2025-04-13
Con la svolta anti dazi e pro Pechino a Bruxelles sacrificano l’agricoltura
La Von der Leyen guarda al Dragone per salvare l’auto tedesca. Ma la sponda porterebbe a un’invasione di prodotti alimentari cinesi che danneggerebbe soprattutto l’Italia. Senza parlare dei rischi per la salute.Il governatore di Bankitalia ridimensiona l’allarme dazi. Standard & Poor’s alza il nostro rating per la prima volta dal 2021 e Bloomberg promuove il piano di investimenti sulle Ferrovie da 25 miliardi : «Esempio per l’Europa». Smentite le cassandre.Lo speciale contiene due articoli.In funzione anti Donald Trump, ma soprattutto per salvaguardare gli interessi tedeschi, Ursula von der Leyen flirta con i cinesi incoraggiando i Paesi europei a percorrere non la via, ma l’autostrada della seta. C’è una sorta di asimmetria nel comportamento dell’Ue: ci si deve riarmare contro la minaccia di Vladimir Putin a ogni costo perché la difesa dei valori democratici minacciati in Ucraina vale più di ogni altra cosa. Bisogna riarmarsi perché quel cattivo del presidente americano, presentato come un’autocrate anche se è stato eletto con quasi 80 milioni di voti, ci abbandona. Ma ecco una sponda sicura: il dittatore comunista Xi Jinping che è anche il primo alleato di Putin. Ma che importa. Anzi: importiamo! Tanto, troppo, il peggio del peggio dalla Cina, sacrifichiamo pure l’agricoltura, l’agroalimentare, facciamo spazio alle campagne cinesi. Che si faranno via via più aggressive perché visto che la domanda interna crolla - la Cina è in deflazione da 27 mesi consecutivi - loro devono vendere ancora di più all’estero e per farlo hanno anche fatto crollare la quotazione dello yuan. La Von der Leyen è abituata a sacrificare l’agricoltura per vendere le auto tedesche e le polizze francesi Lo ha fatto con il Ceta, lo ha ripetuto col Mercosur, ora vuole farlo con la Cina. Tra Mercosur e Cina c’è un legame perché se il Brasile è il primo esportatore di generi agricoli in Europa - ce ne vende per 9 miliardi - la Cina viene subito e ci invade con 360.000 tonnellate di pesce e crostacei, con 150.000 tonnellate di agrumi, con 200.000 tonnellate di semi oleosi che peraltro arrivano come la soia dal Benin, nell’Africa occidentale, che, insieme con la Tanzania e l’Etiopia, è stata scelta dalla Cina per lo sviluppo delle esportazioni di semi oleosi. Lì i cinesi - sfruttando i contadini locali - hanno creato un business agricolo pari a 14 miliardi di dollari. Ma i cinesi sono anche i primi commercianti di riso vietnamita e cambogiano le cui esportazioni in Europa sono raddoppiate a danno del riso italiano visto che noi siamo il primo Paese produttore del continente. Nel silenzio più totale della Commissione europea che chiude entrambi gli occhi sull’uso che i cinesi fanno di pesticidi (+125% negli ultimi cinque anni), di concimi al fosforo (+75% pari a 77 chili per ettaro) con un incremento delle emissioni di gas serra del 38%. Ai nostri contadini tutto questo è vietato. Ursula von der Leyen, come già fece il suo predecessore Romano Prodi che tutt’ora vede nella Cina la terra promessa e l’alternativa agli Usa che sono comunque il nostro secondo fornitore di materia prima agricola: l’Ue che importa da Washington per circa 6,5 miliardi di euro vuole aprire un canale privilegiato con Pechino. Si dimentica - o fa finta di non saperlo - che la Cina ha tutt’ora in corso, come risposta ai dazi che l’Ue ha posto sulle sue auto elettriche sempre per fare un piacere all’industria tedesca, un’istruttoria anti dumping sui vini, i formaggi, i salumi europei. Ma a Bruxelles di questi dazi annunciati da Pechino - ha importato 1,06 milioni di tonnellate di carne di maiale riducendo l’import del 20% - non se ne curano. Devono invece preoccuparsi i produttori agricoli italiani che da intese più larghe con la Cina hanno tutto da perdere. Il caso del pomodoro è emblematico. L’Italia è leader in Europa con quasi 6 milioni di tonnellate trasformate, la Cina punta agli 11 milioni di tonnellate; circa metà del concentrato che arriva in Italia è cinese. Ma il 90% del concentrato di pomodoro cinese destinato all’esportazione viene dallo Xinjiang dove si sfrutta il lavoro forzato degli uiguri, una minoranza musulmana ridotta in schiavitù. Lo stesso vale per il pesce: secondo la Banca mondiale entro il 2030 la Cina sarà la prima al mondo col 37% delle catture. Conta su 500.000 imbarcazioni che ora saccheggiano anche il Mediterraneo con basi nei Paesi nordafricani «amici». Ma l’Ue insiste nel bloccare la nostra pesca così come non vuole cambiare il codice doganale che favorisce la penetrazione dei prodotti cinesi in Europa e in Italia. Da tempo la Coldiretti chiede che sia abolita la norma secondo la quale basta che un prodotto subisca anche una minima trasformazione in Europa (nel concentrato di pomodoro basta aggiungere acqua) per essere dichiarato Ue. Con questo escamotage solo negli ultimi mesi sono arrivati 300 tonnellate di semi da orto, 25 milioni di chili di miele, 20 tonnellate di alimenti precotti, 45 container di passata di pomodoro; il 77% di partite di generi alimentari sospetti che entrano in Italia sono di provenienza cinese e già oggi l’Italia ha un deficit nella bilancia commerciale agricola per quasi mezzo miliardo di euro (dati 2024). Ma la Von der Leyen salvaguarda l’export tedesco e quello di Emmanuel Macron: l’agroalimentare francese a Pechino va forte. La Francia ha esportato 3,8 miliardi di euro con un surplus di 3 miliardi. Ai cinesi vende vino (il 41% dell’export), cereali (28%), latticini (13%) e carni (6%). E l’Italia? Si arrangi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dazi-agricoltura-ue-2671759317.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-le-tariffe-lexport-cala-solo-dell1" data-post-id="2671759317" data-published-at="1744486780" data-use-pagination="False"> «Con le tariffe l’export cala solo dell’1%» L’Italia si conferma solida e i dazi di Donald Trump, se mai entreranno in vigore, impatteranno solo per l’1% sul nostro export. Firmato Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia. A Trento, all’anteprima del Festival dell’Economia, commenta la decisione di Standard & Poor’s di alzare il rating del Paese a BBB+. Una buona notizia attesa dal 2021, l’ultima volta che l’Italia aveva salito un gradino del rating: «Non sono sorpreso», ha dichiarato, «me lo aspettavo. Le condizioni dell’economia italiana sono migliorate e la gestione dei conti pubblici è stata più responsabile». Secondo Panetta, la valutazione potrebbe migliorare ulteriormente nei prossimi mesi se si continuerà su questa linea. In ogni caso la presenza di un titolo del debito comune consentirebbe con più facilità investire in Italia e in Europa. Chi vuole investire oggi in Europa, osserva il governatore, può acquistare titoli francesi, italiani, tedeschi e «se avessimo un titolo sovrano comune sarebbe più facile». Uno dei fattori di rischio emersi nelle ultime settimane riguarda i dazi Usa. Anche su questo fronte i collaboratori di Panetta si mostrano ottimisti. Secondo il Bollettino economico appena pubblicato, l’impatto sull’Italia sarà contenuto, grazie alla struttura robusta del nostro sistema produttivo. In particolare, solo una parte delle imprese italiane è direttamente esposta al mercato americano: circa un terzo esporta direttamente negli Stati Uniti, ma oltre la metà del valore dell’export è generato da grandi aziende (oltre 250 addetti), generalmente più diversificate, solide e capaci di assorbire gli shock di mercato. I settori più esposti sono farmaceutica, aerospazio e cantieristica, ma anche in questi comparti, sottolinea Bankitalia, il posizionamento qualitativo dei prodotti italiani (nella fascia medio-alta e alta) aiuta a contenere l’effetto negativo dei dazi, essendo beni destinati a consumatori o imprese meno sensibili alle variazioni di prezzo. Secondo le stime, circa l’8,1% del valore aggiunto della manifattura italiana - pari all’1,2% del Pil - è destinato direttamente o indirettamente al mercato statunitense. In caso di piena applicazione dei dazi, la riduzione media del fatturato per le imprese esportatrici si aggirerebbe intorno all’1%, con un impatto contenuto anche sui margini operativi: solo per una minoranza di aziende si registrerebbero effetti più gravi. A contrastare la frenata della domanda estera, contribuiranno invece i consumi interni, sostenuti dalla crescita dei redditi reali e dagli effetti residui del Pnrr sugli investimenti. A rafforzare la percezione di un’Italia in ripresa strutturale, è arrivato anche il giudizio positivo raccolto a Bruxelles dall’agenzia Bloomberg sul piano di investimenti da 25 miliardi presentato dalle Ferrovie dello Stato. Il progetto prevede un rafforzamento della rete ferroviaria nazionale, con particolare attenzione alle aree del Sud, all’alta velocità e all’intermodalità. L’intervento è stato definito strategico non solo per la mobilità sostenibile e l’ammodernamento delle infrastrutture, ma anche per l’impatto su crescita, occupazione e coesione territoriale. Insomma per i due ministri leghisti quella di ieri è stata una giornata positiva. Giancarlo Giorgetti ha incassato la promozione dei conti pubblici («Ce lo meritavamo anche se non ce l’aspettavamo» dice a margine dell’Ecofin). Matteo Salvini ottiene il plauso per il piano delle Ferrovie definito un «modello per l’Europa» I segnali di fiducia verso l’Italia, però, devono fare i conti con lo scenario internazionale. La crisi dei mercati obbligazionari americani, in particolare quelli dei Treasury, rappresenta oggi una delle principali incognite globali. I rendimenti dei titoli di Stato americani a 10 e 30 anni sono saliti ai massimi degli ultimi mesi, con punte rispettivamente del 4,6% e del 5%, a causa di un’ondata di vendite che riflette una crescente sfiducia nei confronti dell’economia statunitense. Il dollaro ha perso terreno, toccando i minimi da tre anni. Wall Street ha mostrato segnali di tenuta, grazie alle rassicurazioni della Federal reserve, che si è detta pronta a intervenire per garantire la stabilità dei mercati. Dal canto suo la Bce si riunisce giovedì. L’appuntamento assume un significato particolare. Il presidente Christine Lagarde ha ribadito che l’Eurotower è «sempre pronta a utilizzare gli strumenti necessari per garantire la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria», due obiettivi che, ha ricordato, «non possono essere disgiunti». Con un’inflazione sotto controllo e una crescita ancora fragile, la Bce si trova a dover bilanciare l’eventualità di un taglio dei tassi nei prossimi mesi con la necessità di monitorare le turbolenze provenienti dagli Usa. La sensazione, tra economisti e analisti, è che l’Europa si trovi oggi in una posizione più solida rispetto agli Stati Uniti, ma anche più esposta all’eventuale effetto domino.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)