
Il regime di Benito Mussolini tentò costantemente di annettersi «padri nobili» tratti dalla grande storia italiana. Un nuovo saggio ricostruisce quel dibattito, ma avverte: «Non si trattò solo di appropriazioni indebite».«Il Movimento 5 stelle è post ideologico, ma porta con sé tante idee che erano state i cavalli di battaglia dei partiti di destra e di sinistra. C'è chi si rifà a quelli portati avanti da Enrico Berlinguer, chi a quelli di Giorgio Almirante, chi a quelli della Dc». Le contorte ramificazioni dell'albero genealogico pentastellato illustrate un annetto fa da Luigi Di Maio, rendono bene l'idea di quanto sia sempre complessa e contraddittoria, in politica, l'operazione di individuare i propri precursori. E se la cosa è complicata per i grillini, figurarsi quanto doveva esserlo per i fascisti. Che, pure, il problema se lo posero svariate volte. A questa controversia storica dedica ora un bel libro Rodolfo Sideri, Fascisti prima di Mussolini (Settimo Sigillo). Non è il primo saggio ad occuparsene, anche se, spiega Sideri, spesso, dagli storici, il tema è stato «sottovalutato e derubricato ad antistorica appropriazione di personaggi storici più o meno lontani nel tempo». Insomma, mettere la camicia nera a Giuseppe Garibaldi, Dante Alighieri o ad Augusto sarebbe solo protervia storiografica e propaganda in malafede. Salvo poi considerare del tutto pacifico che la Resistenza fosse per davvero il «secondo Risorgimento». Il fatto è che tutte le esperienze storiche hanno la necessità di progettarsi non solo nel futuro, ma anche nel passato, creandosi, retroattivamente, dei precursori senza chiedere loro il permesso. Sarebbe del resto sbagliato ridurre tutta la questione a un'appropriazione indebita ordinata dall'alto: nel fascismo fu dibattito vero, a tratti anche aspro, in uno sforzo di auto definizione spesso non banale, con Benito Mussolini che, sornione come sempre, lasciava fare, senza fissare rigidi confini tra ortodossia ed eterodossia. Cosa che, per inciso, distingue il fascismo dal monolite ideologico comunista, il cui perimetro resta fissato dai sacri testi dei profeti dell'ideale.Ma chi c'era, in questa galleria degli antenati che il regime si costruì su misura? Mussolini stesso, ne La dottrina del fascismo, del 1932, aveva autorevolmente affermato che «nel grande fiume del fascismo troverete i filoni che si dipartirono dal Sorel, dal Lagardelle del Mouvement socialiste, dal Péguy, e dalla coorte dei sindacalisti italiani, che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell'ambiente socialistico italiano, già svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana, con le Pagine libere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale di Enrico Leone». Ma era solo la punta dell'iceberg. Il movimento delle camicie nere tendeva infatti a porsi come punto di arrivo inevitabile e necessario di tutta l'epopea nazionale, in un filo rosso che andava dal Risorgimento alla grande guerra. Interpretazione certo unilaterale, come del resto lo sono tutti i ragionamenti di questo tipo, ma evidentemente non priva di qualche ragione, se è vero che oggi storici del Risorgimento come Alberto Maria Banti ci mettono in guardia dai pericolosi riferimenti al sangue e alla terra che innervano l'intera epopea che ha portato all'unificazione nazionale. E del resto Marcello Caroti ha definito Giuseppe Garibaldi «il primo fascista», mentre Simon Levis Sullam ha ritenuto che l'appropriazione «ideologica» di Giuseppe Mazzini da parte dei fascisti fosse comunque più legittimata di quella «simbolica» degli antifascisti. Il torinese Vittorio Cian, tuttavia, andava ancora oltre e, in un saggio appositamente dedicato all'argomento, «arruolava» Dante, Niccolò Machiavelli, Giovanbattista Vico, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo, Napoleone Bonaparte e altri nomi illustri della storia nazionale e non solo. L' eminente Arrigo Solmi, nel 1944, lesse, dal canto suo, la profezia dantesca sull'avvento del «veltro» in controluce alla guerra italiana contro le «plutocrazie occidentali», contrastate dalle due nazioni che già l'Alighieri aveva individuato come perno dell'Europa ghibellina. Sin troppo scontato, poi, il riferimento a Roma antica, a cui il fascismo si ispirò esplicitamente e che in quegli anni fu oggetto di rinnovato interesse accademico e non solo. Mussolini novello Augusto? Il paragone fu suggerito da Giuseppe Bottai, ma anche da uno studioso di rango come Goffredo Coppola, poi finito senza alcuna specifica colpa fra i fucilati di Dongo e fra gli appesi di piazzale Loreto. Ma il riferimento a Roma non mobilitò solo gli antichisti: nei cenacoli esoterici dell'epoca, personaggi come Julius Evola, Massimo Scaligero o Arturo Reghini investirono il fascismo della missione di dar vita a una vera e propria rinascenza pagana e antimoderna. Non più «ispirarsi» a Roma, quindi, ma «essere» la nuova Roma. Fermenti che, a posteriori, possono essere considerati da qualcuno ingenui o strampalati, ma che testimoniano il livello delle aspettative non solo contingenti che fu capace di sollevare il nuovo regime. Tutta la questione dei precursori, del resto, non va letta alla luce del grado di «verità» o «legittimità» di ogni singola «annessione», che resta ovviamente indecidibile (chi può davvero sapere cosa Dante o Garibaldi avrebbero pensato del regime?). Spiega bene Sideri: «Non è questione se davvero Augusto, più che il Risorgimento, la Rinascenza piuttosto che il futurismo siano o meno precorritori del fascismo, quanto piuttosto se il fenomeno del precursorismo consenta di leggere in controluce cosa il fascismo avrebbe voluto essere». Come sempre accade nella storia, spiegare da dove si viene significa indicare dove si vuole andare.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
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Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





