmaci in Europa viene dalla Cina.«Il rischio è reale, la dipendenza dalla Cina è molto forte. L’autonomia strategica dell’Europa è di circa il 25% del totale dei principi attivi e circa un quarto di questo 25% è di produzione italiana. Quindi abbiamo una posizione di leadership anche in questa quota di minoranza che deve crescere. E può crescere grazie a investimenti e a una strategia che oggi non c’è. La Commissione von der Leyen è stata fin qui simile alla prima legislatura con un po’ di mascara, è ideologica e inefficace nel dare una strategia competitiva. Ci sono provvedimenti che vanno rivisti come la revisione della legislazione farmaceutica, la direttiva acque reflue, il regolamento sui medicinali critici o il regolamento sulle scienze della vita europeo che non cita nemmeno l’industria. Questo è un suicidio ideologico e politico di cui è responsabile la Commissione von der Leyen».Servono sostegni all’industria per far fronte ai dazi?«La Commissione europea dovrebbe far bene quello che non riesce a fare. Sarebbe già tanto. Gli incentivi devono essere forti per ripristinare una competitività che possa superare i dazi e rimettere al centro la capacità di fare innovazione ricerca e sviluppo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dazi-farmaci-rischiamo-invasione-cinese-2673790720.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="rappresaglia-ue-verso-lo-stand-by" data-post-id="2673790720" data-published-at="1753899038" data-use-pagination="False"> Rappresaglia Ue verso lo stand-by Da una parte la diplomazia che lavora per completare l’accordo di domenica sui dazi al 15%, dall’altra il dibattito politico con il fuoco incrociato sul presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Un clima di alta tensione reso ancora più incandescente dalla rivendicazione di Washington di arrivare a un’intesa anche sullo spinoso tema della web tax.Ma c’è anche un altro fronte. Come era prevedibile si sono scatenate le richieste di ristori alle quali i bilanci nazionali hanno difficoltà a far fronte. «È prematuro parlare di aiuti alle imprese» perché al momento «non si può fare una valutazione complessiva» dell’impatto delle nuove tariffe, ha spiegato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, rispondendo alla Camera alle domande sulle conseguenze dei dazi sulla crescita economica. «L’accordo politico sui dazi presenta elementi che avranno un impatto molto diverso tra settori produttivi e le discussioni collegate all’intesa sono ancora in corso, in particolare per quanto riguarda le possibili esenzioni» ha precisato. Ma c’è una certezza, ovvero che «l’intesa preannuncia la chiusura di una fase di incertezza e scongiura la guerra commerciale», un elemento importante «perché un quadro di certezza sul piano regolatorio rappresenta una imprescindibile premessa rispetto all’adozione delle misure funzionali a garantire le imprese italiane e ad aumentare o anticipare la programmazione di investimenti, considerato che una considerabile quotata delle esportazioni italiane è destinata al mercato statunitense». Quanto all’impatto sul Pil, con dazi al 15%, Giorgetti non drammatizza. «Fermo restando che una proiezione più dettagliata sarà possibile solo quando tutti gli aspetti dell’accordo saranno definiti, è possibile prevedere un ordine di impatto sul Pil reale con un calo massimo cumulato dello 0,5% sul 2026, seguito da un graduale recupero che porti il livello a riallinearsi a quello dello scenario base entro il 2029, in coerenza con le stime fornite dal documento di finanza pubblica». Intanto da Parigi continuano ad arrivare bordate contro Von der Leyen. Ieri l’affondo del presidente, Emmanuel Macron. Nel corso del Consiglio dei ministri, ha lamentato che l’Unione europea non sia stata sufficientemente «temuta» nei negoziati, ribadendo che la Francia continuerà a mantenere una posizione di «rigore e fermezza» nel prosieguo delle trattative. Va ricordato che Parigi avrebbe voluto che Bruxelles attivasse subito lo strumento «anti-coercizione». «Per essere liberi, bisogna incutere timore», ha incalzato Macron.Da Bruxelles filtra la notizia che l’Ue è pronta a congelare i contro-dazi per 6 mesi. Quasi una risposta alla fermezza di Parigi. La decisione sarà formalizzata soltanto una volta definito il testo quadro dell’intesa di domenica. Se le circostanze lo richiedessero, la durata della sospensione potrebbe essere abbreviata, spiegano le stesse fonti. In caso di no deal, la rappresaglia Ue sarebbe scattata il 7 agosto.La dichiarazione congiunta non vincolante di Ue e Usa dovrebbe essere pubblicata entro domani, ma restano ancora diversi nodi. Tra i punti rimasti sospesi c’è la web tax che non è nemmeno comparsa nella piattaforma negoziale. «Le tasse sui servizi digitali e gli attacchi contro le nostre aziende tecnologiche saranno sul tavolo nei colloqui tra Stati Uniti e Ue, ha detto il segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick ai microfoni di Cnbc. E rivela di aver ricevuto una chiamata dai responsabili del Commercio della Commissione per fare il punto sui temi da affrontare. Von der Leyen rischia un’altra Caporetto.Intanto, ieri Donald Trump ha ribadito: «Per anni alleati e nemici ci hanno sfruttato. Gli amici più dei nemici. Adesso non è più così, negli Usa stanno arrivando molti soldi e non c’è più inflazione».
Jose Mourinho (Getty Images)