2019-10-06
Dall’eutanasia al crocifisso in soffitta. È la visione della morte che fa paura
Il «nuovo umanesimo» oggi dominante non tollera il rapporto con la sofferenza.Approvazione dell'eutanasia/aiuto al suicidio e proposta di rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche: due eventi scollegati, senza alcun punto di contatto? Apparentemente sì, nella sostanza due facce della stessa medaglia, quella della cancellazione del dolore, della sofferenza, della morte. La cultura della «qualità della vita», che va a braccetto con quella delle «vite indegne di essere vissute», non può certo tollerare né che si rispetti la vita sempre, dal concepimento alla morte naturale, né - tanto meno - che si esponga un'immagine in cui si rappresenta una morte accolta con amore e per amore. Lo «scandalo» della croce è dirompente e non può trovare posto in una cultura fatta di lustrini, di paillette, di efficientismo e di prodotti di qualità, in cui lo scarto è intollerabile e va tolto dalla vista e dalla mente. Grazie a Dio, molti uomini di cultura, credenti e non, hanno scritto in questi giorni circa il valore storico-culturale del crocifisso, parte fondante ed integrante della cultura e della tradizione del popolo italiano (e non solo!) e la laicità dello Stato è stata correttamente interpretata come principio perfettamente compatibile con quel simbolo che veicola messaggi etici ed antropologici di altissimo ed universale profilo. Un aspetto ancora vale forse la pena di sottolineare: l'aspetto pedagogico ed educativo, soprattutto in ordine alle giovani generazioni. Non si fa un bel servizio alle vite che stanno crescendo e formandosi, cancellando dal loro orizzonte esistenziale eventi ineluttabili, quali il dolore e la morte. Prima o poi accadranno, volenti o nolenti, e il vero approccio non è misconoscerli, negarli, così da farci trovare totalmente indifesi, vulnerabili, privi di risposte e, ancor peggio, privi di speranze. Non è aiutando il suicidio di un demente o di grave disabile che risolveremo mai il problema di dare un senso all'Alzheimer o ad ogni altra malattia «irreversibile, che provoca dolori e sofferenze giudicate inaccettabili». Non è nascondendo il crocifisso che si dà risposta ad eventi che appaiono dolorosamente senza senso. La ricerca del «senso», tanto invocato da Primo Levi nel suo Se questo è un uomo, angosciosamente assente nell'intera vita di Giacomo Leopardi, scandalosamente negato in Friedrich Nietzsche: questo è il vero problema. Dopo 42 anni vissuti da medico, spesso accanto a persone gravemente invalide o morenti, ho colto infinite volte i loro occhi puntati su un crocifisso e non ho mai - dico mai - sentito invocare eutanasia o aiuto al suicidio. Certamente la morte o il dolore rimangono sempre tali e per chiunque, ma ben altra cosa è avere e poter dare una risposta, un senso o rimanere drammaticamente muti. Il prometeico, quanto inutile, sforzo di governare morte e dolore, tenendole in pugno, scegliendo quando e come morire, è la sola sconcertante risposta che questo «nuovo umanesimo» sembra oggi in grado di dare. Eppure, piaccia o no, la vita è sacra perché ogni uomo porta dentro di sé l'impronta del sacro, della scintilla divina. Da qui deve partire il nostro impegno culturale, sociale e politico, non per la ricerca di una personale affermazione, quanto per «dare un futuro» - come ogni giorno sentiamo ripetere - alle presenti e future generazioni. Scuola, salute, lavoro, rispetto del creato: grandi e virtuosi progetti che valgono una cicca se la vita può essere violata a piacimento o barattata in nome del politicamente corretto. Il crocifisso vuol dire anche questo. E molto, molto di più.